Riccardo Di Segni – Rabbino capo di Roma
Prima di tutto desidero ringraziare tutti voi presenti qui, un numero incredibile di persone, senza distinzione di religione e di credo politico, uniti dal comune desiderio di denunciare un evento gravissimo: la minaccia all’esistenza stessa dello stato d’Israele. E’ il superamento grave e intollerabile di un limite insuperabile. Ma vorrei salutare anche chi non è presente qui questa sera. A chi dissente dai modi della protesta ma non dalla protesta chiediamo che l’assenza non si trasformi in silenzio. Che la scelta di opportunità politica non prevalga sull’istanza morale. Perché è un’istanza morale, quella che testimoniamo qui questa sera. A chi invece non c’è perché è indifferente alle parole del presidente dell’Iran o magari le condivide desideriamo spiegare con forza e pacatezza civile il senso del nostro orrore.
Sappiamo che in Iran qualcuno, pochi, stanno manifestando contro l’ambasciata d’Italia, in segno di protesta per questa nostra manifestazione. Chissà se i manifestanti potranno leggere liberamente quello che stiamo dicendo ora.
Ma almeno diciamocelo subito e chiaramente: la nostra non è una protesta contro l’Iran, né contro il popolo iraniano, di cui ammiriamo la civiltà e abbiamo seguito con trepidazione le vicende di questi ultimi anni. Noi non bruciamo bandiere. La bandiera dell’Iran è qui esposta nel palco, al posto di onore che merita, insieme a quelle d’Italia e di Israele.
Se qui in occidente commentiamo quanto succede in quelle terre non lo facciamo certo con lo spirito dell’imperialismo. Lo facciamo perché in Europa abbiamo imparato a caro prezzo che cosa significano certe idee e certi proclami. E di conseguenza non solo ci permettiamo di parlarne, ma sentiamo il dovere di farlo.
Potrà sembrare in un certo senso ovvio e scontato, che a parlarvi del diritto dello Stato d’Israele ad esistere sia un rabbino. Ma ciò che cercherò di spiegare non sarà affatto ovvio e scontato. Sarà un invito a riflettere sul significato angosciante delle parole del presidente iraniano
Preciso subito che non ho intenzione di dimostrare il diritto dello Stato di Israele all’esistenza. Mettersi su questo piano significa ammettere una distinzione preliminare tra questo e gli altri Stati. E questo non è accettabile. Non si mette in discussione l’esistenza dell’Italia, della Francia, dell’Iraq, dell’Iran e di qualsiasi altro Stato del mondo. Non la si mette in discussione quali che siano i comportamenti dei suoi governi, quale che sia l’antichità della sua fondazione o la crudeltà delle guerre che hanno portato quello Stato all’indipendenza. Ogni Stato europeo ha nel suo passato la memoria di guerre, di milioni di morti, di confini che si spostano. Di nessuno si contesta l’esistenza, di Israele invece sì.
Sappiamo bene quale sia il livello di democrazia in Israele, quale sia la qualità delle sue strutture parlamentari e giudiziarie, quanto sia forte la tensione del dibattito sul rapporto con i vicini quasi sempre ostili. Eppure dello Stato d’Israele si contesta il diritto ad esistere. Non lo si fa con le peggiori dittature del mondo, con i governi più macellai. Non è strano? Non c’è dietro a questo qualcosa di tenebroso, un male antico che riemerge sempre in forme nuove?
Non si contesta nessuno Stato della terra ma si contesta quello d’Israele, quello che ha il più alto rapporto del mondo di libri rispetto al numero di abitanti; che ha università di livello eccezionale, un sistema sanitario invidiabile e aperto a tutti, un enorme progresso tecnologico, uno stato che continua a produrre premi Nobel per la scienza invece che aspiranti kamikaze.
Con lo Stato d’Israele, a confronto con gli altri Stati, si adottano spesso due pesi e due misure, quello che fanno i suoi governi è immediatamente al centro dell’attenzione, mentre su ben altre cose del mondo c’è indifferenza o silenzio; e subito c’è la corsa al giudizio e alla condanna morale, spesso sostenuta dal pregiudizio religioso. I metri di giudizio sono differenti perché il presupposto più o meno confessabile è che gli ebrei siano differenti e da trattare in modo negativo e differente. Prima di tutto negando al popolo d’Israele il suo diritto all’autonomia politica.
