Alberto Somekh
Nel ringraziare coloro che, dall’Italia e da Israel, hanno contribuito a meglio chiarire il dibattito su Yom ha-‘Atzmaut, mi sia concesso lo spazio per una replica. Non certo per spirito di polemica. Lungi dal trattarsi di una questione halakhica in senso stretto, essa è legata a fattori ideali che senza dubbio stanno a cuore a molti.
1) Secondo le regole del calendario il 5 Iyar può cadere solo di Lunedì, Mercoledì, Venerdì e Shabbat. Posto che in queste due ultime evenienze Yom ha-‘Atzmaut viene anticipato al Giovedì per ovvie ragioni, con l’introduzione delle nuove disposizioni della Kenesset la celebrazione dell’Anniversario dell’Indipendenza nella sua data originaria viene ridotta ad appena una possibilità su quattro. Delle tre rimanenti, due volte si anticipa e una si posticipa: una vera “galùt” (confusione)!
2) A mio modesto avviso, per risolvere il problema del chillul Shabbat sarebbe bastato spostare la cerimonia al Kòtel dalle ore 20 della sera di Yom ha-Zikkaròn (quest’anno Motzaè Shabbat) al tardo pomeriggio del giorno dopo (domenica), prima del tramonto, contando sull’ora legale in modo da non perdere gran parte della giornata lavorativa. Questo avrebbe conciliato tutte le opinioni, mantenendo la certezza della data e con essa l’unitarietà della celebrazione in tutto il popolo ebraico, senza modificare le vigenti leggi.
3) Sulla questione se le autorità israeliane debbano tener conto in questi casi degli Ebrei della Diaspora, la risposta è senza dubbio affermativa: per lo meno in misura non inferiore al peso di cui godono gli israeliani non-sionisti. Non solo per il fatto che Israel dipende tuttora in misura considerevole dagli aiuti materiali delle Comunità Ebraiche all’estero (ho premesso che avrei fatto un discorso puramente ideale!) ma soprattutto per il principio della ‘arevut (responsabilità reciproca) e il concetto del kelàl Israel.
4) Proprio per il principio del kelàl Israel, anche sull’opportunità di mantenere un Rabbinato e una datiut “di Stato” non sono affatto contrario. Sebbene ferva oggi un dibattito del genere in Israel (più esattamente in relazione al Ministero dei Culti), non c’è dubbio che se non ci fosse un’autorità preposta ad esigere da tutti un minimo di adesione alla Torah, forse i datiim navigherebbero con maggior libertà, ma gran parte della società si troverebbe oggi completamente svincolata da qualsiasi principio ebraico e lo Stato perderebbe la sua identità.
5) Ad ognuno dei sette giorni di Pessach corrisponde una diversa festività dell’anno in corso che cade in quel giorno. Per ricordarne le iniziali basta adoperare il sistema At-Bash (alla Alef corrisponde la Tav; alla Shin la Bet, ecc.). Se quest’anno Pesach è caduto di martedì, le feste cadranno come segue:
1° giorno (Alef): (Tav) Tish’ah Be-Av (martedì)
2° giorno (Bet): (Shin) Shavu’ot (mercoledì)
3° giorno (Ghimel): (Resh) Rosh haShanah (giovedì)
4° giorno (Dalet): (Qof) Qeriat haTorah-Simchat Torah (venerdì)
5° giorno (He): (Tzaddi) Tzom Kippur (Shabbat)
6° giorno (Vav) (Peh) Purim (caduto di domenica)
Fino a 56 anni fa mancava una festa corrispondente al settimo giorno di Pessach (zayin), il cui nome cominciasse per ‘ayin. Non sarà forse proprio (Yom ha)-‘Atzmaut, che doveva cadere di lunedì?
6) La Mishnah in Meghillah 5a si sofferma su quei casi nei quali una certa ricorrenza si sposta dalla sua data naturale nel calendario. Generalmente, quando si pone questo problema, la soluzione adottata è quella di anticipare. Dopo la distruzione del Tempio, dei pochi casi in cui si posticipava ne è rimasto operante uno solo, quello dei Digiuni estivi che si rimandano alla domenica qualora la data cada di Shabbat. La ragione è spiegata nella Ghemarà: aqdumey pur’anuta la meqadminan, “non si affretta mai il ricordo di una punizione”. L’augurio è che Yom ha-‘Atzmaut non venga mai considerato alla stessa stregua di Tish’ah be-Av!
7) Quanto all’altro passo in Rosh haShanah 25b a proposito dell’episodio in cui R. Yehoshua’ fu costretto ad accettare l’opinione di Rabban Gamliel a proposito della data di Yom Kippur, perché così aveva deliberato il Sanhedrin, vorrei rammentare brevemente le parole conclusive di quella Sughyà: Mittokh shehaghedolim nishma’im laqetannim, noseim qetannim qal wachòmer be’atzmàn, “dal momento che i Grandi (in Eretz Israel) prestano ascolto ai Piccoli (nella Diaspora), i Piccoli arrivano ad argomentare a fortiori per conto loro (e a capire che tanto più essi devono prestare ascolto ai Grandi). L’errore più grave, in questo frangente, è stato nel fatto che i Rabbinati non si siano consultati fra loro prima di avallare la decisione. Sono pronto a fare ammenda per la mia piccola parte!
Un cordiale Shalom.
Rav Alberto Moshe Somekh
Rabbino Capo di Torino