Riccardo Di Segni
Miscellanea di studi in onore di Sergio J. Sierra per il suo 75. compleanno. A cura di F. Israel, A.M. Rabello, A.M. Somekh. Torino: Istituto di Studi Ebraici Scuola Rabbinica “S.H. Margulies – D. Disegni”, 1998
In onore di Rav Sergio J. Sierra, che dedicò uno dei suoi primi lavori di successo al tema del valore etico delle mitwòth.
* Questo studio si basa su una ricerca più ampia sulla storia dell’interpretazioni delle regole alimentari, in corso di preparazione. L’autore desidera ringraziare in particolare Angelo Piattelli, della Jewish National and University Library di Gerusalemme, per il prezioso aiuto nella ricerca di fonti ebraiche locali; è anche grato alle proff. Anna Foa, Judith Goldstein e Lucetta Scaraffia per importanti segnalazioni ed osservazioni.
1. Introduzione
Nella società contemporanea il rapporto con il mondo animale è vissuto in forme molto differenti dal passato. La cultura ebraica, che ha origini remote e radicate in forme di vita e di organizzazione sociale nelle quali la presenza animale era molto più forte e condizionante, risente di queste differenze in modo sensibile, e porta ancora con sé componenti determinanti derivate da questo rapporto. Il confronto con l’animalità ha fornito, tra l’altro, una serie di sollecitazioni per la definizione dell’identità ebraica. Questa nota intende proporre all’attenzione del lettore alcuni aspetti di queste riflessioni, come emergono dall’esame della vasta letteratura esegetica fiorita intorno al tema dei motivi delle regole alimentari ebraiche[1], nelle quali il rapporto con il mondo animale si pone in una delle forme più dirette e coinvolgenti. Il campione scelto per questa ricerca è relativamente limitato rispetto all’ampiezza delle fonti sul problema della definizione dell’identità, e non esaurisce certamente l’analisi, ma è sufficiente per proporre dati notevoli. In parallelo alle fonti ebraiche, inoltre, sono disponibili, proprio su questi stessi temi, alcuni dati provenienti dalla tradizione popolare cristiana. Il confronto di questi dati suggerisce importanti sollecitazioni per un’interpretazione integrata, che si inserisce in un dibattito più generale e molto attuale.
2. Gli indirizzi principali nelle fonti
2.1. I precetti (mitzwòth) che regolano l’alimentazione sono per gli ebrei lo strumento per superare l’animalità. Una delle idee centrali che accomuna i vari interpreti ebrei è che le regole alimentari abbiano un ruolo importante nel processo di elevazione spirituale dell’uomo. Esiste una componente materiale comune all’uomo e all’animale, e l’uomo è tenuto ad elevarsi al di sopra a questa componente, facendo bene attenzione a mantenere la differenza, sviluppando la parte intellettuale e morale che distingue l’uomo dalla bestia. L’alimentazione e le regole che l’accompagnano — specifiche per Israele — hanno un ruolo preciso in questa direzione. Questo concetto è presente in forma piuttosto frammentaria negli scritti di numerosi autori, in un ampio arco temporale, ed assume forme più sistematiche solo in alcuni pensatori, come Yitzchak ben ‘Arama, dove forse l’opposizione che si sottolinea è più quella uomo/animale che quella Israele/animale[2]. L’autore che più di tutti ha sviluppato in modo organico questi concetti è S. R. Hirsch[3], facendone la chiave per la comprensione globale dei vari divieti alimentari. Il principio generale è che esiste una opposizione totale tra l’animalità, da un lato, e la coscienza umana di un destino morale, quello di essere simili al Creatore, uomini santi, e regno di sacerdoti (commento a Gen. 7:2 e Lev. 11:4). La caratteristica divina dell’uomo, consistente nella libertà spirituale e nella volontà morale, è ciò che lo distingue dall’animale (comm. a Lev. 17:7 e 11:43); bisogna evitare qualsiasi identificazione dell’uomo con la bestia, in quanto rischiosa per la coscienza umana (comm. a Lev. 17); all’uomo, e in particolare ad Israele, è stata data la possibilità di raggiungere un obiettivo, che richiede un’attitudine particolare. L’alimentazione è legata alla qualità corporale dell’uomo, e come tale lo avvicina alla bestia; il fatto che l’uomo si nutra della bestia offende la coscienza della sua dignità; pertanto l’uomo deve ricordare il suo destino morale anche quando mangia (comm. a Lev. 17). L’ideale animale è quello della vita istintiva che sviluppa la sensualità umana; gli animali sono asserviti all’essenza corporale (comm. a Esodo 22:30).
Questi concetti generali trovano la loro conferma e vengono ribaditi nell’analisi dei singoli precetti. Il divieto del sangue stabilisce una separazione tra l’uomo e la bestia; il sangue è il rappresentante della nefesh; la nefesh animale non deve entrare nel confine umano, perché questo compromette la capacità dell’uomo di raggiungere la sua destinazione (comm. a Gen. 9:4, Lev. 3, Deut. 12:23). Il grasso proibito (chelev) rappresenta gli scopi dell’uomo, la destinazione di tutte le sue realizzazioni al «fuoco della religione» (comm. a Lev. 3:6-17). Il sacrificio, e così la macellazione rituale, rappresentano la rottura del legame con il mondo della natura, e rendono adatto il corpo dell’animale al destino dell’uomo (comm. a Deut. 12:21 e 14:21). Mangiare «sul sangue», atto che la Torà probisce (Lev. 19:26), l’uomo vede sé stesso come una bestia (comm. a Lev. 19:26). Con il precetto della copertura del sangue (Lev. 17:13) si segnala la differenza tra la nefesh umana, che fu soffiata dall’alto e quella animale che fu creata dalla polvere e che deve pertanto tornarci (comm. a Lev. 17:13)[4]. Mangiare animali sbranati è un inciampo nella strada verso la nostra sacra destinazione; l’animale morto per cause naturali è «l’animale che che è stato destinato al mondo delle basi privo di libertà» e pertanto non deve essere integrato nell’essenza personale umana (comm. a Deut. 14:21). È proibito mangiare membra prese ad animali vivi, in quanto sono ancora asservite alla nefesh animale (comm. a Gen. 2). Nel divieto di mescolare carne e latte (Esodo 23:19, 34:26 e Deut. 14:21), la carne rappresenta «la qualità fondamentale dell’essenza animale, l’asservimento dei sensi e del movimento allo scopo alimentare e sessuale», mentre il latte rappresenta «il lato vegetativo della vita animale», e su entrambi si pone l’eccellenza dell’uomo al quale è stata data «la libera volontà e la libertà spirituale» (comm. a Es. 23:19). Nel divieto degli animali impuri, le specie permesse sono quelle in cui «la forza animale non vi domina in modo decisivo; l’animale selvatico non si può mangiare se non ha una qualità domestica, che è la tendenza a piegarsi alla signoria dell’uomo» (comm. a Gen. 9:2). La nostra natura e la nostra destinazione sono in opposizione a ciò che è abominevole; c’è un’opposizione sostanziale tra la qualità umana e quella degli animali brulicanti, e la natura della nostra nefesh deve renderci capaci a renderci simili al Creatore (comm. a Lev. 11:11 e 43).
