Gerusalemme scoppia la moda del copricapo costoso: e la Borsalino, copiata da Brandolino, porta i rivali in tribunale
Uno su dieci In Israele i religiosi sono il 10 per cento della popolazione, il giro d’ affari dei copricapi imponente
Quelli di Borsalino hanno un diavolo per cappello. Perché di cappelli ce n’ è in palio centinaia di migliaia: quanti ne servono a coprire le teste degli ultraortodossi, il dieci per cento degli ebrei d’ Israele. Cappelloni neri. Di feltro, ricavato dal coniglio australiano o argentino. Sempre più eleganti, sempre più costosi. Il mercato è esploso negli ultimi quindici-vent’ anni, da quando l’ abito ha ricominciato a fare l’ ebreo, da Gerusalemme a Brooklyn, e i copricapo degli haredi sono diventati un affare.
Finora i cappellai alessandrini di Spinetta Marengo, che già coprirono le crape di Bogart e di Belmondo, d’ Alain Delon e di Harrison Ford, di Reagan e di Gorbaciov, non avevano faticato a conquistare i più dandy dei rabbini. Imponendo anche qui la legge del made in Italy. Fino all’ ultima Pasqua, però. Fino a quando una ditta concorrente non ha spinto sul mercato un suo cappello dal nome vagamente simile, Brandolino, ricorrendo addirittura allo sfottò nella pubblicità: «Borsalino, il cappello che ispira rispetto», diceva sui poster un giovanotto dall’ importante sigaro in bocca? «Brandolino, il cappello che ispira tutti», faceva il verso un sorridente concorrente. Hanno subito preso cappello.
E la silenziosa guerra delle griffe, che si combatteva a suon d’ offerte speciali fra le vetrine di Mea Sharim e di Bnei Barak, i quartieri ortodossi gerosolimitani e telavivi, alla fine è arrivata in tribunale. Col rivenditore locale di Borsalino, Mendi Bastumoski, che naturalmente non ha gradito la confusione dei marchi. E con Yitzahk Meir Frester, il produttore del Brandolino, che rivendica l’ antichità della sua azienda («non prendo lezioni da nessuno: facciamo cappelli da 152 anni, mio nonno li fabbricava a Varsavia nel 1912, i nostri modelli li portavano Ben Gurion e Begin») e chiede un pò di sano protezionismo.
Il mercato è ghiotto: questo tipo di cappello è ormai il 30 per cento della produzione dei mastri piemontesi ed è per questo che la Borsalino, che prima utilizzava Frester come distributore, ha deciso l’ anno scorso d’ aprire anche negozi in proprio, assoldando un’ agenzia di pubblicità «per raggiungere soprattutto i giovani delle scuole religiose». Ogni ortodosso ne ha in genere due, uno per la settimana e uno per le feste. E il Knaitesh, il modello italiano di gran moda fra i lituani e i Lubavich, è considerato l’ oggetto di desiderio di qualunque ragazzino ortodosso dai 13 anni in su: è normale, il sabato, vedere per le strade di Mea Sharim gli adolescenti che corrono a casa con la cappelliera griffata.
Dice un Midrash che gli ebrei cacciati dall’ Egitto non cambiarono il loro modo di vestire: è per questo che gli ultrà amano indossare i cappottoni scuri e i cappelli enormi che a inizio secolo s’ usavano nei ghetti di tutt’ Europa. Chiaro perché gli stilisti non possano sbizzarrirsi più di tanto: ogni anno, a Pasqua, è tradizione concedersi l’ ultimo grido e anche se a noi gentili possono sembrare tutti uguali, ci sono almeno cento tipi diversi di cappello, che variano di qualche millimetro nell’ ala, nella cinta, nella tesa o nell’ altezza. C’ è chi spende mille-duemila dollari. E il capo (nel senso della testa) firmato piace di più: Borsalino o Brandolino? Ai poster, e ai giudici, l’ ardua sentenza.
Francesco Battistini
Conservatori Ultraconservatori
Gli Haredi, di cui fan parte i Hasidim di origine est europea, sono ebrei conservatori che seguono strettamente la legge religiosa (halacha) e i suoi codici di comportamento immutati da secoli Stile di vita Rigida separazione tra maschi e femmine, studi in scuole religiose, divieto a usare tv, giornali, Internet se non per gli affari Abbigliamento Abiti tradizionali modesti per le donne, di colori scuri per gli uomini, che portano barba e cappelli neri. I Hasidim usano vesti particolari e grandi cappelli a tesa larga
(25 aprile 2009) – Corriere della Sera