La veloce e decisa reazione di rav Alberto Somekh all’articolo di ieri sulla “cena di shabbàt” organizzata da ebrei per non ebrei… di shabbàt
Rispondo a questo Kolot illico et immediate. Non nascondo il mio disappunto per l’iniziativa di cui tratta e ciò per diversi motivi:
1) Lo Shabbat “è un segno eterno fra Me e i Figli d’Israele” (Shemot 31,17). Il Kelì Yeqàr commenta la differenza fra Zakhor (“Ricorda!”) e Shamor (“Osserva”) nelle due versioni del quarto comandamento dicendo che solo il ricordo dello Shabbat ne costituisce la dimensione universale, mentre la sua osservanza concreta, ivi compresa la Se’udah, è patrimonio del popolo ebraico.
2) Non basta l’astensione dall’uso del microfono per creare un’atmosfera di Shabbat autentica, se la “Se’udah” ha un accompagnamento musicale, sia pure affidato a sua volta a suonatori non ebrei. La musica strumentale è proibita di Shabbat e ben poco importa discettare sulle origini del divieto.
3) E’ ora di denunciare apertamente il meccanismo mentale di “traslazione” (intesa come lettura per traslati) di concetti della cultura e della vita ebraica invalsa in Italia per cui ci si illude di ricreare con la complicità di simpatizzanti non ebrei e su misura per essi quelle esperienze “interne” che non siamo più in grado di vivere fra di noi come dovremmo. Non è una novità che gli Ebrei Italiani hanno di fatto scelto di nominare propri eredi universali i non ebrei. Che fine ingloriosa per una cultura plurisecolare tanto prestigiosa!