La Parashà di questa settimana, Parashat Tetzawè, è principalmente incentrata sui dettagli degli abiti indossati dal Kohen Gadol, il Sommo Sacerdote, nel Tempio. Si trattava di abiti preziosi, pensati per simboleggiare lo status rispettato del Kohen e il fatto che era stato scelto per servire la nazione e compiere i sacrifici per conto del popolo.
Uno degli abiti indossati dal Kohen Gadol era il choshen, il pettorale. Si trattava di un pettorale di forma quadrata formato di materiale ricamato con pietre preziose su cui erano incisi i nomi delle Dodici Tribù. I Chachamim del Talmud nel Trattato di Yoma a pagina 73, ci insegnano che il pettorale non era solo un mero gioiello decorativo. Aveva uno scopo pratico per l’intera nazione. Quando il popolo si trovava di fronte a un dilemma significativo che richiedeva una decisione e una ben precisa presa di posizione, presentava il problema al Kohen Gadol e la risposta veniva fornita da D-o attraverso le pietre del pettorale e le lettere incise su di esse. Le lettere incise sul pettorale brillavano, ma non in un ordine logico che avrebbe significato una risposta chiara e definitiva. Il Kohen Gadol avrebbe dovuto combinare le lettere che brillavano e dedurre la risposta al dilemma che gli veniva presentato.
Questo è probabilmente il motivo per cui questo indumento era chiamato urim vetumim, riferendosi alla luce. Il motivo per cui la risposta era data in questo modo poco chiaro, lasciando al Kohen Gadol il difficile compito di decifrare ed interpretare il messaggio di D-o dalle lettere che si illuminavano sul pettorale, è accennato nella nostra Parashà. Una delle Halachot riguardanti l’uso del pettorale stabilisce che questo indumento debba essere posto sul cuore del Kohen Gadol: “…E il pettorale non si sposterà dall’efod. Metterai gli urim e i tumim nel pettorale del giudizio in modo che siano sul cuore di Aharon quando verrà davanti al Signore, e Aharon porterà il giudizio dei figli d’Israele sul suo cuore davanti al Signore in ogni momento” (Shemot 28:28-30). Questa Halachà insolita che stabilisce il luogo esatto sul corpo del Kohen Gadol dove questo indumento deve essere posizionato non esiste per nessun altro capo del suo abbigliamento. Gli altri abiti prescritti dalla Torà per il Kohen Gadol devono essere indossati quando lavora nel Tempio, ma se si spostano leggermente fuori posto, non c’è problema. Solo per il choshen, per il pettorale, troviamo una direttiva specifica, che non deve muoversi dal suo posto designato.
Questa Halachà ci insegna l’essenza di un vero leader. La parte più ovvia ed evidente è che un vero leader è obbligato a guidare la propria nazione saggiamente e a prendere decisioni dopo aver considerato correttamente tutte le informazioni necessarie. Ma c’è un altro lato della medaglia. Un leader che prende decisioni applicando solo la fredda logica finirà per essere disconnesso dal proprio popolo. Le mere considerazioni analitiche non sono sufficienti per determinare gravi questioni morali. Bisogna fare, alle volte, spazio anche ai sentimenti. A volte le decisioni razionali ci conducono in una certa direzione, ma quando ascoltiamo i suoni che emanano dai nostri cuori, sorgono altre considerazioni che non abbiamo considerato quando abbiamo soppesato i pro e i contro. Ascoltare questi sentimenti aggiunge una dimensione più profonda al processo decisionale. Un leader non deve ignorare i sentimenti del suo pubblico; deve fare spazio al “cuore”, sentendo il dolore e l’angoscia della sua nazione, sentendo ciò che stanno vivendo quotidianamente e tentando così di alleviare le loro difficoltà. Un leader le cui decisioni derivano dalla consapevolezza dei sentimenti della sua nazione è colui che arriverà a prendere decisioni che portino benefici per tutti. Solo il Kohen Gadol indossa il Choshen con incisi i nomi delle tribù sul suo cuore. È colui che può combinare le lettere che si illuminano e fornire la risposta pertinente e migliore per la situazione data. Solo un leader che porta la nazione nel suo cuore ed è sensibile ai suoi problemi e bisogni può trovare la risposta, perché la decisione si basa su una combinazione di fattori, tutti di pari importanza.
