Derashah per lo Shabbat che precede Yom Kippur
Nella ‘Amidah di Yom Kippur affermiamo fra l’altro, in analogia con le altre festività: וַתִּתֶּן־לָנוּ ה’ אֱלֹהֵינוּ בְּאַהֲבָה אֶת־ יוֹם הַכִּפּוּרִים הַזֶּה… זֵכֶר לִיצִיאַת מִצְרָיִם : “Ci hai dato H. nostro D. con amore questo giorno di Kippur in ricordo dell’Uscita dall’Egitto”. Che cosa c’entra Yom Kippur con l’Uscita dall’Egitto? Per rispondere a questa domanda dobbiamo richiamarci al messaggio fondamentale per cui il ricordo della Yetziat Mitzrayim ha così tanta importanza nella vita ebraica.
Durante uno degli ultimi incontri di Moshe e Aharon con il Faraone per negoziare la liberazione del popolo, la Torah racconta che il re d’Egitto ritenne di ammonirli con le parole seguenti: רְאוּ כִּי רָעָה נֶגֶד פְּנֵיכֶם “Rendetevi conto che il Male è davanti ai vostri volti” (Shemot 10, 11). Il Faraone era convinto che il D. d’Israele fosse un dio del Male: dopo aver sterminato gli Egiziani D. avrebbe fatto lo stesso con gli ebrei e pertanto il Faraone sentiva il dovere morale di proteggerli dalla loro stessa Divinità: per questo li tratteneva in schiavitù! Il re d’Egitto non aveva capito un dato fondamentale: a differenza di altre religioni orientali che effettivamente postulano l’esistenza di un dio del male separato dal dio del bene (dualismo teologico), l’ebraismo crede in un solo D. che punisce i malvagi e premia i giusti allo stesso tempo. La morale è una sola e inseparabile. Il concetto è ribadito nella cantica della Parashat Haazinu, letta quest’anno nello Shabbat Shuvah che precede Yom Kippur. Rivolgendosi ai popoli oppressori di Israel Egli sembra proprio rispondere all’ammonimento del Faraone per le rime, dicendo: רְאוּ עַתָּה כִּי אֲנִי אֲנִי הוּא וְאֵין אֱלֹהִים עִמָּדִי אֲנִי אָמִית וַאֲחַיֶּה מָחַצְתִּי וַאֲנִי אֶרְפָּא וְאֵין מִיָּדִי מַצִּיל “Rendetevi ora conto che Io sono (sempre) Io e non vi è altra Divinità accanto a Me: Io do la vita e la morte, colpisco e Io risano e nessuno può salvare dalla Mia mano” (Devarim 32, 39). Comprendiamo ora la stretta relazione concettuale esistente fra Yom Kippur, il Giorno dell’Espiazione in cui il S.B. suggella il proprio Giudizio verso le creature, buono o cattivo che sia e l’Uscita dall’Egitto nel suo senso più profondo.
Bene e Male sono dunque due facce della stessa medaglia e la scelta della via da intraprendere dipende direttamente e soltanto dall’uomo. Uno dei momenti più significativi del Seder ha-’Avodah presieduto dal Kohen Gadol in persona il Giorno di Kippur nel Bet ha-Miqdash era il sorteggio del “capro per H.”, in rappresentanza del bene e del “capro per ‘Azazel (espiatorio)”, simbolo del male. La Mishnah stabilisce che שְׁנֵי שְׂעִירֵי יוֹם הַכִּפּוּרִים, מִצְוָתָן שֶׁיִּהְיוּ שְׁנֵיהֶן שָׁוִין בְּמַרְאֶה וּבְקוֹמָה וּבְדָמִים וּבִלְקִיחָתָן כְּאֶחָד “a priori i due capri dovevano essere entrambi uguali nell’aspetto, nella statura, nel valore e acquistati insieme” (Yomà 6, 1). I due capri sono una metafora degli esseri umani. Nella Torah di Israel non c’è dottrina della predestinazione. Nessuno può dire: io sono buono o malvagio perché sono nato sotto la stella di questo o quel dio e quindi non posso cambiare”. Anche noi, come i capri, abbiamo un’uguaglianza di fondo garantita dall’Unico D. e la nostra destinazione, simboleggiata dal sorteggio, dipende da cosa noi vogliamo fare della nostra vita.