2.2. Il modello morale. Una corrente piuttosto ampia di interpretazioni tradizionali individua nei divieti alimentari dei significati morali, con speciale riferimento al problema della violenza. I commenti sottolineano come i precetti insegnino a comportarsi con misericordia, e ad allontanarsi da azioni ed attitudini malvagie. In questa prospettiva gli animali diventano un campo di esercizio di virtù, o un modello positivo o negativo, da imitare o rifuggire. Il tema si sviluppa quindi in due direzioni prevalenti: l’esame delle caratteristiche degli animali permessi o proibiti, e l’educazione a non esercitare violenza sugli animali. In entrambe le direzioni emergono dei tentativi di definizione del rapporto tra Israele e le nazioni.
Il Levitico al capit. 11 (vv. 3-8), dopo avere indicato i due segni necessari per permettere gli animali quadrupedi (lo zoccolo con unghia fessa e l’essere ruminante), porta quattro casi di animali (cammello, coniglio, lepre, maiale) che avendo un solo segno sono proibiti. Secondo il midrash i quattro animali rappresentano quattro regni. Vi sono differenti versioni di questo midrash[5], comunque tutte concordano sul fatto che il quarto regno, il più negativo, quello che si identifica con maiale, è Edòm=Roma. I meccanismi midrashici che sostengono gli accostamenti animali-regni sono differenti. Tra questi si segnala la riflessione sulle caratteristiche dei due segni di purità: uno, lo zoccolo, posto all’esterno, l’altro, l’essere ruminante, all’interno; per cui un animale come il maiale, che ha lo zoccolo fesso, e che sembra all’esterno puro, ma all’interno non lo è, è il prototipo dell’ipocrisia. Per questo il maiale è Edòm: «nel momento in cui si posa in terra tira fuori gli zoccoli e dice:– vedetemi, sono puro¹ – ; così il regno di Edòm si vanta, e connette violenza e rapina e si presenta come se stesse praticando una giustizia vera»[6].
Le fonti successive trasmettono queste interpretazioni, e non è difficile riconoscere in questo processo di trasmissione la costanza e la vitalità di una identificazione polemica e attuale, con il potere esterno ad Israele. Una tardiva elaborazione particolare di questo tema, con queste specifiche caratteristiche, è quella suggerita da Efraim Luntschitz: «si mostrano come persone per bene, come se avessero intenzione di fare del bene ad Israele, ma il loro interno è malvagio e amaro»[7].
L’aspetto speculare di questo tipo di interpretazione è nella definizione delle caratteristiche ideali di Israele. Il tema emerge nella riflessione sulle qualità degli animali proibiti. In molti di questi la qualità comune è la rapacità, o l’essere carnivori, mentre gli animali permessi sono in genere vegetariani. È questo viene apprezzato un’opposizione morale tra la prepotenza, l’ingiustizia, l’oppressione e la rapina da una parte, e le virtù opposte dall’altra. Il Signore predilige il perseguitato e l’offeso (in cui Israele si identifica). I commenti sottolineano come già nella letteratura biblica esistano numerose immagini che paragonano i malvagi ad animali impuri ed i giusti ad animali puri[8]. La regola che stabilisce che «ogni uccello rapace è impuro» si trova nella Mishnà; l’interpretazione in senso umanitario e nazionale ebraica compare già nell’ebraismo alessandrino ed è diffusa nei commenti, dal medioevo ad oggi[9].
Quando poi si passa all’altro tema, le regole alimentari come freno alla violenza, il motivo si colora di senso di identità nazionale ebraica, per cui l’opposizione all’omicidio diventa una caratteristica nazionale, è ciò che distingue Israele da Esaù. La forza bruta è stata data nelle mani di Esaù, mentre la forza d’Israele dipende da forze superiori[10].
2.3. L’elaborazione mistica. La qabbalàh ha fornito diverse chiavi di lettura delle regole alimentari. Tra queste emerge un preciso indirizzo di sviluppo del tema dell’opposizione simbolica tra Israele e gli altri popoli, in parte autonomo, in parte integrato con i concetti precedenti. L’idea centrale si trova nello Zohar e viene ripresa da molti altri testi.
Come esiste un mondo puro e sacro, così esiste un’altro mondo, ad esso opposto e speculare, impuro, chiamato anche «l’altro lato», simbolo delle forze dell’impurità e dell’istinto malvagio. Le forze del male, «gli esterni», attaccano in continuità il lato sacro, che vogliono conquistare e nel quale intendono radicarsi. Le regole alimentari cercano di allontanare l’uomo da qualsiasi rischio di contatto con quelle forze, e in qualche modo anche di saziare le forze impure con il cibo a loro adatto. Ciò vale soprattutto per le regole che distinguono gli animali permessi e proibiti. Esistono anime che provengono dal lato puro, quello di destra, e anime che provengono dall’altro lato, la sinistra; Israele deriva dal lato destro, e così gli animali puri, mentre gli altri popoli derivano dal lato dell’impurità, insieme agli animali impuri. Chi mangia gli animali che provengono dal lato impuro rende impuro sé stesso e la sua nefesh, che provengono dal lato puro; per questo i cibi impuri sono proibiti ad Israele[11].