C’è però di più: Due delle vesti sacerdotali indossate dal Kohen Gadol erano adornate con il nome di D-o: Questo era inciso in modo evidente sullo tzitz, il frontale d’oro che ornava la sua fronte, ed era anche nascosto tra le pieghe del choshen, il pettorale. Questo è simile a quanto avviene con i tefillin, dove il nome di D-o è rappresentato in modo evidente e visibile sulle nostre teste tramite i tefillin shel rosh in adempimento a quanto riportato nella Torà, li indosserai in mezzo ai tuoi occhi (Devarim 28:10) e che “tutte le nazioni del mondo vedranno il nome di D-o associato a te” (Menachot 35b), mentre i tefillin posti sulle nostre braccia vicino ai nostri cuori devono essere un segno solo per noi, lecha leot (Menachot 37b), e dovrebbero, idealmente, essere coperti.
L’implicazione è che proprio come il nome di D-o è ben visibile sulle nostre teste, così anche la nostra connessione con D-o dovrebbe definire visibilmente il nostro pensiero, producendo decisioni e azioni plasmate dalle verità e dall’etica della Sua parola come condivisa nella Torà. Questo non è vero per la nostra connessione emotiva con D-o, rappresentata dal nome di D-o sul choshen e dai tefillin che leghiamo sul braccio, che devono essere incastonati nei nostri cuori e non così visibili all’esterno.
Un altro aspetto che colpisce nei garmenti del Kohen Gadol è che i nomi delle dodici tribù apparivano due volte, incisi due volte su pietre preziose: in questo caso entrambe le pietre erano ben visibili, una sulle spalle del Kohen Gadol e l’altra sul pettorale che poggiava sul suo cuore. I Chachamim interpretano questa Halachà sostenendo che, quando si tratta del rapporto tra uomini, dobbiamo dimostrare visibilmente sia la responsabilità che portiamo sulle nostre spalle sia i sentimenti nei nostri cuori. La nostra cura reciproca dovrebbe essere indossata sulla manica, dove è evidente e visibile.
Questa è la struttura della vita religiosa. Le nostre menti e le nostre decisioni devono essere dominate da un riferimento visibile alla parola e alla saggezza di D-o. La nostra fede è preservata dentro di noi ed è più forte quanto è più profonda. Ma il nostro impegno reciproco, sia il portare una responsabilità attiva che la connessione empatica, devono essere espresse in modo visibile e ovvio.
È quella combinazione di fede profonda e spinta a provare ad agire per il benessere e per il beneficio del prossimo che ha creato i presupposti per la salvezza di Purim. Il nome di D-o non è menzionato nella Meghillat Ester, riflettendo il concetto di hester panìm, la segretezza dell’azione di D-o, non manifesta ma evidente in quello che è successo. La stessa Meghillat Ester, libro che si legge a Purim, prende il nome da Ester, la persona le cui azioni e la cui cura per il suo popolo hanno contribuito alla loro salvezza.
La nostra storia è la storia di Purim, le nostre azioni devono prendere spunto dalle vesti del Kohen Gadol. La redenzione arriverà grazie alle azioni che riflettono i nostri valori dettati dalla Torà, da una fede genuina in D-o saldamente radicata ed ancorata nei nostri cuori e dalla nostra prontezza a esprimere nelle parole e nei fatti la nostra cura e il nostro impegno per ognuno, per il prossimo, che sia un membro della nostra famiglia, un membro della nostra Comunità o altro, portandoli in primo piano sia nei nostri cuori che sulle nostre spalle. Attraverso questi comportamenti e queste azioni saremo in grado di migliorare noi stessi, migliorare la società nella quale viviamo ed ispirare il prossimo a diventare, insieme a noi, la versione migliore di se stesso.