C’è qualcosa di sbagliato nel ricercare tranquillità e pace interiore? Non sono forse componenti altamente desiderabili di uno stile di vita sano e significativo? Una risposta si può trovare nelle parole del Midrash Rabbà che compaiono nella maggior parte delle edizioni contemporanee del commentario di Rashi. Le prime parole della Parashà di Vayeshev leggiamo: “Yaakov si stabilì nella terra dove suo padre aveva soggiornato…“. La Torà descrive poi la storia di Yosef, figlio di Yaakov, e di come venga venduto come schiavo dai suoi fratelli.
Rashi, citando il Midrash, commenta: “Yaakov desiderava vivere in pace e tranquillità, ma fu immediatamente assalito dai problemi e dalle tribolazioni di Yosef”. Queste parole sembrano implicare che fosse in qualche modo improprio per Yaakov desiderare un’esistenza calma e serena. Il commento suggerisce persino che Yaakov fu punito per il suo desiderio subendo la scomparsa, e la presunta morte, del suo figlio prediletto. Perché? Quale possibile peccato avrebbe commesso Yaakov sperando nella tranquillità? Non aveva forse sofferto abbastanza durante i suoi anni di esilio? Le crisi familiari descritte in dettaglio nella Parashà della scorsa settimana non erano forse una tortura sufficiente?
Rabbi Yehuda Leib Alter (il secondo Rebbe di Gur), autore dello Sfat Emet, suggerisce che una vita calma e pacifica non sia necessariamente quella religiosamente auspicabile. Una vita del genere porta all’auto compiacimento. “Ciò che D-o vuole dall’ebreo”, scrive, “è che abbia una vita di costante fatica al servizio del Suo Nome Benedetto, perché non c’è limite alla ricerca della perfezione”. L’ideale della Torà è quindi una vita di azione e coinvolgimento negli affari mondani attraverso il rifiuto dell’atteggiamento di distacco e passività implicito negli insegnamenti di molte altre religioni. La Torà non può immaginare una vita felice se questa vita è priva di sfide. Secondo lo Sfat Emet il raggiungimento della pace interiore non è il fine ultimo, soprattutto se si traduce in un ritiro dall’azione responsabile all’interno della società.
Un insegnamento simile è riportato circa un secolo prima, nelle parole del Rabbino Moshè Chaim Luzzatto, il mistico italiano del XVIII secolo, la cui opera Mesilat Yesharim contiene il seguente importante passaggio: Un uomo deve sapere che non è stato creato per godere del riposo in questo mondo, ma per faticare, lavorare e crescere. Dovrebbe, quindi, agire come se fosse un lavoratore salariato. Siamo solo lavoratori a cottimo. Il nostro ruolo è assimilabile a quello di un soldato al fronte che mangia in fretta, il cui sonno è interrotto ed è sempre pronto per condurre un attacco, come è scritto: “L’uomo è nato per faticare” (Yiov 5:7). L’insegnamento di entrambi questi Chachamim è stato a sua volta anticipato da questo famoso passo del Talmud (Berakhot 64a), : gli studiosi della Torà non trovano riposo né in questo mondo né nel Mondo a Venire, poiché in entrambi i mondi progrediscono costantemente, come si afferma: “Vanno di forza in forza, ognuno di loro appare davanti a D-o in Sion”. Vista alla luce di questi commenti, la vita alla quale deve anelare un ebreo sembra essere una vita di stenti e di fatica, tutt’altro che una vita riposante e rilassata.
Il Chatam Sofer commenta su questo stesso versetto: Nella Torà è scritto che Yaakov viveva nella terra di residenza di suo padre. Nel Midrash è scritto che Yaakov chiese di vivere in pace. Il Signore Benedetto disse: Non è sufficiente per i giusti ciò che è preparato per loro nel mondo a venire, ma per coloro che cercano di vivere in pace. Non è forse buono e gentile il Signore? E chi è colui da cui i giusti dovrebbero nutrirsi? Se non percepiscono il male della mancanza, allora non sapranno e non capiranno come gioire della gioia del bene del mondo a venire, e non è sufficiente per loro essere ricompensati secondo la grandezza della loro rettitudine. Pertanto, la mancanza è un bene in questo mondo, i cui giorni interi sono come un’ombra passeggera, e poi nel mondo a venire, pace e gioia saranno aggiunte mille volte tanto. E questo è ciò che disse il Signore: Non è sufficiente per i giusti ciò che è preparato per loro nel mondo a venire, secondo la grandezza della loro rettitudine, non è sufficiente per loro. Ma coloro che cercano di vivere in pace, devono prima cercare la pace in questo mondo, e poi nel mondo a venire, dove gioiranno e si diletteranno con l’abbondanza di beni per la Casa d’Israele, i cui membri hanno tutti una parte nel mondo a venire. L’approccio in questo commento è quindi un po’ diverso rispetto a quello dello Sfat Emet e di Rav Luzzatto. La mancanza e la lotta per migliorare noi stessi e il mondo che ci circonda è un “male necessario” creato da D-o stesso per migliorarci, per migliorare il mondo che ci circonda e per meritare abbondanza in questo mondo e nel mondo a venire.
Rav Shimshon Refael Hirsh nel suo commento a questo stesso verso partendo dalla domanda sul perchè la Torà usa il verbo Vayeshev invece del verbo Vayigar per indicare che Yaakov si stabilì nella terra di Cana’an, notando che la parola scelta dalla Torà, Vayeshev, condivide la sua radice con il rimanere saldi con un’energia che supera gli ostacoli, lagur implica un dimorare naturale, tranquillo, senza ostacoli: stare seduti. Lagur, inoltre, è un dimorare in un luogo a cui non si appartiene, dove non si ha terreno, assimilabile anche agli stati d’animo come perdere l’equilibrio, avere paura. Laddove i suoi padri avevano trovato solo un luogo fugace in cui vagare, Yaakov ora sperava, dopo così tante peregrinazioni, di potersi stabilire pacificamente, perché era in terra di Cana’an, la terra effettivamente promessa per il suo pacifico sviluppo. Ma il tempo per questo non era ancora giunto. Quello a cui assistiamo è, in effetti, appena l’inizio, quello che la Torà chiama nel versetto seguente “Toledot Yaakov”, la progenie di Yaakov, quello che di fatto costituisce l’inizio e il progresso della storia ebraica.
Nonostante tutti questi commenti la domanda iniziale sembra non avere una risposta univoca: C’è qualcosa di sbagliato nel ricercare tranquillità e pace interiore? Non sono forse componenti altamente desiderabili di uno stile di vita sano e significativo?
L’inizio della possibile risposta sembra essere scoraggiante. Ci immedesimiamo in Yaakov che, dopo le sue vicissitudini che abbiamo letto nelle scorse Parashot dove abbiamo letto che ha dovuto scappare perché minacciato di morte, che è stato imbrogliato, minacciato, cacciato da dove viveva, ha combattuto con un angelo e rischiato lo scontro armato più volte, sembra meritare ciò che chiede, un po’ di pace. Ma la verità è che ognuno di noi, nel suo piccolo, nella sua vita può trovarsi ad affrontare sfide più o meno grandi, sfide che possono sembrare impossibili (ma che non lo sono). L’approccio ebraico è di accettare la sfida, affrontare quello che D-o ci pone davanti con fiducia e con le risorse e le forze che D-o stesso ci ha dato. La vita può essere una lotta e una sfida, ma quello che è richiesto è di essere attivamente coinvolti nel miglioramento di noi stessi e, secondo le nostre capacità. nell’ispirare il prossimo a migliorarsi.