Recanati esprime l’opposizione nel senso che gli animali puri sono stati creati dal chesed, l’amore, mentre quelli impuri derivano dalla middat haddìn, l’attributo della giustizia; il concetto è ripreso da David ben Zimra (il Ridbaz); l’opposizione si basa su un tema mistico fondamentale, secondo il quale il male deriva da una ipertrofia dell’attributo della giustizia.[12].
Sempre su questa linea, alcuni autori hanno spiegato il legame esistente tra i segni che consentono di riconoscere se un animale è permesso e l’origine della loro specie. I quadrupedi permessi, che per essere tali devono avere due segni, provengono da un luogo santo e puro che il Sefer haQanà[13] chiama pardes weheqqef (l’«agrumeto» e il perimetro) e l’‘Etz chayyim[14] il luogo dell’unità (yyìchud); gli animali che hanno un solo segno derivano da un luogo vicino all’heqqef, o provengono dal luogo della divisione, il lato dell’impurità (‘Etz chayyim); gli altri animali, che non hanno neppure un segno, rappresentano «l’impurità eccessiva» (‘Etz chayyim). Il Sefer haQanà spiega di conseguenza il senso del divieto: esiste un’Hekhàl (santuario) interno dove solo ad Israele è consentito accedere, e che «quando Israele commette una trasgressione allora gli esterni vi si attaccano ed entrano insieme a lui nel sacro Hekhàl», cosa che può provocare la distruzione del mondo.
La discussione di questo tema prosegue anche in autori più recenti: secondo il Sochatchower[15] un segno solo di purità indica che gli animali hanno una radice nella santità, ma scendendo verso il basso sono diventati impuri completi.
Le interpretazioni di questo tipo sono estese agli altri animali proibiti. Il Ridbaz, ad esempio, riferisce l’opinione di un grande cabalista (leshon echad migdole ha’avodà) che spiega il significato dei nomi degli uccelli proibiti (Lev. 11:13-19) e degli otto animali «brulicanti» (ibid. v. 29) nel senso di «permutazioni opposte» (temurot hefkhiiot) alla sacralità superiore»[16].
Un autore poco noto del XVII secolo[17] così spiega il parallelismo dell’opposizione tra Israele e gli altri popoli e tra animali permessi e proibiti: Giacobbe (il patriarca, che si identifica con Israele) rappresenta il toro della merkavà, il carro della visione di Ezechiele (Ezech. 1:10), da cui succhiano latte tutti gli animali puri; in corrispondenza opposta c’è Esaù, che è il maiale della merkavà impura dal quale prendono nutrimento tutti gli animali impuri.
Questo tipo di concezione fornisce un modello unitario che spiega anche altri divieti alimentari. Ad esempio, anche il sangue e il grasso, che sono proibiti, provengono dal lato sinistro[18]. Le alterazioni degli animali che li rendono proibiti (terefòt) sono esempi di danni e alterazioni nel mondo superiore; le 70 terefòt enumerate dalla tradizione rabbinica sono i settanta rami dell’albero superiore dove si vanno ad attaccare i settanta principi delle nazioni del mondo[19]; il Sefer haQanà sottolinea che quando un’altra classificazione della tradizione rabbinica parla di 8 tipi di terefòt si riferisce agli otto figli di Abramo e Qeturà, che sono «tutti esterni e lontani, che colpiscono e uccidono, solo che possono colpire anche senza uccidere, mentre i figli di Esaù hanno in mano la spada sguainata, sbranano senza misericordia»[20].
È inoltre possibile identificare nelle fonti mistiche citate e in molte altre un’intersezione tra il tema mistico della sacralità-purezza, e quello della moralità e della violenza. È l’opposizione in termini cabalistici tra la middat hadìn e la middath harachamìm, gli attributi opposti di giustizia e misericordia. Il Sefer haQanà[21] arriva a dire che «i puri sono misericordiosi e gli impuri malvagi»; altri dicono che «la malvagità è una forza esterna rispetto alla santità»[22].
Da segnalare, infine, una tesi isolata, tardiva ed originale, che prende origine dalla teoria mistica delle shemittòt, i cicli di settemila anni in cui sarebbe divisa la storia del mondo, secondo il Sefer haTemunà. Nell’ambito di questa teoria si sostiene che gli esseri umani della shemittà attuale erano animali nella precedente, così come gli animali di questa shemittà saranno uomini nella prossima. Israele è chiamato «gregge sacro» (Ezec. 36:38), perché è il gregge della shemittà precedente, mentre le nazioni del mondo sono gli animali impuri della precedente shemittà. Le regole alimentari, secondo questa teoria diventano lo strumento per preparare gli animali di questa shemittà a trasformarsi in uomini nel ciclo futuro[23].
2.4. La tradizione cristiana. Le proibizioni alimentari ebraiche hanno sempre destato la curiosità e l’interesse all’esterno del mondo ebraico, e numerose sono state le proposte interpretative formulate. Un gruppo particolare di rappresentazioni e interpretazioni, che si ricollega al tema qui discusso, riguarda il rapporto della cristianità con l’alimentazione suina. L’allevamento del maiale, la sua macellazione, il trattamento delle sue diverse parti e la loro consumazione rappresentano una componente significativa nell’economia e nelle abitudini alimentari della cristianità. Questo dato contrasta con l’astensione ebraica dal maiale, che, tra le regole alimentari, rappresenta l’elemento di distinzione alimentare più eclatante tra gruppi diversi che da secoli vivono a stretto contatto. È stato messo in evidenza come esista, quasi paradossalmente, un vasto complesso di tradizioni colte e popolari, leggende, modi di dire, che identifica a vari livelli gli ebrei con i maiali. Si citano come esempi, tra gli altri:
- il complesso mitico sulla «scrofa degli ebrei» (Judensau), sorta di animale mitico che li nutre con i suoi escrementi, li allatta e fornica con loro (fig. 1);
- narrazioni popolari su Gesù che trasforma in maiali degli ebrei, che gli hanno mancato di rispetto, e che in tal modo giustificano l’astensione ebraica dal consumo del maiale;
- nella stampa antiebraica sull’omicidio rituale, la rappresentazione grafica degli ebrei che compiono l’infanticidio contrassegnati con un distintivo di maiale al posto della abituale rotella gialla;
- la discussa ma probabile etimologia di «marrano»;
- modi di dire e gesti offensivi – come quello di simulare orecchie di porco con i lembi della giacca – che collegano gli ebrei ad un’origine e parentela suina[24].
