“Non basta sopravvivere”: l’ultimo appello di Rav Somekh agli ebrei di Torino per investire su Torah, preghiera e solidarietà di fronte al dimezzamento della Comunità
I Maestri dicono che ci si deve congedare con parole di Torah, perché così facendo le parti si rammenteranno a vicenda. Lo scorso Simchat Torah, allorché sono stato onorato della chiamata a Chatan Torah, ho ricordato che se associamo l’ultima lettera della Torah, la làmed finale di Israel, alla prima lettera, la bet iniziale di Bereshit, otteniamo la parola לב lev, “cuore”: רַחֲמָנָא לִבָּא בָּעֵי “il Misericordioso esige cuore”! Lev ha il valore numerico di 32. Come diciamo ogni mattina nella Tefillah, שְׁלוֹשִׁים וּשְׁתַּיִם נְתִיבוֹת שֶׁבִּילְךָ con 32 vie di saggezza H. ha creato il mondo: le dieci cifre e le ventidue lettere dell’alfabeto ebraico. Trentadue anni or sono iniziai il mio Servizio presso la nostra Comunità che ancora oggi, pur ridotta di numeri, rappresenta una fonte invidiabile di energia culturale. In questi anni ho lavorato per la Comunità di Torino e per la Scuola Rabbinica Margulies-Disegni senza nessun altro interesse che promuovere la Torah e l’ebraismo.
הַרְבֵּה תּוֹרָה לָמַדְתִּי מֵרַבּוֹתַי, וּמֵחֲבֵרַי יוֹתֵר מֵהֶם, וּמִתַּלְמִידַי יוֹתֵר מִכֻּלָּן “Tanto ho imparato dai miei Maestri, ancor più dai miei compagni, ma dai miei allievi più di tutti” (Makkot 10a). Sono riconoscente al S.B. per avermi dato la forza di portare avanti questo impegno. Sono grato alla mia famiglia per avermi costantemente assecondato. Ringrazio coloro che mi hanno dato questa straordinaria opportunità. Ma soprattutto ringrazio singolarmente ciascuno di Voi per aver contribuito, chi con il suo sostegno, chi mediante le sue obiezioni, alla mia crescita umana, intellettuale e spirituale. Vi porterò sempre nel mio cuore.
Trascorsi due anni dal 7 ottobre 2023, viviamo un momento storico delicato. Pensavamo che l’antisemitismo avesse toccato il fondo con la Shoah, ma così non è stato. Ora ci troviamo a dover ripensare l’intero percorso della Memoria. Pensavamo che l’antisemitismo fosse prerogativa di una determinata tradizione politica, ma così non è. Ora ci troviamo a dover ricostruire le nostre relazioni con il mondo esterno, con le istituzioni e persino rispetto alle nostre frequentazioni. Infine, pensavamo che con lo Stato d’Israele lo spettro dell’antisemitismo sarebbe definitivamente stato sconfitto, ma così non è avvenuto. Pur con tutta la sua eccellenza tecnologica e militare lo Stato ebraico è diventato oggi il bersaglio di un odio antico riproposto come antisionismo, con pericolose ricadute sulla stessa Diaspora. Preoccupazioni appena attenuate recentemente dalla gioia per il rilascio degli ultimi ostaggi viventi ancora nelle mani dei terroristi.
Abbiamo il dovere morale, oltre che tutto l’interesse, ad appoggiare lo Stato d’Israele come una risorsa inestimabile, mantenerlo forte e solidarizzare con i nostri fratelli e sorelle che ci vivono a prescindere dalle nostre convinzioni politiche. Come dice il Profeta: וּמִבְּשָׂרְךָ לֹא תִתְעַלָּם “non ti disinteressare di chi è della tua stessa carne” (Yesha’yahu 58, 7). Esso è רֵאשִׁית צְמִיחַת גְּאֻלָּתֵנוּ “primo germoglio della nostra redenzione”, ma non viviamo ancora nell’era messianica. Lo Stato fa parte di un’esperienza storica e non meta-storica. Avere uno Stato ci costringe a compromessi con le altre nazioni e ad accettare il confronto con esse sullo stesso piano.
Allorché un ragazzo lascia l’età infantile e diviene Bar Mitzwah, suo padre recita una speciale Berakhah in cui ringrazia H. בָּרוּךְ שֶׁפְּטָרַנִי מֵעֹנְשׁוֹ שֶׁל זֶה “che mi ha ora esentato dalle punizioni che questi avrebbe meritato”, nell’idea che il padre sia responsabile delle azioni compiute dal figlio minorenne. Il Rabbino è il padre spirituale della sua Comunità e non di rado gli incombe di assumere un ruolo impopolare di… profeta rispetto alle scelte di singoli o del gruppo. È tradizione che nel momento in cui lascia questo incarico il Rabbino tracci un bilancio del lavoro svolto e di ciò che si prospetta. Riassumere oltre un trentennio di attività è impossibile, ma fornire un quadro delle luci ed ombre da affrontare non è fuori luogo.
