Tempio di via Eupili – Milano
La Parashà di Pinchas contiene un lungo elenco di sacrifici che vengono portati in varie occasioni. La prima offerta di cui parla la Torà è il Korban Tamid – il sacrificio quotidiano. C’è una mitzvà di offrire un Korban Tamid nel Santuario, ogni giorno. Questa offerta viene portata ogni giorno dell’anno, anche durante lo Shabbat o a Kippur. C’è qualcosa di bello ma anche di problematico nell’abitudine. Questa trappola è accennata da un versetto che compare a metà del versetto che tratta del Sacrificio quotidiano, senza una ragione apparente: “L’olocausto continuo, che fu fatto sul monte Sinai per un profumo gradevole, un sacrificio di fuoco, di fronte ad HaShem [Bamidbar 28:6]. Che cosa ha a che fare questo sacrificio con il sacrificio quotidiano? Perché quello che è successo sul Monte Sinai è menzionato nel mezzo della descrizione del Korban Tamid?
Nel Talmud [Chagigà 6b] ci si chiede cosa insegna questo versetto. Un’opinione afferma che il sacrificio sul monte Sinai necessitava di libagioni di accompagnamento, l’altra dice che non aveva bisogno di libagioni; Un’altra opinione afferma che l’offerta quotidiana non è stata portata sul Monte Sinai ma che è iniziata solo più tardi. Rav Yosef Salant dice che sebbene i rabbini del Talmud stiano discutendo su una questione halachica, in realtà qui ci si riferisce alla trappola dell’abitudine. Quando qualcosa viene fatta giorno dopo giorno, per quanto meravigliosa possa essere, alla fine viene fatta a memoria, diventa automatica. In qualsiasi giorno potremmo essere in ritardo, indossare rapidamente i Tefillin, e finire di fare tefillà rapidamente. Tuttavia, basta solo avere la gioia di vedere un figlio indossare i Tefillin per la prima volta, per innescare un processo molto diverso. In questo caso staremo molto attenti, guarderemo il ragazzo del Bar Mitzva indossare i Tefillin, assicurandoci che siano dritti, assicurandoci che siano abbastanza stretti e che tutto sia in ordine. Qual è la differenza? La differenza è che potremmo aver messo i Tefillin per quarant’anni ed è un po’ come il Korban Tamid.
Possiamo dire che non abbiamo mai perso un giorno, ma quel “Tamid” diventa un’abitudine e talvolta manca del vero significato della Mitzvà. Questa è la trappola del Tamid. Per questo motivo, la Torà inserisce il versetto relativo all’offerta sul Monte Sinai: Dobbiamo ricordare quel primo Tamid e dell’emozione di quel primo sacrificio per riportare quell’entusiasmo nelle mitzvot che facciamo ogni giorno. David HaMelekh scrive nei Tehillim: “Ho chiesto una cosa a D-o, questa è la mia richiesta; Dimorare nella Casa di D-o tutti i giorni della mia vita e visitare il Suo Palazzo”. [Tehillim 27:4] Tutti i commentatori chiedono cosa intenda dire David HaMelekh. Prima chiede di abitare nella Casa di D-o per tutta la sua vita, e poi chiede di essere un visitatore? David haMelekh chiede di avere entrambe le cose, abitare tutti i giorni nella casa di D-o, ma sentirsi come se fosse solo un visitatore. Vuole che la pratica delle mitzvot sia insieme un’esperienza quotidiana ma anche un’esperienza nuova. Questa è una richiesta difficile, perché queste due qualità si escludono quasi a vicenda. Questo è l’obiettivo e questa è la lezione del Korban Tamid. Deve essere “Uno ogni mattina e uno ogni sera” ma deve anche essere “come il primo mai offerto, sul monte Sinai”.
Come può essere attuato tutto questo? Una risposta possibile viene fornita dallo stesso nome di Pinchas. Nella Torà il nome di Pinchas viene scritto con la lettera yud. Che importanza ha questa lettera? Ha avuto molta importanza per il nome di Yehoshua, come sottolinea Rashi, perchè Moshè ha aggiunto la yud al suo nome prima della missione degli esploratori per proteggerlo dal cadere nel consiglio degli altri esploratori. La sua yud proveniva da un altro nome molto importante, Sarai, il cui nome fu cambiato in Sara, per indicare il suo cambiamento di status. Secondo il Midrash, la yud non voleva questo scambio perché faceva parte del nome di una delle persone più importanti della storia del mondo, tuttavia, quando D-o gli disse che avrebbe avuto una missione diversa in futuro, accettò. Il Talmud riferisce che la yud è la lettera che D-o ha usato per creare il mondo a venire (Menachot 29b). Il Maharal dice che la lettera yud è l’unica che non è composta da altre lettere. In quanto tale, rappresenta la sublime semplicità spirituale del mondo a venire. Aggiungere la yud al nome di una persona, almeno nella Torà, significava aggiungere l’elemento del mondo a venire alla realtà di una persona. È come la linfa dentro un albero. È già lì, anche se non possiamo vederla o usarla. Per accedervi, bisogna incidere l’albero e lasciarla fluire verso l’esterno. La stessa cosa vale per il mondo a venire. È già dentro di noi, nelle nostre anime. Per fare emergere questa luce divina dobbiamo sforzarci di andare contro quella voce che preferirebbe fare altre cose, attingere all’anima e portare la luce in superficie affinché tutti la vedano.
Tutti noi abbiamo quella yud, perché tutti abbiamo un’anima. Per fare emergere questa luce divina, le qualità incredibili che ognuno di noi ha, per attingere alla nostra yud, dobbiamo ritrovare quell’entusiasmo necessario nella pratica quotidiana delle mitzvot, ringraziare D-o ogni giorno per quello che ci dà e, grazie a questa luce, contribuire ad illuminare il mondo e ad influenzare il prossimo con la luce positiva che viene dalle nostre mitzvot e dai nostri atti di chesed, bontà e giustizia.