Francesca Bolino
A seguito della vicenda di Eluana Englaro, abbiamo intervistato Riccardo Di Segni, capo Rabbino della Comunità Ebraica di Roma, al quale abbiamo chiesto un parere sul rapporto tra religione, politica e bioetica dal punto di vista dell’ebraismo e non.
Quali sono gli atteggiamenti dell’ebraismo rispetto ad alcuni aspetti della bioetica?
Innanzitutto bisogna capire di quale ebraismo si parla, perché esistono tanti tipi di ebraismo e tante concezioni diverse di ebraismo. Qui mi riferisco specificamente alla posizione del rabbinato ortodosso in merito ai temi di cui abbiamo deciso di parlare.
Gli ebrei però non si rifanno solo al rabbinato ortodosso e non si rifanno magari a nessun rabbinato, giacché spesso ragionano con la loro testa; e quindi se si fa una ricerca di opinione rispetto a qualsiasi problema generale tra gli ebrei sarà possibile trovare opinioni disparate.
Quindi non c’è un’autorità centrale?
I cattolici hanno un’autorità centrale. Da noi non c’è. Ci sono tante autorità, ciascuna delle quali rispetto allo stesso problema può dare una risposta differente. Il rapporto con queste autorità delle persone è articolato: in mondi strettamente legati alla tradizione, la persona si rivolge all’autorità religiosa e a questa rimane assolutamente vincolata. In altri casi, o non ci si rivolge affatto, o ci si va solamente per sentire un parere orientativo, ma non vincolante,
Questi casi hanno implicazioni ovviamente drammatiche, per cui cerco sempre di consultarmi con grandi esperti internazionali, giacché la condivisione di queste scelte è molto difficile. Da una parte c’è la tradizione, la Torah e la legge ebraica, cioè l’Halachà. Dall’altra c’è un elemento, per così dire di modernità: lo Stato di Israele.
Gli ebrei osservanti sono fermi all’Halachà. Ma è l’Halachà che non è ferma. Nel senso che cammina progressivamente e affronta tutti i problemi che la tecnologia di oggi propone e che un tempo non esistevano. Lo fa secondo le regole dell’Halachà: si deve confrontare il caso precedente con il caso nuovo e dedurne le conclusioni. E un meccanismo che richiede il rigore dell’analisi giuridica, ma ha dei margini di libertà, per cui non è detto che alla stessa domanda si risponda in maniera univoca. L’Halachà è un sistema aperto che si sviluppa.
Si pensi a un principio fondamentale: semplificando si potrebbe dire che il pensiero laico si basa sul diritto della persona a ragionare con la propria testa. Il pensiero religioso, invece, si basa su un’autorità che si ritiene proveniente da un’origine sacra e sovrannaturale. Quindi le due cose dal punto di vista concettuale sono differenti. Ma quando si va a confluire sii una decisione pratica non è detto che le cose debbano andare necessariamente in conflitto. Spesso partendo da posizioni ideologicamente contrapposte, si arriva a conclusioni condivisibili.
Io proprio non capisco i motivi per cui ci sia stato questo enorme clamore attorno alla vicenda. Il caso è noto, non è affatto singolo, poiché purtroppo ce ne sono altri molto simili. Ma è divenuto un problema di natura politica che si è prestato a uno scontro tra forze politiche oltre che a forze istituzionali. E difficile parlare di questo caso senza rimanere coinvolti in qualche cosa che ti costringa a schierarti per una fazione o l’altra. Cosa che non si dovrebbe assolutamente fare quando si parla di etica o di bioetica, giacché in tali casi bisogna esprimere un giudizio di valori indipendentemente da una scelta politica.
C’è stata una deviazione dell’interesse generale e che proprio non capisco. Ma il fenomeno non è solo italiano. Per esempio negli Stati Uniti c’era stato il caso Terry Schiavo, che per alcuni aspetti era simile al caso Englaro, per altri no (perché i genitori di Terry volevano che restasse in vita, mentre il marito voleva porre fine alle sue sofferenze. Nel caso Englaro, al contrario, c’era un unico genitore che voleva che la sofferenza finisse). Comunque nel caso Schiavo il Senato americano ha fatto una legge in tre giorni. Il Presidente degli Stati Uniti l’ha firmata di notte, ma ciò non ha comunque fermato i giudici.
Lo è certamente ma non fa parte della bioetica dell’eccezionale – come può essere il caso Englaro – quanto della bioetica della quotidianità, che non finisce sulle prime pagine, ma che attende interventi decisivi da parte della politica
Il problema è stato posto in maniera forte quando si è affrontata la questione dei trapianti cardiaci. Perché il trapianto è consentito quando non sacrifica la vita di un’altra persona. Quindi il donatore deve essere già morto. Ma quando il decretare il momento della morte? La trapiantistica di alcuni organi come cuore e fegato si basa sulla necessità di prelevarli quando il cuore sta ancora battendo. E questo va contro la tradizionale concezione per cui la morte è decisa dalla fine del battito cardiaco. Si è sviluppato in quegli anni il concetto scientifico della morte cerebrale: si ha la morte cerebrale quando cessano le funzioni fondamentali vitali. La definizione scientifica si rifà ai criteri di Harvard che stabiliscono quali attività debbano essere valutate e misurate.