In un tentativo antropologico recente di inquadramento di questo materiale tanto complesso, è stata proposta una teoria interpretativa che si sviluppa su questa linea:
- Nella società cristiana il consumo del maiale è stato quasi imposto, nell’intento di eliminare ogni possibile distintivo di giudaizzazione.
- Nella società cristiana, soprattutto rurale, l’allevamento quasi domestico del maiale ha molte analogie con l’allevamento di un bambino anche per il tipo delle cure intensive necessarie, l’anatomia e la patologia simile.
- Una tale identità espone, al momento della macellazione e del consumo, al problema del cannibalismo, come se si uccidesse e mangiasse qualcuno della propria specie.
- Contro questo rischio sono state messe in atto varie distinzioni e atti rituali.
- L’ebreo che evita il consumo del maiale ripropone come una sfida il problema della identità-differenza con l’animale, che deve essere quindi risolta con una interpretazione speciale.
- Per questo il maiale e l’ebreo vengono entrambi relegati e identificati con la diversità; la diversità del maiale rispetto al cristiano ne consente l’uso alimentare, mentre l’identità del maiale con l’ebreo spiega perché costui se ne astiene; per l’ebreo sarebbe come mangiare sé stesso, sarebbe cannibalismo.
- D’altra parte l’ebreo che non può mangiare maiale cerca sostituti in ciò che per lui è diversità, e questo spiega perché cerchi il sangue cristiano per la propria alimentazione, spiegando in tal modo la profanazione dell’ostia e l’omicidio rituale[25].
3. Discussione
I dati fin qui esposti pongono numerosi problemi interpretativi. Alcune domande a cui si cercherà di rispondere sono:
- Come è possibile inquadrare gli sviluppi del pensiero di alcuni esegeti ebrei sull’argomento.
- Esiste un rapporto tra i temi sviluppati dalla tradizione ebraica e quella cristiana?
- Come si pongono i dati esaminati rispetto al problema di ciò che è stato definito, fino a pochi decenni fa, il «totemismo».
3.1. Lo sviluppo del pensiero ebraico. Bisogna sottolineare, prima di tutto, come i dati che sono stati finora presentati siano solo una piccola parte di un’ampia letteratura che risponde alle stesse domande in modo molto differente. Inoltre, già l’esame delle sole fonti qui citate mette in evidenza come non esista una linea unitaria sull’argomento. Il modello animale è vissuto e interpretato secondo differenti parametri. Da una parte c’è la riflessione sul dato elementare della differenza tra uomo e animale, e sul valore formativo della Torà, che avrebbe lo scopo di realizzare quelle potenzialità che all’animale non sono possibili. L’ebreo quindi, grazie allo studio e alla pratica della Torà, che è suo patrimonio specifico, ha lo strumento per la realizzazione della sua umanità piena. Questa linea interpretativa trova la sua più compiuta espressione nel pensiero ottocentesco di S. R. Hirsch. Animalità, come dato negativo da superare, significa istintualità, passione incontrollata, automatismo dei sensi, impossibilità della scelta etica. Nel rapporto con le altre nazioni del mondo, questo tipo di interpretazione non esclude la possibilità e il dovere che l’umanità non ebraica ha di sollevarsi rispetto alla condizione animale, anche grazie alle norme specifiche che la Torà le impone di osservare; ma per quanto riguarda Israele si vuole sottolineare come la Torà fornisca una sorta di formula specifica e potente per l’innalzamento sulla condizione animale e la realizzazione della piena umanità. In ogni caso si tratta di un’opposizione uomo-animale, o Israele-animale che non fa distinzioni nell’ambito dell’animalità.
Il discorso che viene fatto sul piano più specificamente morale inserisce invece una divisione nel mondo animale, tra positivo e negativo, che viene trasportata in parallelo sul piano umano, e che nel pensiero di alcuni autori diventa la rappresentazione delle qualità e delle virtù che distinguono, o dovrebbero distinguere come ideale di comportamento, Israele dagli altri popoli. Si opera quindi una divisione binaria, verticale, della realtà che attraversa l’animalità come l’umanità, a differenza della divisione precedente che voleva separare, con una linea orizzontale, umanità da animalità.
La distinzione che per molti autori resta sul solo piano della moralità, degli ideali da perseguire, diventa, in alcuni sviluppi del pensiero mistico una differenza molto più radicale e originaria. Si tratta di una divisione che ha la sua radice, origine ed essenza nella realtà dei mondi superiori, dove esiste un’opposizione tra due lati, e dove il lato negativo vuole perennemente aggredire e conquistare la parte positiva e sacra.
Tutto ciò potrebbe essere inteso come una forma di integrazione del discorso morale sul piano metafisico. Non bisogna però dimenticare che, almeno dal punto di vista storico-critico, l’idea dello Zohar ha dei riscontri in altre culture più antiche. È già stata segnalata l’analogia con temi della religione zoroastriana, basata sull’opposizione tra le forze del bene e del male; nelle sue regole alimentari gli animali sono proibiti perché derivano dal dominio del male e delle tenebre. Alcuni parlano di un influsso esterno sulla qabbalà; altri preferiscono riconoscere in questo parallelismo solo la prova della diffusione antica, anche fuori dall’ebraismo, di un’idea che si ritrova nello Zohar[26]. Parlando di analogie, peraltro indubbie, non bisogna perdere di vista la specificità: e la più rilevante, nella elaborazione zoharica del tema, sembra quella di aver esteso la classificazione binaria dal mondo animale a quello umano, dividendo anche i popoli secondo lo stesso criterio. Non si può nascondere la natura estremistica di questa evoluzione, che nella storia successiva del pensiero mistico verrà spesso sfumata o superata[27].
