Libro: Riso Kosher
Alessandro Izzi
Alle volte si vorrebbe che le statistiche contenessero più verità di una semplice sequela di numeri. Sarebbe bello poter chiudere l’infinita complessità del Reale in pochi dati immediatamente comprensibili e sempre disponibili alla consultazione dello studioso. Se ne potrebbe trarre un breviario che in poche pagine possa guidare l’autostoppista di adamsiana memoria nei meandri della galassia nella strana convinzione che tutto è comprensibile sia pure per paradossi.
Ad ogni domanda corrisponderebbe una risposta, una soluzione, una sentenza. Corredata, per di più, dalla piacevole illustrazione di un grafico a torta che, più degli altri, ci dà l’impressione di comprendere la totalità.
Ma i dati ricavati dal Reale sono sempre infinitamente interpretabili. Non gli cavi risposte certe come non caveresti, a spremerla, sangue da una rapa rossa.
Avviene così che alle stesse domande si accavallano risposte credibili, ma non sempre aderenti in tutto e per tutto a quel poco che sai di quella realtà che studi. Ad esempio nel 1975 Janus pubblica i risultati sorprendenti di uno studio che rivela che la maggior parte dei comici ebrei allora particolarmente in auge era sostanzialmente, profondamente triste.
Bella scoperta, direte voi che allattati a Pierrot e pagliacci sapete bene che per suscitare una risata bisogna aver prima molto pianto! Ma, aggiungiamo noi, è davvero una bella scoperta se si pensa che lo studio esce nell’America del dopo Kinsey in un contesto in cui la comunità ebraica si è, ormai assestata in una forma di convivenza che mai era stata così pacifica ed in cui sessualità e convinzioni religiose non erano più terreno di scontro.
Lo studio rivela, in fondo, che il terreno fertile della comicità è quello dell’integrazione e che la risata e lo stare insieme sono tutt’uno. I comici ebrei esorcizzano nella comicità il loro sentirsi esclusi. La loro ironia supera il baratro xenofobo e si assesta nella malinconia di un mondo meno diviso, più utopico.
Si ride insieme. Per questo i regimi tendono a prendere distanze dalla risata. Nel frattempo, dall’altro lato il comico diventa un direttore d’orchestra che accorda gli strumenti per ottenere un effetto più sinfonico nella consapevolezza che una risata li seppellirà.
Cinque anni più tardi Janus scopre che una grandissima percentuale di comici è di bassa estrazione sociale, che la stragrande maggioranza degli stessi è più legata alla madre che al padre (di qui la straordinaria presenza di madri nei testi di tutti i comici ebrei) e che l’azione comica era portata avanti dai giovani anche come forma di resistenza nei confronti degli ideali dei genitori visti come obsoleti e poco in sintonia con il mondo.
Sono belle statistiche che sembrano dirci molto. Sembrano confermare l’idea che la comicità sia stata, in America, uno strumento attraverso il quale gli ebrei, ridendo di loro stessi e facendo ridere gli altri su loro stessi, si facevano accettare più facilmente dalla cultura ospitante. Sembrano dirci quel che sappiamo già e che cioè se il comico è sempre un outsider allora è più facile per un ebreo (simbolo dell’outsider per eccellenza) essere un comico. Ci dice che il comico è un linguaggio che nasce sempre dal basso e poi volo alto verso le tavole dei re.
Eppure questo profluvio di statistiche che sfondano anche nella quarta di copertina dove siamo informati che il 3% degli americani è di origine ebraica e che l’80% dei comici è di origine ebrea, non è il fenomeno, ma il nostro goffo tentativo di comprenderlo. E la scoperta dell’ansia nel mondo dei comici sembra riguardare più i personaggi che gli attori che li interpretano. Non tutti i conti tornano e non per tutti la comicità è risposta ad una patologia.
Lawrence J. Epstein queste statistiche le mette nelle ultime pagine del suo poderoso volume. Ed un po’ vi fa cenno nell’introduzione, come a chiudere il corpo del suo libro in due parentesi di scientifica apparenza, come a darci la cornice del suo mondo. Ma non sono i dati che palesemente lo interessano.
Riso Kosher, libro di squisita erudita fattura, solo a tratti un poco faticoso, ma denso come e quanto un’enciclopedia, va oltre le statistiche ed affronta le persone. Racconta dei quartieri dove erano stipati gli immigrati ebrei e l’odore di cosce di pollo messe a tavola di persone che non avevano abbastanza soldi per comprarsi anche il petto. Racconta dei Marx e di Woody Allen, di Mel Brooks e di Ben Stiller. Racconta di cinema e Tv, ma soprattutto del mondo della stand up comedy delle Catskills in cui a dominare era, ed è, il rapporto diretto del comico col suo pubblico. Racconta di un mestiere prevalentemente maschile, ma che ha avuto anche esponenti potenti nel gentil sesso, non ultima la Fran Drescher di La tata che scopriamo, in originale, non ciociara come ce la passa la tv nostrana, ma ebrea.
Epstein va dalla gente e per ogni nome ha pronto un ritratto. Qualche volta il ritratto coglie momenti pregnanti della vita del soggetto (Lenny Bruce) altre volte la pagina corre via più sbrigativa (l’ultimo Woody Allen che è, comunque, ad onor del vero più cinema e meno comicità). Non di meno Riso Kosher è un gran bel libro. Un volume che chiede il suo tempo alla lettura, ma che ti lascia con dentro molto più che qualche nota erudita.
Autore: Lawrence J. Epstein
Titolo: Riso Kosher. Risata per risata, l’incredibile storia dei comici ebrei americani
Editore: Sagoma Editore
Dati: 352 pp, copertina brossura con alette
Anno: 2010
Prezzo: 18,00 €
http://www.close-up.it/spip.php?article6890