Un’istituzione scrigno d’una delle collezioni di opere fra le piu’ vaste al mondo
Alessandro Logroscino
GERUSALEMME – Dalla preistoria alle neoavanguardie, dall’archeologia alle installazioni dell’arte contemporanea, dal patrimonio ebraico alle diverse declinazioni della tradizione monoteistica (cristianesimo, islam) e ai suoi influssi sulla cultura dell’Occidente e del resto del mondo. E’ un’ambizione enciclopedica quella che ispira il Museo d’Israele di Gerusalemme – istituzione simbolo del Paese del sionismo e scrigno d’una delle collezioni di opere e oggetti fra le piu’ vaste al mondo – che si ripropone in queste settimane al pubblico in veste rinnovata, dopo un imponente intervento di risistemazione avviato e concluso nel giro di tre anni. Un intervento che non stravolge il disegno originale degli architetti Alfred Mansfield e Dora Gan, a 45 anni di distanza dall’apertura datata 1965. Ne’ cancella il colpo d’occhio di uno spazio affacciato scenograficamente su una delle vallate di Gerusalemme e incastonato fra i templi laici dello Stato d’Israele: dalla Knesset alla Corte suprema, dalla Biblioteca nazionale al campus dell’Universita’ ebraica. Affidato alla matita del newyorchese James Carpenter, il progetto comprende la creazione di un nuovo ingresso (con un nuovo padiglione in vetro che riprende le linee della struttura modernista degli edifici originali del museo), una nuova utilizzazione degli spazi, una ridefinizione del percorso di visita e l’incremento da 50.000 a oltre 58.000 metri quadrati delle superfici espositive disseminate su un’area di 20 acri. Uno sforzo gigantesco che appare ormai completato, a pochi giorni dall’inaugurazione ufficiale del 21 luglio e a tre anni esatti dall’inizio dei lavori.
Il costo complessivo, pari a 100 milioni di dollari, ”e’ stato coperto per l’80% da finanziatori privati, israeliani e stranieri, fra individui, famiglie e fondazioni”, ha spiegato all’ANSA il direttore James Snyder, gia’ regista anni fa – allora in veste di vicedirettore del Moma di New York – di un’eclatante operazione di ampliamento e ristrutturazione d’una grande realta’ museale. L’obiettivo non cambia e resta quello di offrire da un lato una panoramica della millenaria eredita’ storico-culturale di questa terra e dall’altro delle innumerevoli concatenazioni fra la tradizione monoteistica che qui prese forma e le culture del mondo. Si aggiorna invece il modello di fruizione di una istituzione ricchissima, che racchiude ben 500.000 oggetti. Con un percorso circolare che permettera’ al pubblico di navigare intuitivamente attraverso gallerie e spazi aperti, accostando in un gioco di echi e specchi la preistoria, la storia del Vicino Oriente antico, l’arte moderna e contemporanea.
L’intervento – oltre alle nuove e tutt’altro che indiscrete strutture architettoniche di Carpenter – ha comportato restauri e una rivisitazione complessiva delle collezioni nelle tre gallerie principali: l’ala Bronfman, dedicata all’archeologia, che comprende anche la pagoda bianca concepita a suo tempo da Frederick Kiesler per ospitare i fatidici Rotoli del Mar Morto (o di Qumran); l’ala Mandel, con la sua impareggiabile raccolta di vestigia della tradizione ebraica, sacra e non (Judaica); e infine l’ala Safra, suddivisa in una sezione riservata all’arte dell’Occidente, dagli antichi maestri alle opere contemporanee, e in una aperta ai contributi artistici di continenti lontani. Ritocchi hanno riguardato pure le gallerie destinare a esibizioni speciali e quella pensata per l’educazione artistica dei giovani visitatori. Mentre resta intatto, all’esterno, il suggestivo modello di Gerusalemme, in scala 50 a 1, ricostruita come era all’epoca del Secondo Tempio. E appare riportato a nuova vita il giardino-scultura del nippo-americano Isamu Noguchi.
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