Con il digiuno di oggi, quello del 17 di Tamuz, inizia un periodo di lutto e di restrizioni che durerà fino al giorno dopo il digiuno del 9 di av (29-30 luglio, quest’anno). Le istruzioni per l’uso dell’Ufficio Rabbinico di Roma.
“Così dice il Signore delle schiere il digiuno del quarto mese (il 17 di Tammuz) e il digiuno del quinto mese (il 9 di Av) e il digiuno del settimo mese (il digiuno di Ghedalià) e il digiuno del decimo mese (il 10 di Tevet) diverranno per la casa di Giuda fonte di gioia e di allegria e ricorrenze buone; e voi amate la verità e la pace.” (Zaccaria 8, 19)
La tradizione ebraica ha stabilito dei periodi speciali dell’anno dedicati alla memoria e alla riflessione su tragici eventi della storia ebraica. L’idea è che ci deve essere un tempo per piangere e un tempo per gioire. L’identità ebraica è fatta di cose liete e cose tristi, e non si possono dimenticare né le une né le altre. Ma la memoria delle cose negative non deve prevalere e non ci deve sopraffare. Non ci si può ricordare di essere ebrei solo perchè c’è l’antisemitismo o si è perseguitati. Ne risulta un modo alterato di porsi nella realtà, che rischia di essere ossessivo, lamentoso, autocommiserativo. Non dimentichiamoci che molti, all’esterno del popolo ebraico, ricordano, ammirano e compatiscono gli ebrei solo perchè sono stati perseguitati, identificano gli ebrei con i campi di sterminio. La nostra realtà è ben diversa, dobbiamo malgrado tutto guardare con speranza e ottimismo alla storia e alla nostra identità collettiva. Proprio per questo appare con tutta evidenza la saggezza dei nostri Maestri che hanno voluto concentrare la riflessione sul negativo della nostra storia in alcuni giorni, evitando di trasformare questi ricordi in un ossessione di tutto l’anno.
Secondo l’impostazione ebraica tradizionale il ricordo si mantiene non solo con un semplice atto del pensiero, ma con manifestazioni e atti concreti che lo sostengono e lo alimentano; quando questi atti sono regole che tutta la comunità rispetta insieme si crea, grazie ad essi, un senso di condivisione e di unità. E’ con questo spirito che vanno illustrate e comprese le regole di questi giorni, che vengono chiamati Ben hametzarìm. L’espressione significa “tra le ristrettezze”, ed è presa dal libro delle Lamentazioni di Geremia (1:3). E’ il periodo di tre settimane che va dal 17 di Tammuz (quest’anno giovedì 9 luglio) al 9 di Av (quest’anno giovedì 30 luglio). Durante questo periodo, che culminerà con il digiuno del 9 di Av, sono prescritti alcuni divieti che creano un’atmosfera di progressiva mestizia. I divieti si applicano con gradualità crescente e si distinguono per questo vari momenti:
• dal 17 di Tammuz (secondo molti già dalla sera che precede il digiuno)
• dal Rosh Chodesh (primo giorno del mese di) Av, quest’anno mercoledì 22 luglio
• la settimana in cui cade il 9 di Av, fino al digiuno, vale a dire a partire dall’uscita di Shabbat del 25 luglio
• la vigilia del 9 di Av (mercoledì 29 luglio)
• il 9 di Av (quest’anno giovedì 30 luglio)
• il giorno successivo al 9 di Av (nel quale il Miqdash continuò a bruciare, quest’anno il 31 luglio).
Sull’applicazione delle regole esistono tradizioni e rigori diversi e in generale gli Ashkenazim tendono ad essere più rigorosi ed estensivi. Essendo la materia molto complicata, presentiamo qui di seguito alcune linee orientative su alcuni divieti.
Matrimoni: non si celebrano matrimoni, secondo le opinioni prevalenti, in tutto il periodo; per alcuni Sefardim dal Rosh
Chodesh Av. Non si fanno i preparativi per i matrimoni (corredo ecc.) che possono essere rinviati a dopo.
Restauri e abbellimenti domestici privati: da non eseguire nei nove giorni di Av. Riparazioni essenziali e indifferibili sono permesse. Parimenti sono permesse costruzioni di mitzwà (quale ad esempio un bet ha-keneset).
Frutta nuova, sulla quale si recita la benedizione shehecheyanu: non si mangia in tutto il periodo, fino al 10 Av compreso, tranne che di Sabato. Se dopo il periodo il frutto sarà irreperibile si può mangiare, ma preferibilmente di Sabato. Alcuni sefarditi dissentono e non recitano shehecheyanu neppure di Sabato.
Vestiti ed oggetti nuovi per i quali si recita la benedizione shehecheyanu: non si indossano da Rosh Chodesh fino al 10 Av compreso, compreso il Sabato. Proibito cucirli e acquistarli; le scarpe per il 9 di Av, che devono essere senza pelle, si possono comprare nuove (indossandole un momento nella settimana precedente). Se durante questo periodo viene consegnato un oggetto ordinato precedentemente (ad es. un automobile) non si deve rimandare la consegna. Se c’è la possibilità di acquistare oggetti per i quali si recita shehecheianu ad un prezzo molto vantaggioso si interpelli un Rabbino.
Controversie legali e liti con non ebrei: da evitare nei primi dieci giorni di Av.
Manifestazioni di gioia, feste, ascolto di musica: deve essere tutto ridotto a meno che non si tratti di occasioni indifferibili in cui bisogna seguire regole precise (milà ecc.). E’ bene evitare i viaggi di piacere, a meno che non vi sia un’effettiva necessità di riposo.
