Le vicende dei personaggi di serie televisive come Shtisel o Fauda intrigano e commuovono spettatori di tutto il mondo. Perché?
Che cosa ci può essere di più particolare e quindi se vogliamo, in fondo, di provinciale, delle vicende di una famiglia ultraortodossa di un quartiere sconosciuto ai più, di Gerusalemme? Che cosa spinge allora il pubblico ormai diventato ultra-globalizzato delle piattaforme di contenuti (Netflix e tante altre) ad appassionarsi a questi strani personaggi vestiti di nero, che recitano strane formule prima di consumare ogni cibo, che lasciano la porta socchiusa ogni volta che un uomo e una donna estranei si trovano da soli e che baciano un curioso astuccio quando oltrepassano una porta?
O perché mai questo stesso pubblico ha atteso con impazienza ogni nuova serie di puntate di una squadra speciale di militari israeliani sotto copertura che operano in costanti conflitti identitari, bestemmiando in un arabo perfetto quando scherzano tra di loro o nella tensione di azioni che violano ogni possibile codice etico e legale? Non sono queste stesse piattaforme già piene fino all’inverosimile di vicende di inseguimenti, di ammazzamenti, di esplosioni e di doppiogiochisti?
E per tornare a qualche anno fa, che cosa ci può essere di così attraente in una serie basata su un’idea apparentemente banale come gli incontri settimanali di uno psicanalista con pazienti diversi, tanto da diventare un format acquistato e poi localizzato negli Stati Uniti, in Serbia, in Romania, nei Paesi Bassi e in Italia?
La nostra ipotesi di partenza, quando abbiamo ideato il modulo La bellezza delle diversità per le serie israeliane, è che gli autori abbiano osato rischiare, in un mondo dei media sempre più dominato dall’omologazione dei contenuti “giusti”, proponendo vicende particolari, a volte anche scorrette, ma genuinamente “vere” (per quanto la finzione lo permette). Vere e particolari fino al punto di poter appassionare pubblici globali.
Perché i padri in pena per un figlio che non riesce a trovare il suo posto nella vita (Shtisel), il confronto con la minaccia terroristica che è comunque incontro di essere umani con amori, rabbie e sentimenti (Fauda), appartengono a un’umanità intera che non cessa di stupirsi e di interrogarsi, che vuole capire non solo con la testa ma anche col cuore.
Per verificare questa ipotesi di partenza abbiamo invitato quindi un mito della critica cinematografica come Mariarosa Mancuso e il bravissimo regista Alex Infascelli, a parlarci sia di contenuti sia di tecnica. Da non perdere.
Domenica 10 settembre, ore 18.30, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo Da Vinci”: La bellezza della diversità. Il successo delle serie israeliane.