Alfredo Mordechai Rabello
“Il Signore gli [a Izchak] apparve in quella notte e gli disse: <Io sono il D-o di tuo padre Avraham; non temere, Io sono con te, ti benedirò e farò numerosa la tua discendenza in grazia di Avraham mio servo [avdì]>” (Gen. 26:24). Il profeta Isaia, riferendosi ad Avraham, lo chiama ohavi, che mi ama (41:8) ed il Meshech Chochmà (di Rabbì Simcha Hakohen) accenna al problema se non fosse stato preferibile usare anche qui questa espressione: non è forse superiore chi ama il Re rispetto a chi Lo serve?
Nel Talmud (Berachot 7b) ci insegna Rabbì Yochanan a nome di Rabbì Shim’on Bar Yochai che Avraham avinu fu il primo a chiamare il Santo e Benedetto “Adon”, Signore (Gen. 15:8): Avraham comprese che D. è il Signore del mondo, è in Suo potere dirigerlo secondo il Suo desiderio, sia secondo le leggi di natura, sia prescindendo da tali leggi; Avraham ha voluto cioè farci comprendere la presenza della Provvidenza divina, mettendosi completamente ed esclusivamente al servizio del Signore. Per questo, spiega il Maharal di Praga, fu data ad Avraham la mizvà della milà, essenziale per la formazione del brit (patto) con cui Avraham ha saputo uscire dai limiti della natura, stabilendo per se stesso e la sua discendenza una guida superiore alla natura.
La Berachà viene assicurata per merito di Avraham perchè era già morto ed ha dimostrato essere un vero giusto durante tutta la sua vita (Rav David Hofmann).
Ci troviamo di fronte a due middot assai importanti: quella della dedizione completa e quella dell’amore: il servo di un re, spiega la Ghemara` di Berachot (34b) ha dei privilegi che non ha neppure il suo ministro; egli viene considerato uno di casa, uno che può chiedere al re dei piaceri quando vuole, mentre quando si tratta di cercare di arrivare a comprensioni assai elevate abbiamo bisogno della dote dell’amore, come ci insegna il Rambam nelle sue Hilchot Yesodé Hatorà (2:1): “Questo D-o degno d’onore e timore è mizvà amarlo e temerlo, come è detto: “ed amerai il Signore tuo
D-o (Deut. 6:4) ed è detto: “ed il Signore tuo D-o temerai” (Deut. 6:13), spiegandoci poi come si può arrivare a tale amore e timore.
Beato l’uomo di cui il Santo e Benedetto testimonia essere suo servitore e suo amante, e noi, che siamo stati chiamati “figli del Signore” abbiamo un dovere particolare di amarLo e servirLo. Benedetti siano coloro che vedono la Torà ed il messaggio dei Profeti, la redenzione di Erez Israel attuali come se fossero stati proprio oggi (e non come vorrebbero far credere certi sinodi vescovili che mettono in dubbio il valore della Parola divina…).
Alfredo Mordechai Rabello (Jerushalaim)