Taglio dei capelli e della barba: per gli Ashkenazim proibito in tutto il periodo, per molti Sefardim e per gli Italiani è proibito solo nella settimana del 9 di Av. Secondo varie usanze è permesso radersi già dall’uscita del digiuno. Alcuni si radono e si tagliano i capelli il giorno 10; altri li tagliano nel pomeriggio del 10; qualcuno aspetta l’11. Quest’anno, in cui il 10 capita di venerdì, è permesso secondo tutti radersi prima di Shabbat. Le donne in età da matrimonio e già sposate si possono depilare, tranne che nella settimana del 9 di Av.
Pettinarsi, tagliarsi le unghie, lucidare le scarpe: permesso in tutto il periodo (sabati esclusi). Alcuni vietano di tagliarsi le unghie nella settimana del 9 di Av. Le donne che devono fare la tevilà possono tagliare le unghie anche nella settimana del 9 di Av.
Lavare abiti e indossare abiti puliti: la regola proibisce di lavare gli indumenti anche se non si indossano e di indossare abiti puliti anche se sono stati lavati prima; questo nella settimana in cui cade il 9 di Av (Sefarditi, Italiani) o da Rosh Chodesh (Ashkenazim). Per ovviare alle difficoltà che l’osservanza di questa regola pone con il clima caldo di questi giorni, si suggerisce, alla vigilia del periodo proibito, di preparare tutta la biancheria e gli altri abiti che si pensa di indossare, di indossarli per breve tempo (rav Ovadia Yosef dice un’ora) e quindi riporli per riusarli quando serve nel corso dei giorni successivi. Molti sono facilitanti riguardo il lavaggio della biancheria dei bambini e dei loro abiti.
Lavaggio del corpo: proibito con acqua calda dal Rosh Chodesh (Ashkenazim e Italiani) o solo nella settimana del 9 di Av (maggioranza dei Sefardim). Comunque permesso alla vigilia di Shabàt. Permessa la tevillà in acqua calda alle donne (in tutto il periodo, escluso ovviamente il 9 di Av); agli uomini che hanno l’abitudine di farla alla vigilia del Sabato è permessa in acqua calda, negli altri giorni preferibilmente in acqua fredda. Il bagno in mare non è incluso nel divieto, secondo i Sefardim. Alcuni Ashkenazim proibiscono anche il lavaggio del corpo intero con acqua fredda. Sono permessi bagni a scopo terapeutico.
Pulizia della casa: c’è chi usa non farla nella settimana precedente, ma l’opinione prevalente è di permetterla. Secondo l’uso italiano e sefardita si pulisce casa dopo minchà del 9 di Av.
Carne: proibito mangiarla da Rosh Chodesh (qualcuno lo esclude dal divieto, non gli Italiani) fino al 10 compreso (maggioranza dei Sefardim; alcuni se ne astengono fino al pomeriggio del 10). Alcuni la vietano già dal 17 di Tammuz. Di Sabato è permessa. La carne che avanza dal pasto sabbatico secondo alcuni si può finire l’indomani. Secondo un’altra opinione si può consumare nel pasto immediatamente successivo all’uscita dello Shabbat, ed il resto si dà ai bambini. Si possono comunque cucinare cibi in recipienti di carne puliti. Parimenti è permesso consumare cibi che siano stati cucinati assieme a carne. Alcuni dissentono su questo punto, perché il sapore della carne è percettibile. La carne dei volatili è compresa nel divieto e si può permettere in prima istanza a chi deve per motivi di salute mangiare carne. Ciò si applica anche in caso di patologie non particolarmente gravi. Le donne che allattano possono essere facilitanti e consumare carne durante tutto il periodo. E’ permesso inoltre mangiare carne per pasti di mitzwà (per una milà, un pidion ha-ben, o un bar mitzwà). La mishmarà che precede la milà non rientra in questa categoria, e quindi non è consentito mangiare carne.
Vino e alcolici: c’è chi si astiene dal vino dal Rosh Chodesh, chi si limita alla settimana del 9, chi non si astiene affatto (alcuni Sefardim); altri vietano in tutti il periodo. Il divieto vale sino al 10 compreso, secondo alcuni sino al pomeriggio. Di Sabato il vino è permesso; il vino della Havdalà è permesso (alcuni usano farlo bere ad un minore, se presente). E’ permesso bere vino durante i pasti di mitzwà. Birra e alcolici sono comunque permessi.
Per la compilazione di questa nota sono stati consultati: Shulchan ‘Aruch Orach Chayym 551-553 con commenti ; Kitzur Meqor Chayym, cap. 96, Pisqè teshuvot al cap. 551:23; Yalqut Yosef pp. 661-668, Peninè Halachà, Avelut ha-churban. Per il Minhag Italiano si è fatto riferimento a Shibbolè haleqet cap. 263-264.
a cura di Riccardo Di Segni
revisione dei testi a cura di Ariel Di Porto
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La dotta citazione del ministro Tremonti che molti ebrei si vergognerebbero a dire in pubblico
“La parola ebraica shabbat -ha detto il ministro- proviene dal verbo ebraico shabat, che significa letteralmente smettere ma anche smettere per un nuovo inizio. Nella Bibbia il sabbatico e’ riposo della terra, remissione dei debiti, riposo dei servi. Pare arrivare anche per noi il tempo per un nuovo inizio, abbiamo oggi tutti, banche, imprese e Governo, una comune responsabilita’ per il nostro Paese”.
http://www.borsaitaliana.it/borsa/area-news/news/mf-dow-jones/italia-dettaglio.html?newsId=622023&lang=it