3.2. Il rapporto con la visione cristiana. È qui si pone il problema del perché di questo sviluppo, e dei suoi eventuali rapporti critici e oppositori con le idee circolanti nel mondo cristiano.
Prima di entrare in questa discussione dobbiamo tener presente che ciò che è stato detto dell’ideologia cristiana sull’argomento è in parte dato obiettivo, ma anche, in buona parte, un’elaborazione interpretativa antropologica attuale, contro la quale sono state formulate delle critiche, che possono essere così riassunte:
- I dati che vengono portati nell’analisi sono estratti da un contesto troppo ampio e disperso, sia in senso geografico che in senso temporale.
- Il complesso rituale che si sviluppa intorno all’allevamento del maiale non può essere spiegato solo alla luce dell’opposizione cristiano-ebraica.
- Molti temi portati nell’analisi non hanno rapporti dimostrabili con la polemica anti ebraica; la profanazione dell’ostia, ad esempio, ha essenzialmente un valore di polemica interna al mondo cristiano e serve come mezzo per affermare una tesi teologica.
- Ogni singolo dato va riportato a un contesto specifico e alle dinamiche locali che l’hanno determinato; in molti dei luoghi citati gli ebrei non sono mai passati.
- È come se si sia voluto dimostrare un’ipotesi a priori portando a sua conferma solo i dati favorevoli[28].
- Più in generale non bisogna ignorare che nella cultura cristiana intorno al tema del maiale si sviluppano altre serie di associazioni che vertono intorno al tema della diversità del rischio, come quello di malattie particolari (lebbra, sifilide ecc.), che non hanno necessariamente rapporti con gli ebrei.
Comunque, al di là di queste legittime osservazioni, che soprattutto escludono le possibilità di un’interpretazione globale delle disparate fonti cristiane, rimane un dato rilevante: l’ebreo viene sovente identificato dal cristiano con il maiale, proprio per sottolinearne la diversità dal cristiano; e questo probabilmente suggerisce al cristiano la spiegazione del perché l’ebreo non mangia il maiale, perché per lui sarebbe come cannibalismo. Resta discutibile l’interpretazione ulteriore del fenomeno, la teoria della sostituzione, che farebbe supporre al cristiano che l’ebreo cerca nel sangue del cristiano quell’alimento diverso che l’identità con il maiale gli proibisce.
Se quindi rimaniamo ai dati semplici e piuttosto certi della questione, abbiamo comunque il rilievo di due interpretazioni opposte e paradossalmente speculari: per l’«ebreo» (o meglio per alcune correnti interpretative ebraiche) l’altro, l’oppositore, il persecutore che usa la forza, si identifica con gli animali proibiti, e in particolare il più cattivo dei nemici (Edòm=Roma=Cristianità) si identifica con il maiale; per il «cristiano» (o meglio in alcune tradizioni cristiane variamente diffuse) l’ebreo, il nemico, l’estraneo irriducibile si identifica con il maiale.
La somiglianza è forte, ma bisognerebbe in qualche modo frenare le tentazioni a stabilire un rapporto di dipendenza stretto tra le due identificazioni opposte, come se una fosse la risposta polemica all’altra.
In termini prima di tutto storici, per poter giustificare un rapporto del genere, bisognerebbe avere la certezza di un luogo e di un tempo di confronto coincidenti, ma questa certezza non è in alcun modo dimostrabile; per quanto riguarda la parte ebraica, luogo ed epoca di un possibile confronto, almeno per la frequenza e l’intensità delle fonti disponibili, potrebbero essere la Francia o la Spagna dei secoli XIII-XIV; ma, se si tengono presenti le elaborazioni midrashiche del rapporto con Edòm, bisogna prendere atto che in campo ebraico molti dei concetti erano già maturati da molto tempo.
Se poi ci si muove in un piano puramente teorico, i dati in nostro possesso indicano, almeno per la parte ebraica, una complessa storia elaborativa, nella quale il maiale viene dopo, già alle origini come impuro, e da evitare; l’identificazione nazionale del maiale viene dopo. Nel ragionamento cristiano lo schema è più complesso, perché il maiale non è l’assoluta negatività come è per gli ebrei, è invece alimento abituale e ricercato; quindi la sua carica simbolica è perlomeno ambigua, e diventa negativa quando diventa segno di diversità, animalità e ancora di più di sporcizia.
Inoltre il processo simbolico ebraico passa attraverso meccanismi culti, con la riflessione midrashica sulle particolarità del testo biblico, l’elaborazione del tema dell’ipocrisia e della violenza, e ancora di più nei meccanismi complessi della simbologia cabalistica. Il dato semplificato che riassume i termini dell’identificazione compiuta in campo ebraico non può fare a meno di una complessa tradizione letteraria. Nel campo opposto, invece, la versione proposta dalle tradizioni cristiane sembrerebbe più immediata, istintiva e meno elaborata, a meno che non si mettano in gioco le complesse dinamiche psicologiche — l’interpretazione — come si è visto discutibile – dell’antropologia attuale suggerisce.
