Intervista a rav Riccardo Di Segni di Maria Margherita Peracchino
La bioetica ebraica fa riferimento alla Halakhah -la tradizione giuridica dell’ebraismo-, la quale regolamenta particolari aspetti medici, “ha fondamenti sacri e meccanismi di sviluppo consolidati. Si basa infatti sulla tradizione religiosa, la Torah , il Talmud, e si muove nel quadro di una tradizione giuridica in cui ogni concetto deve, con rigore logico, derivare da quello precedente. Questo riferimento a un corpo giuridico particolare fa la differenzia dalla bioetica cattolica, di cui però condivide l’idea di un’origine sacra della tradizione a cui bisogna riferirsi” spiega Riccardo Di Segni, medico e rabbino capo di Roma, vicepresidente del Comitato Nazionale per la Bioetica.
30mila persone iscritte alle comunità e una potenzialità, quella del mondo ebraico italiano, di essere “punto di mediazione tra laici e cattolici” che non trova abbastanza spazio né nel dibattito della società civile, né nel dibattito politico. Una potenzialità che deriva anche dal fatto che, come ebbe a dire il Presidente dei medici ebrei, Giorgio Mortara, non c’è un punto di vista ebraico, unitario. “Unitarità no, per definizione. Da quando non c’è più il Sinedrio, il tribunale rabbinico scomparso con la distruzione del secondo Tempio, non si riconosce più alcuna autorità suprema.
Rabbino Di Segni, quale la posizione degli ebrei sul Testamento biologico?
Non c’è UNA posizione degli ebrei. Gli ebrei hanno diverse posizioni in base ai diversi movimenti di pensiero ai quali appartengono. La bioetica ebraica non è monolitica. Ogni situazione è un caso a sé, e al momento della decisione nel ventaglio delle possibili opinioni devono sempre trovare posto accanto all’autorità della tradizione il senso d’umanità e la capacità di entrare in simpatia con la persona. I cattolici dettano la regola sulla base dell’autorità centrale della Chiesa, nel nostro caso vi sono diverse autorità rabbiniche, ciascuna con capacità decisionali. E non è detto che tutti la pensino allo stesso modo. Se si consultano le raccolte ordinate di opinioni pubblicate su questi e continuamente aggiornate si può vedere come per ogni problema elencato c’è chi permette e chi proibisce. Siamo ben lontani dalla centralizzazione.
Capisco, parliamo dunque della posizione degli ebrei ortodossi.
Gli ebrei ortodossi si sforzano di trovare equilibrio secondo le diverse istanze in gioco: diritto del malato a non soffrire; obbligo del medico a non rimanere impassibile davanti al pericolo di morte di una persona; divieto di praticare l’eutanasia unitamente al riconoscimento del fatto che è lecito rimuovere gli impedimenti artificiali alla morte. In questo quadro, il Testamento biologico non solo è lecito, ma anche opportuno. Il mondo rabbinico riconosce la liceità e l’opportunità di disposizioni anticipate di trattamento quando queste sono conformi alle regole, ovvero la persona non potrà indicare azioni contrarie alla norma, tipo per esempio l’eutanasia attiva, mentre dovrà definire elementi quali, ad esempio, la soglia di sopportazione del dolore, e dovrà indicare una persona di sua fiducia, possibilmente una autorità rabbinica competente, che possa esprimere, nel caso il soggetto fosse impossibilitato, una opinione rispettosa della sua volontà ma anche delle regole religiose.
Uno degli elementi centrali nella legge all’esame del Parlamento è la definizione del valore dell’alimentazione e dell’idratazione. Le autorità rabbiniche come considerano alimentazione e idratazione?
