Nella Parashà di questa settimana, Chayé Sarà, leggiamo la storia di Eliezer, il servo del nostro patriarca Avraham, che fu mandato in missione per trovare una moglie per suo figlio Yitzchak, che avrebbe continuato il cammino di suo padre. Eliezer arriva ad Aram-Naharaim, dove risiede la famiglia di Avraham, e lì, nella città di Charan, incontra una giovane donna straordinaria. Eliezer, che conosceva bene i modi spirituali e morali di Avraham, sceglie di mettere alla prova la giovane donna e le pone una sfida: Le chiede di attingere acqua dal pozzo per lui e aspetta la sua risposta. La giovane donna, che in seguito si rivela essere Rivka e che appartiene alla famiglia di Avraham, non si limita a fornire acqua allo straniero, ma si offre anche, di sua iniziativa, di dare acqua ai cammelli che lo accompagnavano nel suo viaggio. Eliezer stava cercando esattamente una giovane donna con queste caratteristiche, una donna dalla spiccata gentilezza e consapevolezza dei bisogni degli altri, che la rendessero adatta per sposare Yitzchak. In effetti, Eliezer viene invitato a casa della famiglia di Rivka, come era consuetudine a quei tempi, e lì si presenta e propone il matrimonio tra Rivka e Yitzchak.
Quando Rivka si separa dalla sua famiglia, nel salutarla, la benedicono con le seguenti parole: “Sorella nostra, possa tu diventare migliaia di miriadi, e possa la tua discendenza ereditare le città dei loro nemici” (Bereshit 24:60). Questa benedizione può sembrare un po’ strana. La sposa sta per convolare a nozze e, invece di augurarle una vita felice, gioiosa e fruttuosa, la sua famiglia sceglie di benedirla con la speranza che la sua prole sconfigga i suoi nemici. Questa sembra essere in effetti una berachà strana, una berachà che difficilmente ci verrebbe in mente di dare ad un qualcuno che sta per sposarsi.
La prima cosa da notare è che questa berachà ricalca la berachà che riceve Avraham nell’Akedat Yitzchak. Ci sono però delle grosse differenze. Il Chatam Sofer commenta che la berachà che viene data a Rivka da suo fratello Lavan non si è mai concretizzata. Questo nonostante il principio secondo il quale una berachà viene accolta da parte di chiunque la impartisca con affetto e con buone intenzioni, ebreo o meno, Tzadik o Rasha. Il Talmud Yerushalmi (Trattato di Sukkà ) arriva ad affermare che non importa da chi arrivi la berachà: “Disse Rav Tanchuma: Se un goy ti dà una berachà rispondi “amen”, come è scritto: Benedetto tu sia tra tutte le nazioni”. In questo specifico caso, però D-o ha reso del tutto inefficace la berachà di Lavan. Nello stesso momento in cui Lavan diede la berachà a sua sorella Rivka, lei divenne biologicamente incapace di avere figli. In quella circostanza, la berachà di Lavan divenne non solo priva di significato, ma ottenne l’effetto contrario di quanto probabilmente auspicasse Lavan stesso: Una berachà può attivare e accrescere un potenziale esistente, ma deve avere qualche relazione con il corso naturale degli eventi, e una donna sterile non può assolutamente avere figli. Una volta divenuta sterile, fu solo grazie alle tefillot di grandissimi tzaddikim quali erano Yitzchak e Rivka che avvenne il miracolo e lei ebbe la possibilità di avere dei figli. Questo evento miracoloso fu un nuovo inizio che nacque esclusivamente dalle loro tefillot e non ebbe nulla a che fare con Lavan e con le sue berachot. In accordo con questo approccio, troviamo un passaggio del Midrash Rabbà che afferma: “Rabbi Berachia e Rabbi Levi a nome di Rabbi Chama dissero: Per quale motivo Rivka divenne sterile? Perchè gli idolatri non potessero affermare: “Rivka ha ricevuto una berachà grazie alle nostre tefillot” bensì grazie alle tefillot di Yitzchak come è scritto: “E Yitchak pregò D-o a causa [di ciò che era successo] a sua moglie”” (Bereshit 25:21). I Chachamim, basandosi su queste interpretazioni, forniscono due ragioni per la sterilità di Rivka causata dalla berachà di Lavan: La prima ragione è che per annullare l’effetto nefasto della berachà di Lavan l’unico vero rimedio era solo la tefilla di Yitzchak e Rivka, in modo che il futuro del Popolo di Israele traesse nutrimento solo ed esclusivamente da una fonte di kedushà. L’altro motivo è che i bambini possono avere a volte una forte somiglianza ai fratelli della madre, e sarebbe stato un disastro se i figli di Rivka fossero somiglianti a Lavan. Per questo motivo Rivka fu resa sterile e la sua capacità di poter procreare fu l’effetto delle sue tefillot e di quelle di suo marito Yitzchak.