Da un altro punto di vista, anche la premessa logica del ragionamento è radicalmente differente: per il «cristiano» (qui di seguito usiamo, come per l’«ebreo» questo termine molto schematicamente, per indicare chi in campo cristiano o ebraico sostiene queste tesi) l’ebreo non mangia il maiale perché l’ebreo non mangia ciò che è uguale a lui; per l’«ebreo» l’ebreo non mangia il maiale perché è da lui diverso, mentre il cristiano lo mangia perché gli è simile. Quindi il cristiano si può mangiare solo ciò che è diverso, per l’ebreo solo ciò che è simile. Entrambi i punti di vista sono certamente d’accordo nel rifiuto del cannibalismo, nel senso del rifiuto di mangiare il proprio simile; la differenza delle conclusioni deriva oltre che dalle identificazioni differenti, dalla complessità della classificazione. Il punto di vista cristiano potrebbe basarsi su un’opposizione binaria uomo/animale, che colloca l’alimento nella seconda classe, e che ammette delle ambiguità, trasferendo quindi l’ebreo per alcuni suoi aspetti nell’altra classe, da quella umana a quella della diversità, inferiore e bestiale:
| UOMO | ebreo | |
| ======= | ⬇ | linea di confine di diversità e commestibilità |
| ANIMALE | ⬇ |
Nella classificazione della mistica ebraica interagiscono invece due diverse distinzioni binarie, una tra puro/impuro, che divide sia il campo umano che quello animale, e un’altra uomo/animale. Dal sistema di distinzione duplice derivano quindi quattro gruppi:
| PURO | IMPURO | |
| UOMO | Israele | Edòm ecc. |
| ANIMALE | Bovini, ovini, caprini ecc. | Maiale ecc. |
In definitiva, malgrado certe sorprendenti analogie formali, le vie di comunicazione tra i due sistemi non sono affatto scontate. Non si può negare tuttavia che l’insistenza della parte cristiana su un tema polemico così forte possa aver contribuito allo sviluppo, al mantenimento e all’insistenza della tesi ebraica apparentemente opposta, come risposta culturale confortante.
3.3. Il «totemismo». In tutta questa discussione non si può ignorare un altro aspetto del problema, che potrebbe essere definito di «totemismo», usando un termine di riferimento nella ricerca antropologica dell’ultimo secolo. Il concetto di totemismo ha avuto, come è noto, un’importanza centrale nell’analisi dei fenomeni religiosi e culturali, per poi essere radicalmente ridimensionato e rielaborato[29]. Il totemismo è stato per molte culture primitive il modello esplicativo di determinati comportamenti e organizzazioni sociali; nei momenti di maggiore successo dell’idea presso gli studiosi, molti hanno cercato di usarlo per intepretare la storia religiosa dell’ebraismo; ormai superato del tutto è l’intento di farne un modello universale. Nella spiegazione dei comportamenti alimentari, il concetto di totemismo entra in gioco quando si stabilisce un rapporto di discendenza mitica tra un gruppo e una specie animale, rapporto che viene quindi proiettato in proibizioni o scelte alimentari collegate a quella specie. Anche per i divieti alimentari ebraici è stata in qualche modo ipotizzata una origine totemica più o meno remota; ma l’ipotesi non può trovare alcuna conferma attendibile, sia per la difficoltà di trasferire all’ebraismo modelli molto lontani alla sua organizzazione storica, religiosa, sociale, sia per la complessità del sistema delle proibizioni alimentari, e di cui non sembra corrispondere una parallela e collegata forma di organizzazione sociale. Queste osservazioni possono valere per far chiudere il discorso per i dati biblici, ma paradossalmente il problema del totemismo si può riaprire alla luce dei dati della tradizione esegetica postbiblica che abbiamo presentato.
È come se esistesse, o riaffiorasse, un sistema nel quale il collegamento con l’animale diventa un criterio classificatorio sociale: l’animale «puro» definisce Israele; entrambi fanno parte di un «gruppo» di comuni origini, che si distingue da gruppi animale-uomo di diversa origine.
Bisogna tuttavia dire che questa strana analogia non va distinto al di là della costatazione di una qualche corrispondenza. Nelle sue forme reali e documentate di presenza, il totemismo appare più come un sistema di classificazione di tanti più o meno piccoli gruppi diversi nell’ambito di una società; qui si tratta di distinguere un popolo da altri popoli; nei modelli ebraico e cristiano la classificazione è essenzialmente binaria. Inoltre sembra una caratteristica del totemismo la teoria della discendenza del gruppo umano da un antenato comune animale; nel nostro caso non è l’uomo che deriva dall’animale, ma entrambi derivano da una fonte comune, e quindi più essenzialmente, l’identità non è definita né da quel gruppo umano, né da quell’animale, quanto da un’origine comune più alta.
L’unica eccezione a questo sarebbe la teoria che si basa sulle shemittòt, che tuttavia appare isolata e tardiva, e comunque ancora troppo diversa dalla comune accezione del concetto di totemismo.
E ancora, dal punto di vista sociale, la definizione di gruppo che nasce con l’identificazione totemica, serve a stabilire i confini oltre i quali è consentita un’unione sessuale, esattamente al contrario di quanto accade con la definizione dell’unità ebraica che vuole essere strettamente endogamica. E infine non si può ignorare, per tutto l’arco spaziale e temporale in cui le interpretazioni che abbiamo discusso sono state formulate, un’assenza di reali modelli noti, vicini, capaci di ispirare o influire sul tema totemico. Il problema dell’affinità deve essere allora rinviato a categorie psicologiche ideali, a necessità classificatorie primordiali che di tanto in tanto riaffiorano nella coscienza umana.
Resta comunque, innegabile, il dato dell’importanza del mondo animale come strumento di classificazione della realtà e di definizione di identità di gruppo.
4. Conclusioni
Nell’ampio arco di produzione esegetica e interpretativa che abbiamo considerato, il mondo animale fornisce diversi spunti per definire la condizione umana e soprattutto quella ebraica. Il tema si sviluppa in modi molto diversi secondo le varie tendenze interpretative, e spesso si incontra e si scontra con riflessioni parallele del mondo cristiano. La sua importanza è relativa, sia nell’ambito dell’interpretazione dei motivi dei precetti, e delle regole alimentari in particolare (dove queste teorie sono soltanto una parte di un sistema molto più complesso) che nell’ambito della riflessione ebraica sulla propria identità; tuttavia queste teorie sono interessanti per la testimonianza che offrono sui sofferti tentativi di misurarsi con il tema della diversità, nel quale anche le più remote e primitive pulsioni umane vengono continuamente alla superficie e rielaborate, talora con intenti polemici, talora con l’angoscia di comprendere il proprio ruolo nel mondo, talora con l’intento di individuare le radici sacre della condizione umana e della sua potenzialità.