Osservando una moltitudine in Israel ci riferiamo a D. come חֲכַם הָרָזִים “l’Esperto dei segreti”, l’Unico che conosce davvero ciò che alberga nell’animo di ciascuno di noi. Presupposto assolutamente necessario per la realizzazione di qualsiasi programma è il rispetto reciproco e la consapevolezza di operare per il bene comune. Accordo tra le parti non significa per forza uniformità di vedute. Al contrario, l’assunto tot capita, tot sententiae può costituire persino una ricchezza, nella misura in cui sappiamo guardare alla qualità delle proposte indipendentemente da chi le propone. In caso contrario si scade nei personalismi, nell’odio gratuito (שִׂנְאַת חִנָּם) e nella maldicenza (לָשׁוֹן הָרָע) che distruggono la vita comunitaria. Fatta questa premessa di metodo, volgiamoci ora ai contenuti.
La problematica più delicata di tutte è la forte contrazione demografica: negli ultimi trent’anni la popolazione della nostra Comunità si è in pratica dimezzata. A ciò hanno contribuito più cause, solo in parte dipendenti dalla nostra volontà. È vero che molti giovani, spesso i più legati alle nostre tradizioni, hanno cercato fortuna altrove, consapevoli di questa situazione. I giovani rimasti per lo più non formano famiglie ebraiche. Il risultato è che il ricambio generazionale è negativo: gli anziani non sono adeguatamente sostituiti, con una ricaduta del fenomeno su ogni aspetto della vita comunitaria. È doveroso pensare a noi stessi. Scomparire significherebbe dare una vittoria postuma ai nostri nemici. Si è convinti che le relazioni con il mondo esterno rafforzino la nostra identità, ma è vero tutto l’opposto: solo se nel frattempo abbiamo coltivato un’identità all’interno, se avremo approfondito chi siamo e cosa ci proponiamo, ci dà la forza di affrontare le relazioni con gli altri. Si è convinti che la forza di una Comunità sia solo il suo legame con il passato, ma non è così: la dignità di una Comunità si manifesta nella sua attenzione al proprio futuro. È altresì vero che solo un ritorno alle tradizioni e non la ricerca di facili scorciatoie costituisce una garanzia di lunga vita. Alludo a soluzioni dal nome accattivante: “ebraismo umanistico, progressivo, liberale”, per non chiamarlo riformato. Soluzioni estranee al DNA dell’ebraismo italiano, che coprono i problemi anziché affrontarli.
Nei Pirqè Avot (1, 2) è scritto: עַל שְׁלֹשָׁה דְבָרִים הָעוֹלָם עוֹמֵד, עַל הַתּוֹרָה וְעַל הָעֲבוֹדָה וְעַל גְּמִילוּת חֲסָדִים “su tre cose il mondo poggia: sulla Torah, sul Servizio Divino e sull’Assistenza”. Anzitutto: Torah. וְהַעֲמִיד תַּלְמִידִים הַרְבֵּה “Createvi molti discepoli”! La nostra Comunità, eccellente per tanti aspetti, non investe in modo sufficiente sull’educazione ebraica alla Torah e alle Mitzwot. Non mi riferisco tanto ai bambini, per i quali esiste la Scuola, quanto agli adolescenti. Non è pensabile che l’istruzione ai valori e alla pratica sia considerata quasi un gioco per ragazzi e cessi al compimento del Bar/Bat Mitzwah, ovvero al conseguimento della Licenza Media, proprio quando essi escono dalla nostra istituzione e soprattutto crescono, diventano responsabili. È anzi questo il momento di insistere per agire e approfondire il discorso. Occorre convincersi che l’istruzione ebraica superiore non è per forza riservata a chi intende adire al Rabbinato, ma è un obbligo per ogni ebreo/a. Gli strumenti informatici sono ormai patrimonio di tutti con un materiale di studio vastissimo: per fruirne occorre investire solo tempo e volontà. Negli ultimi anni, peraltro, si è registrato un risveglio di interesse da parte del pubblico femminile. Voglio ringraziare le benemerite promotrici di iniziative di studio e di divulgazione spesso di notevole richiamo. Particolare cura dovrebbe essere riservata all’apprendimento della lingua ebraica che prescinde dal sentimento religioso di ciascuno e costituisce uno strumento condiviso di comunicazione con tutto il mondo ebraico.
