Il peccato del vitello d’oro fu perdonato grazie alle preghiere di Moshè. Moshè scendendo dal Monte Sinai, aveva visto il popolo danzare attorno al vitello d’oro e aveva fatto a pezzi le tavole della legge. Ora era necessario ricreare il legame tra l’Eterno e il popolo penitente: “L’Eterno disse a Moshè: Tagliati due tavole di pietra come le prime; e io scriverò sulle tavole le parole che erano sulle prime che spezzasti” (Shemòt, 34:1).
Ora quando Moshè salì nuovamente sul Monte Sinai per ricevere le seconde tavole, l’Eterno gli insegnò quale era la tefillà con la quale invocare la misericordia divina. Questa tefillà, oltre che nel giorno di Kippur, viene recitata dagli italiani e dai sefarditi nei giorni feriali e descrive come il Creatore opera nel mondo: “E l’Eterno passò davanti a lui (a Moshè), e l’Eterno disse: 1. L’Eterno, 2. Dio, 3. Misericordioso, 4. Magnanimo, 5. Lento all’ira, 6. Abbondante in benevolenza, 7. Verace nel mantenere le promesse, 8. Che conserva la sua benevolenza fino alla millesima generazione, 9. Che perdona i peccati commessi intenzionalmente, 10. le ribellioni e 11. i peccati commessi per errore, 12. Ma quanto ad assolvere (assolve il penitente) e 13. non assolve (chi non si ravvede), che punisce il peccato dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione (se perseverano nelle vie dei padri)” (ibid., 6-7).
Questa è la numerazione data dal Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) in uno dei suoi responsi (Yitzchak Shilat, Iggheròt Ha-Rambam, II, p. 604). Egli fa notare però che i commentatori in Andalusia mettono insieme gli ultimi due attributi e quindi il tredicesimo è: “che punisce il peccato dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione”.
Nella Guida dei Perplessi (I, cap. 54 alla fine) il Maimonide spiega che le parole “che punisce il peccato dei padri sui figli” si riferiscono al peccato dell’idolatria. E lo dimostra portando a prova il fatto che nei dieci comandamenti è scritto: “…che punisce il peccato dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione per coloro che Mi odiano” (Shemòt, 20:5). E, aggiunge il Maimonide, “È chiamato colui che odia solo chi pratica l’idolatria”. In un altro capitolo della Guida (III, 29) il Maimonide sottolinea: “E sai già dalle varie espressioni della Torà che lo scopo principale in tutta la Torà è quello di sradicare l’idolatria, le sue tracce e tutto quello che le appartiene…”. E non solo. Egli scrive anche che “chi non crede che Egli esista, o che crede che vi siano due dei, o che sia corporeo, o che abbia emozioni (ba’al hitpa’aluyiot), o dei difetti, è peggiore di un idolatra che crede che l’idolo sia un intermediario o che abbia poteri di fare bene o male” (ibid., cap 37).
R. Avraham Saba’ (Castiglia, 1440-1508, Verona?) in Tzeròr Hamòr spiega che recitare questa tefillà non è sufficiente a ottenere il perdono divino. Vediamo infatti che la recitiamo molte volte avvolti nei nostritallitòte le nostre richieste non vengono esaudite. Il motivo è che recitare questa parole non basta. Lo scopo di queste parole è di imparare a imitare questi attributi divini mettendoli in pratica, avendo misericordia del prossimo, comportandoci con benevolenza ed essendo lenti nell’ira.
Dopo avere ricevuto questo insegnamento Moshè ebbe un’altra richiesta: “Prego, o Signore, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, venga il Signore in mezzo a noi, perché questo è un popolo dalla dura cervice…” (Ibid., 9). R. Pinchas Rosenzweig di Gerusalemme in Peer Yashàr (p. 269) fa notare che l’espressione “popolo dalla dura cervice” è usato più volte in questa parashà e spiega che il peccato del vitello d’oro fu causato dal fatto che il popolo non aveva pazienza. Dopo trentanove giorni, essi diedero Moshè per disperso. Fecero il vitello d’oro e dissero: “O Israele, questo è il tuo dio che ti ha tratto dal paese d’Egitto” (Shemòt, 32:4). La conseguenza della mancanza di pazienza è la dura cervice, la rigidezza. Per questo tra gli attributi divini vi è anche quello della pazienza, di essere lento nell’ira. Chi non ha pazienza ha la dura cervice, non ha flessibilità. E fu la dura cervice che portò gli israeliti all’idolatria.