Se nella parashà di lekh lekhà, che abbiamo letto lo scorso shabbat, il Signore mette alla prova Abramo, prima chiedendogli di abbandonare definitivamente la terra natia e la casa paterna, poi di circoncidersi all’età di novantanove anni, come segno di un patto eterno, stipulato fra D-o e i suoi discendenti, in questa parashà, la prova a cui viene sottoposto Abramo è assai più dura.
I nostri Maestri sostengono che la prima e l’ultima delle dieci prove cui è sottoposto Abramo dal Signore, iniziano entrambe con l’espressione “lekh lekhà” “va per il tuo bene”.
Con la prima prova il Signore chiede ad Abramo di rinunciare alla Terra natia, ai suoi genitori, quindi al passato; con la seconda, il Signore gli chiede di rinunciare a suo figlio, quel figlio a cui Abramo non sperava più, ma che aveva sempre desiderato avere con Sara, quindi alla sua discendenza – al suo futuro.
Siamo abituati a sentire, non sempre in ambiente ebraico, chiamare quel brano della parashà settimanale, con il nome di Sacrificio di Isacco, ma mai con la sua reale definizione “’akedat Izchak – legatura di Isacco”.
In effetti non si tratta di un sacrificio, ma di una legatura con cui culmina il racconto in questione; in tutto il brano non si parla mai e poi mai di morte o di uccisione ma di un’espressione “ve ha’alehu sham le ‘olà ‘al achat he harim e fallo salire per me una salita su uno dei monti”.
Questa interpretazione viene data dal Rav Kuk, uno dei rabbini più moderni della tradizione ebraica.
Rav Kuk sostiene che l’intento divino è quello di dare sia ad Abramo che a Isacco, un regola di dignità ebraica e cioè di insegnare loro che persino davanti alle cose dolorose, bisogna reagire con dignità, per essere da esempio presso altri popoli, che dopo sciagure e disgrazie si auto annullano, arrivando così al proprio annientamento.
Molti altri sostengono invece che questo sia un messaggio al mondo dell’epoca, una società pagana che viveva sulla prevalenza del forte sul debole e del potente su chi era inerme, che la volontà divina è quella di voler la vita di ogni uomo, considerato particolarmente caro a D-o, poiché ne rispecchia la propria immagine.
Il Sacrificio, non sacrificio di Isacco è il segno del monoteismo in assoluto e di un D-o che non vuole la morte delle Sue creature, ma il loro bene.
Racconta un midrash che nel momento in cui D-o dice ad Abramo di non offrire suo figlio in sacrificio, Abramo si adira contro di Lui, chiedendogli di completare la mizvà che gli era stata chiesta; il Signore allora gli manda un capro che verrà offerto in sacrificio al posto di Isacco, che nel corso della storia simboleggerà la vittoria del bene e dell’amore su ogni altra cosa.
Quello stesso montone con il cui corno, il giorno di Rosh ha shanà, suonandolo, ricordiamo all’Eterno la akedat Izchak, e attraverso l’amore che Egli ha nutrito per i Patriarchi, possa salvare il nostro popolo e salvarci dalle nostre cattive azioni.
Shabbat shalom