Di Shabbat e Yom Tov esiste il divieto (rabbinico, shevùt) di suonare strumenti musicali e di maneggiare oggetti che emettono suoni, per il rischio di ripararli se si guastano o di produrne di nuovi (shemmà yetaqqen kelì shir). Come si concilia con questo l’obbligo di suonare lo Shofar a Rosh ha-Shanah?
La regola generale è che se un precetto affermativo (‘asseh) si trova in contrasto con un divieto (lo ta’asseh) prevale il primo. Un esempio di applicazione di questo principio è dato dal precetto del levirato che mette in secondo piano il divieto di sposare la vedova del proprio fratello nell’ambito delle ‘arayyot (unioni sessuali proibite). Se infatti la coppia non ha avuto figli la Torah non solo permette, ma addirittura obbliga il fratello del marito deceduto a sposare la propria cognata a deroga del divieto generale in questo caso particolare (cfr. Yevamot 3b). Apparentemente si potrebbe ragionare nello stesso modo nel nostro contesto e affermare che anche il precetto affermativo dello Shofar di Rosh ha-Shanah costituisce semplicemente una deroga al divieto generale degli strumenti musicali nei giorni festivi.
La realtà è tuttavia più complessa. Maimonide (Hilkhot Shofar 1,4) scrive infatti quanto segue: “Per predisporre lo Shofar di Rosh ha-Shanah non si profana Yom Tov, neppure nei divieti rabbinici (shevùt). Come? Se lo Shofar è collocato in cima a un albero o aldilà del fiume e non ne possiede un altro, non può salire sull’albero né navigare sull’acqua per andarlo a prendere”. Per disposizione rabbinica è infatti proibito di Shabbat e di Yom Tov sia arrampicarsi su un albero per il rischio di staccarne rami, che navigare in un fiume per un’eventualità simile: procurarsi un legno per remare. Resta il fatto che il divieto generale prevale qui sulla Mitzwah specifica dello Shofar.
Aggiunge Maimonide: “E non c’è bisogno di dire che non lo si ritaglia né si compie su di esso alcun lavoro, perché il suono dello Shofar è solo un precetto affermativo (‘asseh), mentre l’osservanza di Yom Tov comprende insieme un precetto affermativo (‘asseh) e un divieto (lo ta’asseh): ne consegue che un semplice ‘asseh non mette in secondo piano ciò che è contemporaneamente lo ta’asseh e ‘asseh”. Astenersi da certe attività di Yom Tov non è dunque solo un lo ta’asseh (kol melekhet ‘avodah lo ta’assù), ma è anche un precetto affermativo, desunto dal fatto che la Torah lo chiama Shabbaton, cioè Shabbat in miniatura che siamo tenuti a rispettare. Il peso di questa doppia qualifica è tale per cui è il semplice ‘asseh dello Shofar, in questo caso, a essere accantonato rispetto all’osservanza di Yom Tov in generale.
Come conciliare a questo punto la Halakhah che abbiamo appena studiato con quest’altra che Maimonide riporta più avanti (2,6) e che sembra contraddire la prima: “Se lo Yom Tov di Rosh ha-Shanah cade di Shabbat non si suona lo Shofar dappertutto. Sebbene il divieto di suonare (uno strumento musicale) è solo un divieto rabbinico e sarebbe stato giusto suonare (lo Shofar), viene il precetto affermativo (‘asseh) della Torah e mette in secondo piano un divieto rabbinico (shevùt)”!
Maimonide aggiunge a questo punto che la prassi di non suonare lo Shofar quando Rosh ha-Shanah viene di Shabbat ha una logica e un’estensione differente: è un altro decreto rabbinico, connesso con il divieto (biblico) di trasportare oggetti per la strada in vigore appunto di Shabbat. “Si teme che uno possa prendere in mano il proprio Shofar per farselo suonare da un esperto e lo trasporti su suolo pubblico… giungendo a profanare lo Shabbat. (A Rosh ha-Shanah) tutti sono infatti tenuti al suono, ma non tutti sono capaci di suonare”. In pratica si permetteva di suonare lo Shofar di Shabbat a Yerushalayim finché è esistito il Santuario, perché nessuno avrebbe osato profanare lo Shabbat in quell’ambiente; dopo la distruzione Rabban Yochanan ben Zakkay istituì che si suonasse lo Shofar di Shabbat a Yavneh e in altre sedi di tribunali rabbinici importanti, appoggiandosi al fatto che questi avrebbero a loro volta costituito un deterrente alla profanazione dello Shabbat.
Resta la contraddizione di fondo fra le due Halakhot formulate da Maimonide: riassumendo, dove si tratta della preparazione dello Shofar l’osservanza dei rigori di Yom Tov (shevùt) ha la preminenza, mentre la sonata vera e propria prevale su questi rigori. Il commento Lechem Mishneh offre due spiegazioni della differenza. 1) Se nella preparazione dello Shofar si fosse prestata la dovuta attenzione fin dalla vigilia, il problema di doverlo andare a prendere in cima a un albero o aldilà del fiume nel giorno festivo di Rosh ha-Shanah (shevùt) non si sarebbe posto. All’inverso lo shevùt connesso con il suono non può essere evitato. Ciò ci insegna che determinate Mitzwòt richiedono una preparazione anticipata e dobbiamo dedicare a ciò tempo e sforzo. 2) I rigori di Yom Tov (shevùt) relativi alla preparazione dello Shofar non possono essere violati perché in realtà si riferiscono a un momento antecedente al compimento della Mitzwah vera e propria, che è quella di suonarlo. Laddove invece l’infrazione è contestuale all’esecuzione della Mitzwah, i rigori (shevùt) passano in secondo piano e si compie la Mitzwah di suonare lo Shofar.
C’è infine una terza considerazione da fare, legata a una terza Halakhah di Maimonide (2,7): “Non si impedisce ai bambini non ancora giunti all’età di comprendere il senso dei precetti di suonare lo Shofar in uno Shabbat (qualsiasi) che non coincida con Rosh ha-Shanah, affinché imparino a suonarlo”. Se un bambino trova lo Shofar in casa e gioca a suonarlo uno Shabbat qualsiasi nel corso dell’anno non glielo si impedisce, perché così imparerà presto ad adoperarlo. Ciò fintanto che non ha raggiunto l’età di essere educato alle Mitzwòt: successivamente gli si spiegherà che di Shabbat non è opportuno. Questa Halakhah dimostra che il suono dello Shofar in quanto tale giustifica facilitazioni in determinati casi. Le attività legate invece alla preparazione o alla produzione dello Shofar esigono un atteggiamento più rigoroso e non ammettono alcuna deroga.