“E Rebecca parlò a Giacobbe suo figlio, e gli disse: ‘Ecco, io ho udito tuo padre che parlava ad Esaù tuo fratello, e gli diceva: Portami un po’ di cacciagione e fammi una pietanza saporita perché io la mangi e ti benedica, al cospetto dell’Eterno, prima che io muoia. Poi Rebecca prese i più bei vestiti di Esaù suo figlio maggiore, i quali aveva in casa presso di sé, e li fece indossare a Giacobbe suo figlio minore” (Genesi 27:6-7 e 15). Questo sabato, la Torah racconta la storia della benedizione che Isacco voleva concedere a suo figlio maggiore Esaù che, invece, fu presa dal figlio minore, Giacobbe.
Isacco informò Esaù del suo desiderio di benedirlo e gli ordinò di uscire di casa, andare a cacciare un animale e preparargli la carne, in modo che, per il merito di avere adempiuto a questa mitzwà (precetto), fosse degno della sua benedizione.
Quando Esaù uscì dalla tenda del padre, Rebecca, che aveva ascoltato gli ordini di Isacco, mise in atto un piano affinché fosse Giacobbe a ricevere quelle benedizioni che il marito intendeva impartire al figlio maggiore.
Rebecca, oltre a preparare lei stessa i manicaretti che il marito amava di più, doveva anche far vestire a Giacobbe gli abiti di Esaù e principalmente per due motivi: 1. far credere al marito, praticamente cieco, di avere di fronte Esaù; 2. far si che Giacobbe si calasse pienamente nella parte e apparire come suo fratello per ricevere le benedizioni.
La Torah dice che, per questo scopo, Rebecca vestì Giacobbe con “bigdè Esaw hachamudot/gli abiti preziosi di Esaù”.
I commentatori spiegano che questi indumenti speciali erano stati tramandati in eredità fin dai tempi di Adamo e avevano il potere speciale di attrarre e imbonire gli animali. È così che Noè portò tutti gli animali sull’arca attirandoli a sé grazie a queste vesti. In effetti, Esaù era un cacciatore eccezionale proprio perché indossava queste vesti e gli animali, attratti da lui, venivano catturati con facilità. Tuttavia, Esaù usava questo potere solo per adempiere al dovere del kibbud av/onorare il padre, poiché catturava rapidamente gli animali e poi con la loro carne preparava le prelibatezze che Isacco tanto amava.
Rav Zalman Sorotzkin (1881-1966), nota l’ovvia domanda che sorge dai commenti dei maestri del Talmud. Se gli abiti preziosi di Esaù erano gli indumenti quelli che indossava quando andava a caccia, perché quel giorno erano rimasti a casa presso la madre?
Rav Sorotzkin offre diverse risposte, una di queste è che Isacco chiese espressamente a Esaù di cacciare gli animali in modo naturale, senza usare i “poteri” provenienti da quegli indumenti speciali. Esaù doveva faticare e lavorare sodo per guadagnarsi la ricompensa della benedizione.
Come insegna notoriamente una massima dei maestri (Avot 5:23) “Lepum tzarà agrà”, più è necessario lavorare duramente per eseguire una mitzwà, per eseguire un dovere, maggiore sarà la sua ricompensa. Isacco voleva che il figlio maggiore fosse meritevole delle grandi benedizioni che desiderava impartirgli.
Cosa ci insegnano queste parole.
Ci insegnano che quando si tratta di eseguire le mitzwot, non dovremmo cercare scorciatoie o una facile via d’uscita. Questo modo di fare purtroppo si pratica si per non compiere ciò che si deve ma anche quando si decide farlo.
La qualità dei nostri doveri, delle nostre azioni, dipende in larga misura dal duro lavoro e dall’impegno che vi investiamo. Quindi, non dobbiamo aspettarci che l’osservanza di una mitzwà sia facile e certamente non dobbiamo disperare quando le sfide e gli ostacoli si frappongono sul nostro cammino.
Dobbiamo ricordare che è proprio attraverso la fatica, l’impegno costante e perché no, a volte anche uno sforzo maggiore, che le mitzwot che osserviamo diventano preziose e che porteranno immense ricompense e questa è la netta differenza tra Giacobbe/Israele e Esaù/Edom, Shabbat Shalom!