La mitzvà della birkàt ha-mazòn, la benedizone che segue il pasto, la si impara da questa parashà, dove è scritto: “E osserva i comandamenti dell’Eterno, del tuo Dio, camminando nelle sue vie e temendolo; perché il tuo Dio, l’Eterno, sta per farti entrare in un buon paese: paese di corsi d’acqua, di laghi e di sorgenti che nascono nelle valli e nei monti; paese di frumento, d’orzo, di vigne, di fichi e di melagrani; paese d’ulivi da olio e di miele; paese dove mangerai del pane a volontà, dove non ti mancherà nulla; paese dove le pietre son ferro, e dai cui monti scaverai il rame. Mangerai dunque e ti sazierai, e benedirai l’Eterno, tuo Dio, a motivo del buon paese che t’avrà dato. Guardati bene dal dimenticare l’Eterno, tuo Dio, al punto da non osservare i suoi comandamenti, le sue prescrizioni e le sue leggi che oggi ti do (Devarìm, 8:6-11).
La birkàt ha-mazòn è una benedizione, e forse la sola, dettata dalla Torà. Tutte le altre sono di origine rabbinica. Si recita questa benedizione dopo aver mangiato del pane di uno dei cinque tipi di grano (frumento, orzo, avena, spelta e segale).
L’autore catalano del Sèfer ha-Chinùkh (XIII sec. E.V.) osserva che il livello di sazietà è differente da persona a persona. In teoria si è obbligati a dire la birkàt ha-mazòn solo quando ci si sente sazi. Nonostante ciò diciamo la birkàt ha-mazòn anche quando non abbiamo mangiato pane a sazietà. Questo lo impariamo da un passo talmudico.
Nel Talmud babilonese (Berakhòt, 20b) è raccontato che rav ‘Avira insegnò: Gli angeli al Suo servizio dissero al Santo Benedetto: Padrone del mondo, nella Tua Torà è scritto: «Dio grande, potente e temibile, che non fa favori a nessuno e non accetta regali» (Devarìm, 10:17), eppure Tu fai grazia a Israele, come sta scritto: «L’Eterno ti farà grazia e ti darà pace» (Bemidbàr, 6:26). Egli rispose loro: E come posso non mostrare grazia a Israele? Nella Torà ho scritto per loro: “E mangerete e sarete saziati, e benedirete l’Eterno, vostro Dio” (Devarìm, 8:10), [a significare che non vi è obbligo di benedire l’Eterno finché non si è sazi;] eppure essi sono esigenti con se stessi e recitano la benedizione dopo i pasti anche se hanno mangiato anche solo quanto un volume di un’oliva o di un uovo. [E poiché vanno oltre i requisiti della legge, sono degni di favore].
Nella spiegazione di questa mitzvà, l’autore puntualizza che quando diciamo una berakhà e usiamo le parole “barùkh atà” (benedetto Tu) nei confronti dell’Eterno, non intendiamo dare una benedizione al Signore, che di benedizioni non ne ha affatto bisogno. Siamo piuttosto noi che abbiamo bisogno di benedizioni! Egli spiega che quando diciamo la parola “barùkh” vogliamo riconoscere che l’Eterno è la fonte di tutte le benedizioni. R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (Devarìm, p. 75) fa notare la parole del versetto che segue quello in cui è specificato l’obbligo di recitare la birkàt ha-mazòn: “Guardati bene dal dimenticare il tuo Dio, l’Eterno, al punto da non osservare i Suoi comandamenti, le Sue prescrizioni e le Sue leggi che oggi ti do (Devarìm, 8:6-11). Il contesto nel quale è scritta la mitzvà della birkàt ha-mazòn ci insegna che la Torà non richiede agli esseri umani di ringraziare l’Eterno. Lo scopo della birkàt ha-mazòn è quello di impedire che l’arroganza si inserisca nel cuore umano e faccia sì che egli si dimentichi che Dio è il Creatore. Pertanto la birkàt ha-mazòn non è un atto di ringraziamento o di lode, ma un atto di ricordare Dio, è un adempimento del costante comandamento di ricordare e di essere consapevoli del nostro Creatore in ogni aspetto della nostra vita.