Nel suo commento, il Kli Yakar, in contrasto con quanto sostenuto da altri chachamim, scrive che la berachà di Lavan non era nefasta ma era, in realtà, il risultato naturale delle qualità personali e del comportamento di Rivka. Questo perchè una persona la cui caratteristica è il chesed verso il prossimo guadagna molti amici e molto amore dal prossimo. Quando arrivano tempi difficili, queste persone gli staranno accanto. Quando la famiglia di Rivka le diede questa beracha, desiderava che le sue buone qualità rimanessero tali e rimanessero sempre con lei e che se loro sorella avesse dovuto affrontare delle difficoltà, sarebbe stata circondata dall’affetto e dall’aiuto delle molte persone care riconoscenti per quello che lei era e per quello che aveva fatto. Il popolo di Israele attraverso le generazioni è caratterizzato da unità e amore per il prossimo, che si rivelano nei momenti difficili. Tuttavia, è un errore pensare che questi tratti meravigliosi si manifestino solo nei momenti difficili e scompaiano nei momenti di routine. L’unità rivelata nei momenti difficili è un risultato naturale dei valori di amorevole gentilezza e generosità verso gli altri. Quando un popolo, nei momenti di routine, considera il dono e l’aiuto agli altri una qualità centrale, questo esploderà con grande forza nei momenti di bisogno, con l’unità come risultato naturale di questi valori latenti..L’unità è potente. Nel Libro dell’Ecclesiaste, è scritto: “Due sono meglio di uno, perché riceveranno una buona ricompensa per la loro fatica. Perché se cadono, uno rialzerà il suo amico, ma guai a chi cade e non ha un qualcuno che lo aiuti a rialzarsi. Inoltre, se due giacciono, avranno calore, ma come avrà calore uno solo? E se uno prevale sull’altro, in due gli resisteranno, e una corda a tre capi non si spezzerà facilmente” (Ecclesiaste 4:9-12).
Re Shelomò paragona l’unità alle corde. Ogni singola corda può essere facilmente strappata, ma quando queste corde vengono intrecciate insieme a creare una corda spessa, diventa molto difficile romperla.
Questa è in effetti l’immagine della vera unità. Siamo erroneamente portati a credere che per unità si intenda uniformità di intenti e di pensiero, ma la vera unità è un’altra cosa. Non possiamo pretendere di essere tutti uguali perché non corrisponde a verità. Ognuno di noi è diverso, ha delle peculiarità, un carattere e delle capacità diverse. Quello che siamo chiamati a costruire non è un coro a voce unica, ma un coro armonioso a più voci, ognuno con la sua, ognuno con la sua peculiarità e con la sua voce, con l’intento unico di creare un mondo, nel nostro piccolo, migliore, con l’intento di fare emergere la parte migliore di noi stessi e di aiutare a fare emergere la parte migliore del prossimo. Questo è possibile anche grazie agli esempi che ci forniscono i patriarchi e le matriarche attraverso la narrazione della loro vita nella Torà, che tramite le loro azioni ci indicano la via da seguire attraverso i loro atti di chesed e, perché no, anche attraverso i loro errori. In questo la Torà è il miglior “libro delle istruzioni”. Attraverso la shemirat mitzvot, attraverso gli atti di chesed, grazie all’esempio positivo di chi ci ha preceduto, attraverso la capacità di fare emergere la parte migliore di noi stessi, possibilità che non è mai preclusa e che non è mai troppo tardi per fare emergere, avremo la possibilità di creare la vera unità, l’unità che ci permette e che ci ha permesso di sopravvivere attraverso tempi felici e attraverso tempi bui che ci sono stati e ci sono inevitabilmente nella nostra storia personale e nella nostra storia di popolo di Israele. Quando raggiungiamo questa unità, riusciamo ad essere, come scritto da Re Shelomò, come tante corde singole che, anche se piccole, quando intrecciate insieme formano una corda che è impossibile da strappare, una corda che garantisce la continuità della nostra Storia che rappresenta quel miracolo di continuità che è il popolo ebraico. Come scrive Rashi commentando questo versetto: “…Chiunque sia uno studioso della Torà, così come suo figlio e suo nipote, la Torà non cesserà mai dalla sua discendenza, come [la Torà stessa] afferma, “[Le Mie parole] non si allontaneranno dalla tua bocca né dalla bocca della tua progenie né dalla bocca della progenie della tua progenie”.