L’orientamento quasi unanime delle autorità rabbiniche è quella di considerare alimentazione e idratazione come elementi essenziali della vita e non invece trattamenti terapeutici, quindi l’idratazione per l’Halakhah non è un intervento eccezionale né una terapia e dunque va assicurata. In linea generale, la morte non va accelerata, anche se è il malato stesso a chiederlo. L’esigenza legittima di liberarlo dalla sofferenza non prevale sul principio della santità della vita, il che non significa però che sia lecito accanirsi dal punto di vista terapeutico: la medicina è permessa nella misura in cui cura e guarisce. Allo stesso modo il decesso non va contrastato con mezzi artificiali. Anzi, ogni impedimento artificiale va rimosso. Nello Stato d’Israele, in base a una legge del Parlamento, risultato di un compromesso tra diverse visioni, è previsto il testamento biologico ma non è prevista l’interruzione di solidi e liquidi. Per tanto diciamo che è proibito ogni atto che acceleri la morte anche se non c’è più alcuna speranza di vita ed è il malato stesso a richiederlo. Allo stesso modo è proibito ritardare la morte con mezzi artificiali.
Altro elemento centrale nella proposta di legge in discussione al Parlamento è il vincolo, ovvero il non vincolo, per il medico di rispettare le volontà espresse dal paziente nel testamento biologico.
E’ un problema complesso. Da una parte c’è la volontà del paziente, dall’altra l’obbligo professionale del medico e i suoi principi etici. Non si può chiedere al medico di fare qualcosa contro la sua etica e la sua scienza. Il problema è armonia tra le due istanze.
La legge così come in questo momento è all’esame del Parlamento soddisfa la comunità ebraica?
Anche in questo caso non si può generalizzare e assolutizzare. Personalmente ritengo che questa legge garantisca al cittadino ebreo osservante di scegliere secondo i suoi principi religiosi (cosa che non fanno altre leggi, come quella sui trapianti o la fecondazione assistita). Se si entra in una discussione più generale, sui diritti di scelta libera che una parte dell’opinione pubblica considera limitati da questa legge, è evidente che vi sono dei problemi.
Sappiamo la forza della lobby cattolica. Quale invece la forza della lobby ebraica in Italia? E, sono state o ci saranno prese di posizione ufficiali da parte degli ebrei in sede parlamentare per questa legge?
Parlare di lobby non è corretto, e può essere ridicolo se non pericoloso. L’ebraismo italiano, nelle sue forme ufficialmente riconosciute, interviene di solito in situazioni di diretto suo interesse, ma con implicazioni generali, per esempio nel caso siano in discussione provvedimenti sulla discriminazione religiosa o sul razzismo o sulla memoria della Shoà; oppure quando ritiene che una legge possa impedire il libero esercizio della propria religione. Per questo motivo sul testamento biologico non ci sono state prese di posizione ufficiali, ma solo qualche spiegazione della posizione ebraica, in varie sedi, ma non in quella parlamentare (che non ce l’ha chiesta). E’ vero piuttosto che la bioetica ebraica spesso rappresenta un punto di mediazione. Una corrente di bioetica laica spesso si ispira al filosofo ebreo Hans Jonas, il cui pensiero è profondamente radicato nella posizione religiosa ebraica. Al tempo della discussione sulle cellule staminali, quando si era arrivati a due blocchi contrapposti, cattolici e laici, la scoperta che nell’ebraismo questo tipo di ricerca è accettato, se pure con dei limiti, ha avuto un impatto considerevole (è lecito l’uso per la ricerca scientifica di cellule staminali derivanti da cellule embrionali non più impiantabili). Fino allora, sui media e da parte cattolica, era passata l’idea che un credente non può accostarsi a questo genere di indagine. Le nostre opinioni possono entrare a far parte del dibattito generale. L’importante è tenere alto il livello d’attenzione e rispetto verso le diverse posizioni ed evitare qualsiasi radicalizzazione. Quando la bioetica ebraica afferma dei principi nel dibattito pubblico non lo fa per litigare, ma per allargare gli orizzonti e spesso suggerire delle mediazioni.
http://costruendo.lindro.it/2011/02/08/ebrei-nella-non-unitarieta-biotestamento-opportuno.