RICCARDO DI SEGNI
[1] Sull’interpretazione dei motivi dei precetti, il riferimento bibliografico principale è ancora I. HEINEMANN, Ta’amè hamitzwóth besifrat Yisrael, 5a ediz., Gerusalemme 5726-1966; sulla posizione rabbinica E.E. URBACH, The sages, their concepts and beliefs (in ebraico), Gerusalemme 5731-1971, pagg. 320-347; una sintesi del problema in A. Altman, G. Scholem, la voce «Commandments, Reasons for», Encyclopedia Judaica, vol. 5, rispettivamente col. 783-789 e 789-792; una nuova classificazione in A. Kaplan «Explanations of Rituals», Daat 1984, pp V-XIX. Una raccolta antologica recente di «spiegazioni di precetti», ultima di una lunga serie letteraria, è quella di A. CHILL, Hamitzwòth weta’amehen (in ebr.), Keter, Gerusalemme, s.d. (1992?). Le norme alimentari studiate in questa nota sono quelle che regolano il consumo di alimenti derivanti dal mondo animale. Le fonti ebraiche derivano da una ricerca nella tradizione rabbinica classica (letteratura talmudica e midrashica) e nell’esegesi successiva fino ai nostri giorni (circa 75 autori e 90 opere).
[2] Moshe ben Nachmanide, Gerona 1194 – Acri 1270, Commento alla Torà, Genesi 1:29; Yosef Albo, Aragona, fine XIV-inizio XV sec., Sefer ha’Iqqarim 3:15, riportato da Yizchaq Abrabanel (Lisbona1437- Padova1509) nel Commento a Deuteronomio 14; il commento biblico di Abrabanel fu scritto in Italia negli ultimi anni di vita dell’autore; Elqanà ben Yerocham Ram (Spagna XIV sec.), Sefer haQanà (ediz. Cracovia 5654, anastatica Gerusalemme 5734) pag 129; Yizchaq ben ‘Arama (Spagna 1420 – Napoli 1494), ‘Aqedath Yitzchaq Esodo, Sha’ar 41; Chayyim ibn ‘Attar (Marocco 1696 – Gerusalemme 1743), Or haChayyim Lev. 17; Moshe Chayyim Luzzatto (Padova 1707 – Eretz Israel 1747) Mesillat Yesharim (prima ediz. 1740) cap. 11; Avraham Tubiana, Eshel Avraham, Livorno 1783, mitzwà 63; Ya’aqov Meklemburg (Germania, m. 1865) HaKtav wehaQabbalà Genesi 9:2.
[3] Amburgo 1808 – Francoforte 1888; fu il principale sostenitore della resistenza dell’ortodossia ebraica alla Riforma. Le citazioni che seguono si riferiscono al suo Commento al Pentateuco, (pubblicato in tedesco 1867-1878; in traduzione ebraica, Gerusalemme 1986).
[4] Concetto già esposto da I. S. Reggio (Yashar, Gorizia 1784-1855) nel suo Commento alla Torà (in ebraico, Vienna 1821), Levitico 17.
[5] Wayqrà Rabbà 13:5, Tanchumà, Shemini 8, Yalqùt Shim’oni 536.
[6] Shochar Tov a Tehillim 80:2, Wayqrà Rabbà ibid.
[7] Efraim S. Luntschitz (m. a Praga 1619), Keli Yaqàr (1a ediz. 1602) Parashat Shemini.
[8] Cfr. le immagini dell’aquila in Deut. 28:49, Ger. 49:22, quella del leone, del lupo e del leopardo in Ger. 5:6, quella del leone in Salmi 57:5 e 58:7; e, in opposizione, i confronti di animali puri con i giusti in Isaia 5:17 e 60:8, Mal. 3:20, Osea 11:11. Tra i commenti che sottolineano questo tipo di simbologia biblica si segnala Bechayye ben Asher, Saragossa XIII sec., nel commento al Pentateuco, scritto nel 1291, in partic. comm. a Lev. 11:13. Esistono anche, tuttavia, identità positive con animali proibiti, ad esempio l’aquila, in Deut. 32:11 e Salmi 150:5, e il leone in Num. 23:24 e Prv. 28:1.
[9] Mishnà Chulin 3:6; Lettera di Aristea, §§ 145-148; Filone (Alessandria 20 av. e.v.-45), Leggi speciali, 4:97-118; Nachmanide, comm. a Lev. 11:3; ‘Aqedat Yitzchaq, comm. a Lev. 11; Abrabanel, comm. a Lev. 11; Bechayye, comm. a Lev. 11:13; Menachem haRabbì, mitzwòth ‘asèh 194; Yehudà ben Chanin (Marocco XVIII sec.), ‘Etz Chayym, Livorno 1783, mitzwà 59-60, pag 80
[10] Il tema è diffuso nel midràsh, cfr. ad es. Bereshìth Rabbà 65:16; esempi per le regole alimentari in Bechayyè, comm. a Esodo 22:30 (sugli animali sbranati), e Hirsch, comm. a Gen. 32:33 (sul nervo sciatico).
[11] Lo Zohar è tradizionalmente attribuito a Shim’on bar Yochai e alla sua cerchia di allievi, della metà del II sec. Il testo cominciò a circolare in Spagna negli ultimi due decenni del XIII sec., per opera di Moshe de Leon. Fonti principali in Zohar Pinchas 3:221; v. anche Bereshìt 1:20. La parte essenziale delle parole dello Zohar si ritrova nel Sefer haRimon, di Moshe de Leon, pag. 67 (dell’ediz. critica a cura di Dorit Kohen-Aloro, Hebrew University of Jerusalem, 5747).
[12] Menachem Recanati, Italia inizio XIV sec., Commento alla Torà, Parashat Shemini, pag. 60 dell’ediz. Leopoli 5640 (anast. Gerusalemme 5721); Ridbaz, Metzudàt David, mitzwà 185, pag. 35a.
[13] di Elqanà ben Yerocham Ram, Spagna XIV sec.; prima ed. Praga 1619; qui secondo l’ediz. Cracovia 5654 (anastat. Gerusalemme 5734); pag. 126-128.
[14] cfr. n. 9, mitzwà 59 e 60, pag. 53.