Gli analisti politici in questi giorni cercano di comprendere le complesse ragioni che hanno portato la leadership di un grande paese come l’Iran ad esprimere posizioni tanto radicali. In realtà certe idee circolavano da decenni; la novità sta solo nella sconcertante sincerità con cui questi propositi sono stati affermati ai massimi livelli. L’analisi politica cerca poi di spiegare le ragioni di questo fenomeno, l’aspetto più inquietante dello scenario del nuovo millennio, inaugurato dall’attacco alle Torri Gemelle.
Accanto all’analisi politica la visione ebraica propone altre prospettive: quella storica millenaria, e quella religiosa. Anche chi non la condivide non potrà sottrarsi a domande inquietanti. Perché in questa prospettiva il progetto politico del presidente iraniano non è una novità. Sarà pure clash of civilizations, sarà pure riscossa del mondo islamico, sarà quel che si vuole in termini politici ma per noi è sempre la stessa cosa. E’ l’odio primordiale contro il popolo d’Israele, che lo segue dalla sua nascita e appena cerca di organizzarsi. E’ l’odio dei Filistei (la Palestina prende il nome da loro) contro i Patriarchi; è l’odio del Faraone che fa uccidere tutti i neonati Israeliti perché li considera una minaccia militare; è l’odio di cui parla il salmo 83, di cui vorrei citare alcuni versi: “O Signore i tuoi nemici sono in tumulto, contro il tuo popolo, dicono: venite e distruggiamoli come nazione, e che il nome di Israele non sia più ricordato. Sono le tende di Edom e gli Ismaeliti, Moav e gli Hagariti, Gheval. Amon e Amaleq, Filistea e abitanti di Tiro e anche l’Assiria con i figli Lot”. Fin qui le parole del salmo, che descrive un bello scacchiere mediorientale, con molti riferimenti all’attualità. Gli esempi biblici finiscono proprio con l’antico Iran, dove fu sventato il progetto di genocidio del primo ministro Haman, che ancora ricordiamo nella festa del Purim.
Non si creda alla favola che mettere in dubbio il diritto dello Stato d’Israele sia solo un problema politico di anticolonialismo e non sia invece una manifestazione di odio contro gli ebrei. Non si elimina lo Stato d’Israele con una conferenza diplomatica; lo si elimina uccidendo i suoi milioni di cittadini ebrei e non ebrei in una nuova shoah collettiva.
Il paradosso attuale è che mentre l’Europa e il cristianesimo si riconciliano con il popolo d’Israele, il mondo islamico riscopre con la religione l’ostilità antiebraica, e la usa a sostegno di interpretazioni storiche rozze e grossolane, come il mito dello Stato d’Israele avamposto della civiltà occidentale e ostacolo al risveglio musulmano. Semplificazioni balorde, che tra l’altro ignorano il peso essenziale in Israele della componente sefardita, cioè di ebrei di origine dai paesi islamici.
Ma non siamo venuti qua per ascoltare un lamento o l’ennesima protesta per l’odio antiebraico. La nostra presenza qui è per riaffermare il diritto di tutti, e non solo d’Israele ad esistere come popoli liberi. Per affermare diritti universali che vengono sistematicamente violati da culture totalitarie e opprimenti. L’attacco a Israele è solo un simbolo, una scusa e un pretesto per mascherare pulsioni violente e micidiali contro tutta l’umanità e contro il suo progresso. Il popolo ebraico che di nuovo si presenta come ferito e attaccato, è anche e soprattutto un popolo ottimista, che crede fermamente nella vita, che si pone al servizio del mondo portando luce, speranza e fermento di libertà. E’ con le parole di Isaia che ci presentiamo questa sera, “per mandare libero chi è oppresso e spezzare ogni giogo di schiavitù”. Ed è forse proprio per questa istanza radicale che il mondo totalitario non può tollerarci. Ma è anche perché speriamo fermamente in un mondo migliore che siamo qui a testimoniare questa sera
Grazie a voi tutti.