Abba è una delle prime parole che un bambino di madre lingua ebraica impara a conoscere. È il modo in cui si rivolge a suo padre, equivalente all’italiano babbo o papà (parole con cui ha una chiara assonanza). Il termine è di origine aramaica (la lingua del Talmud) ed è collegato con l’ebraico Av (padre). Gli Avot (plurale di Av, curiosamente con desinenza femminile) sono i padri in genere e, nello specifico, sono i Patriarchi. I Pirkè Avot sono le Massime dei Padri, un trattato della Mishnà contenente insegnamenti etici. Av è anche il nome del quinto mese del calendario ebraico (che inizia da Nisan): è il mese in cui, nel nono giorno, ricordiamo con un digiuno la distruzione del Primo e Secondo Tempio di Gerusalemme. Il mese di Av è anche chiamato Menachem Av, ossia Av il Consolatore, come augurio che questo mese si trasformi da periodo di lutto in gioia. In parte lo è già: infatti, il 15 di Av (Tu beAv) è la festa dei fidanzamenti.
Un curioso cortocircuito generato dalla pronuncia dell’ebraico tipica in Italia e dalla traslitterazione usata in passato, nonché dall’ignoranza di alcuni, si verificò anni fa in occasione di un importante evento al Tempio Maggiore di Roma. Il coro avrebbe intonato alcuni canti ebraici e gli organizzatori stamparono il programma con la traslitterazione e la traduzione dei titoli dei canti.
Uno di questi era traslitterato con Baruch Abba e tradotto con Benedetto il Padre. In realtà, come dovrebbero sapere almeno gli addetti ai lavori, le due parole con cui inizia il canto vogliono dire Benedetto chi viene (ossia benvenuto).
Una traslitterazione più corretta, che tenesse conto dell’aspirazione della lettera He, sarebbe Baruch Ha-ba (o anche Habba). Ma dato che la He in Italia non si pronuncia(va), era diventato Abba. Non so se quando venne in visita al Tempio il papa (il primo o il secondo) distribuirono un programma del genere: se sì, il papa sarà stato sicuramente contento di vedere che anche gli ebrei lo considerano Padre (ma, almeno il secondo, che è un erudito, avrà pure detto: Come sono ignoranti questi romani!).
Gianfranco Di Segni, Collegio Rabbinico Italiano