Purtroppo non sempre sappiamo gestire questa relazione nel modo corretto. Per lo più l’umanità si divide in due partiti: quelli che chiamiamo “malvagi”, in quanto al male soccombono, o anche solo assistono senza reagire e quelli che chiamiamo “giusti”, i quali assistono al male e lo condannano. Le due categorie hanno in comune il fatto di limitarsi a osservare il male dall’esterno. Rispetto alla vita morale ci assumiamo per lo più il ruolo di semplici spettatori. Lo Zohar commenta che il “capro espiatorio” è un dono elargito alle forze del male. Questi vuole la sua parte! Nel giorno dell’Espiazione anche le forze del male meritano di essere rese attivamente partecipi della nostra vita interiore. Ciò ci insegna che il male è stato ammesso dallo stesso D. del bene affinché sappiamo asservirlo, sublimarlo e adoperarlo: non per assistere passivamente ai suoi effetti, sia pure condannandolo a posteriori! E’ quanto la Mishnah ci insegna in un altro passo, commentando un celebre versetto dello Shemà’ che pronunciamo quotidianamente due volte al giorno: וְאָהַבְתָּ אֵת הֹ’ אֱלֹהֶיךָ בְּכָל לְבָבְךָ “E amerai H. tuo D. con tutto il tuo cuore” (Devarim 6, 5); osservano i Maestri בְּכָל לְבָבְךָ, בִּשְׁנֵי יְצָרֶיךָ, בְּיֵצֶר טוֹב וּבְיֵצֶר רָע, che la parola “tuo cuore” è scritta con due bet per alludere “ad entrambi i tuoi istinti, l’istinto del bene e l’istinto del male” (Berakhot 9, 5; cfr. Rashì ad v.). Nel trattato del Talmud su Yom Kippur Reish Laqish distingue fra due livelli di Teshuvah: אמר ריש לקיש גדולה תשובה שזדונות נעשות לו כשגגות … איני והאמר ריש לקיש גדולה תשובה שזדונות נעשות לו כזכיות … לא קשיא כאן מאהבה כאן מיראה: la Teshuvah per timore converte le trasgressioni volontarie in semplici errori, ma la Teshuvah per amore ha la facoltà di trasformarle addirittura in meriti (Yomà 86b)! Rav Soloveitchik commenta che chi sa far tesoro dei propri trascorsi e torna a D. con tutta quanta la propria personalità compie Teshuvah nel senso più alto del termine.
Se ciò è vero per il male assoluto, obbiettivo, tanto più sarà valido nei confronti del male relativo, ovvero ciò che noi soggettivamente reputiamo male. Dobbiamo imparare a considerare tutto ciò con un occhio diverso. Non come una fonte di contrapposizione, ma piuttosto come una grande opportunità. Capire le ragioni dell’avversario può aiutarci a migliorare noi stessi in vista della costruzione di un mondo migliore. Come è possibile intraprendere un cammino apparentemente così impervio? Non da soli. E’ ancora il Seder del “capro espiatorio” a darci le indicazioni necessarie. La Mishnah spiega che il sorteggio dei due capri era effettuato dal Kohen Gadol הַסְּגָן בִּימִינוֹ וְרֹאשׁ בֵּית אָב מִשְּׂמֹאלוֹ, “assistito dal Segan (sostituto) alla sua destra e dal Rosh Bet Av (capo dei Kohanim in turno di servizio quella settimana) alla sua sinistra” (Yomà 4, 1). E’ questa l’origine dell’uso invalso nelle Comunità italiane e sefaradite di collocare due Seganim ai lati del Chazan per le Tefillot di Yom Kippur. Il commento Tif’eret Israel lo mette in relazione con l’episodio biblico della guerra contro ‘Amaleq, che come è noto rappresenta il male. La Torah racconta che in quell’occasione Moshe salì in cima alla collina e partecipò idealmente alla lotta sollevando le braccia per suscitare nei combattenti l’ispirazione celeste, che avrebbe dato loro la forza di prevalere (cfr. Mishnah Rosh ha-Shanah 3, 8). Ma data l’età non ce l’avrebbe fatta da solo a tenere le braccia alzate per tutto il tempo necessario. Così: וְאַהֲרֹן וְחוּר תָּמְכוּ בְיָדָיו מִזֶּה אֶחָד וּמִזֶּה אֶחָד וַיְהִי יָדָיו אֱמוּנָה עַד בֹּא הַשָּׁמֶשׁ “suo fratello Aharon e suo nipote Chur (figlio di sua sorella Miriam), uno da una parte e uno dall’altra gli sorressero le braccia e le sue mani rimasero alzate fino al tramonto del sole” (Shemot 17, 11). Si osserverà che compare in questo versetto per due volte la parola אֶחָד (“uno”) che ha il valore di 13, per il totale di 26 che corrisponde al Tetragramma! Il messaggio è chiaro. Se Moshe nostro Maestro non avrebbe potuto farcela da solo, tanto meno noi oggi. Solo unendo le nostre forze migliori riusciremo nell’arduo compito di sconfiggere il male e riaffermare la Presenza di H. nel mondo. Gmar Chatimah Tovah a tutti.