Secondo punto: Servizio Divino, הַשְׁכָּמַת בֵּית הַכְּנֶסֶת “alzarsi presto per andare al Tempio”. Le criticità di cui ho parlato hanno conseguenze gravi anche sulla partecipazione al Bet ha-Kenesset. Ho notato che persino quei giovani che si definiscono osservanti tendono a prediligere altre Mitzwot ma trascurano la frequentazione della Tefillah pubblica. Nei giorni feriali molte Tefillot programmate sul Lunario hanno luogo senza Minian o non si svolgono del tutto. Forse è una conseguenza dei social, certamente inasprita dalla più recente, triste esperienza della pandemia, che ci ha indotto a sviluppare un associazionismo virtuale anziché in presenza. Ma la forza delle nostre Comunità ci vuole uniti fisicamente. Voglio ringraziare in quest’ambito i Parnassim, che su base volontaria contribuiscono al funzionamento del Bet ha-Kenesset e gli addetti alla Shemirah che sorvegliano sulla nostra incolumità durante lo svolgimento delle Tefillot. Un grazie a quel gruppetto di studenti israeliani arrivati recentemente a Torino che con la loro puntualità al Bet ha-Kenesset garantiscono che almeno di Shabbat il Minian non si faccia attendere a tempi improponibili. E soprattutto un grazie ai nostri Chazanim che si sforzano di condurre Tefillot coinvolgenti.
Terzo punto: l’Assistenza. Mi limiterò a ricordare due fattori chiave: il sostegno agli anziani e l’ospitalità. La nostra Comunità si caratterizza per un’età media sempre più avanzata di persone sole. Di questa evidenza si deve tener conto nel delineare le nostre priorità. La Casa di Riposo rappresenta un fiore all’occhiello, ma pochi fra i correligionari ormai la ritengono una opzione valida e preferiscono strutturare un’assistenza a domicilio. Da qualche anno è attivo un gruppo di volontari disposti a dedicare ore del loro tempo alla visita e all’intrattenimento di anziani a domicilio mediante semplici conversazioni e letture, riscuotendo grande apprezzamento. In alcuni casi potrebbe essere richiesto un accompagnamento per commissioni. Ringrazio a mia volta chi a ciò si impegna e chi in futuro vorrà rilevare la gestione di queste attività. Un grazie di cuore alle donne e agli uomini della Chevrà Qaddishà, che adempiono a un dovere di chessed shel emèt nei confronti di chi non è più: “bontà vera”, in quanto non può attendersi gratitudine né ricompensa da parte dei beneficiari.
Torino è fuori dai flussi turistici di Roma, Firenze e Venezia, così come da quelli commerciali di Milano, ma costituisce un polo d’attrazione soprattutto per convegni e attività accademiche, legate al prestigio del Politecnico e dell’Università. Inoltre il circondario di monti e di colline attira un turismo d’elite estivo e invernale che annovera talvolta singoli e famiglie osservanti provenienti da ogni parte del mondo. Non ci si deve ancora dimenticare degli studenti esteri che si stabiliscono in città per il tempo richiesto dalla frequenza ai vari corsi, che va da un solo semestre a diversi anni. C’è una richiesta di ospitalità per i pasti dello Shabbat, una straordinaria finestra per conoscere il mondo e il mondo ebraico in particolare. Tutto ciò presuppone naturalmente che il padrone di casa abbia una cucina kasher, altrimenti si asterrà dall’effettuare inviti nel timore che i suoi ospiti siano più osservanti di lui. Si smentiscono così coloro che ritengono i precetti sociali l’unico vero fondamento dell’Ebraismo e quelli rituali una mera formalità. In realtà l’esercizio della solidarietà è direttamente proporzionale all’impegno nel mantenere la kashrut: duole dover constatare che con il declinare di questo nelle nostre Comunità si è fortemente ridotto anche quello.
Da ultimo אַחֲרוֹן אַחֲרוֹן חָבִיב tengo a ringraziare Rav Ariel Finzi che si è assunto il compito e l’onere di portare avanti la leadership spirituale della Comunità: chazaq u-barukh, hatzlachah rabbah! La Torah è la nostra vera gioia, l’unico bene assoluto da cui tutto dipende. Essa è חַיֵּינוּ וְאֹרֶךְ יָמֵינוּ “la nostra vita e la lunghezza dei nostri giorni”. La Torah si conclude con l’invito: וּבָחַרְתָּ בַּחַיִּים “sceglierai la vita” (Devarim 30, 19). È lecito domandarsi: chi potrebbe fare una scelta differente? La risposta è semplice: ci sono ebrei che chiedono alla Comunità soltanto un aiuto a sopravvivere. Il loro interesse ebraico è limitato a vedersi garantito di finire i propri giorni senza essere perseguitati: null’altro. Non basta! La Torah ci insegna piuttosto a vivere l’ebraismo come un valore positivo e a ciò ci invita.
Che la Presenza Divina si posi sulle Vostre azioni יְהִי רָצוֹן שֶׁתִּשְׁרֶה שְׁכִינָה בְּמַעֲשֵׂי יְדֵיכֶם!
Rav Alberto Moshe Somekh