[15] Shemuel Borenstein di Sochatchow (Polonia 1856-1926), in Shem miShmuel, 5689-94, Parashàt Shemini pag. 192 (ediz. Gerusalemme 5742).
[16] mitzwà 185, in fondo.
[17] Yitzchaq Biniamin Wolf di Eliezer Lippmann, in Nachalat Biniamin, Amsterdam 1682, mitzwà 3, pag. 9.
[18] Ridbaz, mitzwà 191; tuttavia in altre interpretazioni mistiche si distingue tra grasso, che viene dal destra, e sangue, da sinistra, cfr. ibid. e l’antologia di Yitzchaq beR. Elihau, Meà She’arìm, Salonicco 1543, sha’ar 70; Yosef Caro (1488 Spagna – 1575 Safed) in Maggid mesharìm pag. 230 (ediz. Petach Tiqwa 5750) sottolinea l’origine del sangue dall’«altro lato».
[19] Recanati, Commento alla Torà, Mishpatìm pag. 48; Sefer haQanà pag. 142. Menachem Bavli, mitzwòth lo ta’asè 42; Meà She’arìm, sha’ar 76.
[20] ibid. pag. 138. Qeturà moglie di Abramo dopo la morte di Sara, è menzionata in Gen. 25:1; i suoi figli ibid. al v. 5 e in 1 Cron. 1:32-33. La differenza con i figli di Esaù sta nel rapporto più o meno diretto con l’origine abramitica e il valore simbolico del paragone con popoli esistenti.
[21] pag. 126.
[22] Avraham Brod, Devar haMelekh, Livorno 1805-8, 2:43
[23] Il Sefer haTemunà viene tradizionalmente attribuito ai tannaim R. Yishma’él e R. Nechonià ben haQannà; secondo i critici è un prodotto della scuola di Gerona della metà del XIII sec. L’idea dei cicli settenari è comunque molto più antica. L’autore dell’interpretazione originale (basata sul testo che chiama «Sefer haTemunòt») è Yitzchaq Lippmann (v. n. 17), in Nachalat Biniamin, mitzwà 74 pag. 15. Si tratta di un pensatore arguto e originale, che alla fine di questa sua esposizione — forse accorgendosi della audacia – scrive: «e se mi sono sbagliato che il Signore buono mi perdoni e mi insegni le sue strade». Il Ch.I.D.A (Azulai) in Shem haGedolìm -Ma’arekhet Sfr, 26, presentando questo autore ne loda l’eccezionale capacità, ma avverte che qualche volta la sua immaginazione non riesce bene, e chi lo studia lo valuti come si deve».
[24] Sull’iconografia antiebraica, cfr. E. FUCHS, Der Juden in der Karrikatur, Munchen 1921; sulla scrofa degli ebrei, I. SHACHAR, The Judensau. A Medieval Anti-jewish Motif and its History, Londra 1974; la rappresentazione era diffusa nelle sculture medievali, anche ecclesiastiche, dell’area germanica; Lutero in Von Schem Hameforas ne descrive una a Wittenberg. Le narrazioni popolari sulle metamorfosi in maiale sono la deformazione di un episodio dell’apocrifo Evangelo arabo dell’infanzia, XL; il tema viene rappresentato nelle illustrazioni di manoscritti medievali. La dimostrazione dell’etimologia di marrano è di A. FARINELLI, Marrano. Storia di un vituperio, Ginevra 1925. Testimonianze sulle sopravvivenze nei primi decenni del secolo, nell’area piemontese, di gesti e motti antiebraici legati al maiale in PRIMO LEVI, Il sistema periodico, Torino 1975, pag. 4, e Augusto Segre, Memorie di vita ebraica, Roma 1979, pag. 87. Per un’esposizione dei complessi mitici cristiani sul rapporto ebrei-maiali, cfr. Claudine Fabre-Vassas «Juifs et Chretiens, autour du cochon», Recherches et travaux de l’Institut d’ethnologie(CH-Neuchatel), 1985, 6, pagg. 59-83; il tema è stato ampiamente ripreso in La bête singulière. Les juifs, les chrétiens et le cochon, Gallimard, Paris, 1994, che presenta anche documenti iconografici inediti da manoscritti sul tema delle metamorfosi.
[25] Modello interpretativo suggerito da C.F. VASSAS, cfr. la n. precedente.
[26] Tra i primi a segnalare il parallelismo tra la concezione zoroastriana e quella ebraica dell’impurità animale, si segnala S. RUBIN, Ma’arekhet Ta’amè haMitzwòth, Cracovia 1900, pag. 15. Cfr. anche Dorit Kohen-Aloro, nelle note all’edizione del Sefer haRimon, pag. 67, n. 22. Tra i pensatori ebrei che utilizzano materiale comparativo come prova dell’antichità di un’idea condivisa tra culture si segnala Elia Benamozegh (Livorno 1823-1900); su questo argomento cfr. Em laMiqrà, Livorno 1863, Levit. 11.
[27] Nel pensiero lurianico prevale il tema di una confusione totale, in seguito alla colpa di Adamo, tra bene e male, per cui tutta la realtà è mescolata di bene e male, e una divisione assoluta non è possibile. Un tardo autore di chiaro influsso cabalistico come Benamozegh, quando, in polemica con S. D. Luzzatto, rivendica l’importanza essenziale della classificazione mistica tra puro e impuro nel mondo animale, non estende la divisione alla comunità umana; dice piuttosto che Israele, essendo chiamato ad essere popolo di sacerdoti, deve scegliere come suo alimento ciò che appartiene al puro (Em laMiqrà, ibid.).
[28] Lucetta Scaraffia, «Religious Identity and the Symbolism of Food», Food & Foodways, di prossima pubblicazione.
[29] Per un’introduzione alla storia del concetto, cfr. A M. DI NOLA, «Totemismo», in Enciclopedia delle Religioni, Vallecchi Firenze, 1970; la revisione più importante del concetto è dovuta a C. LEVI-STRAUSS, Le totémisme aujourd’hui, Parigi 1962. Una raccolta di analisi aggiornate in E. LEACH (ed.) The structural Study of Mith and Totemism, Tavistock, London 1973.
