La Parashah odierna ci lascia turbati. La sesta chiamata contiene una serie di frasi nei nostri confronti che non vorremmo mai dover ascoltare. Conosco Rabbini assidui nei rispettivi Battè Kenesset che in questo Shabbat preferiscono disertare per non rischiare di essere coinvolti nella lettura di questo capitolo della Torah. Rav Artom z.l. mi raccontava che in alcune Comunità Italiane il lettore, giunto a questo punto della Parashah, invitava יעמוד מי שרוצה לעלות (“salga al Sefer chiunque gradisca salire”). Dal momento che non si presentava nessuno, saliva al Sefer il qorè stesso liberando il Qahal dall’empasse e dall’imbarazzo.
Un capitolo maledetto nel senso etimologico del termine, o meglio maledicente. Dopo aver promesso una serie di Berakhot a chi si dedica all’osservanza della Torah, Moshe Rabbenu fa ora l’inverso: annuncia una lunga serie di qelalot (maledizioni) per i trasgressori che non prestano ascolto alla voce di H. Sui dettagli non mi soffermo. C’è a questo proposito una Halakhah interessante. E’ proibito dividere il brano fra più chiamati. Uno solo leggerà tutti gli improperi dall’inizio alla fine. Comprensibile: si vuole evitare al massimo di dargli pubblicità. Il Midrash Devarim Rabbà 4,1 dà un’altra spiegazione all’apparenza più tecnica, ma ancora più affascinante. Chi sale al Sefer recita una Berakhah rivolta a H., anzi due: una all’inizio della propria lettura e l’altra alla fine. Se si moltiplicano i chiamati si moltiplicano le Berakhot al S.B. E’ proprio ciò che la Halakhah si propone di limitare. עמו אנכי בצרה. אין שורת הדין שיהיו בני מתקללין ואני מתברך “Con lui Io sarò nella disgrazia (Tehillim 91,15). Non è giusto –argomenta D. stesso- che Io riceva benedizioni nel momento in cui pronuncio la loro maledizione”. Insomma, non è corretto che D. speculi sulle nostre maledizioni. Che il chiamato sia uno solo e le sue Berakhot ridotte al minimo sindacale!
In realtà il S.B. non c’entra. Insegnano i nostri Maestri che la benedizione rivolta a D. si riflette in realtà su chi la pronuncia. Limitare le benedizioni a D. significa ridurre questo beneficio. טוב עין הוא יברך(tuv ‘ayin hu yevorakh, “il generoso sia benedetto”: Mishlè 22,9) è scritto senza waw come se si potesse leggere hu yevarekh (“benedirà”: Sotah 38b), perché H. ha promesso di benedire i benedicenti ( ואברכה מברכךBereshit 12,3). E’ il segreto del detto כל המברך מתברך (“chiunque benedice, si benedice”). La radice del verbo barekh, “benedire”, è formato da tre lettere che hanno in sé il valore numerico della dualità: la bet vale 2, la resh vale 200 e la kaf vale 20. All’inverso ci viene insegnato che chi non recita la Berakhah sul cibo che mangia depreda il S.B. ma deve anche chiedere scusa al popolo ebraico (Berakhot 35b). כל הנהנה מן עוה”ז בלא ברכה כאילו גוזל להקב”ה ולכנסת ישראלDepreda il S.B. in quanto il cibo è considerato proprietà di H. ( לה’ הארץ ומלואה: “a D. appartiene la terra e il suo contenuto”) fintanto che non viene recitata la Berakhah che lo sdogana. Solo allora והארץ נתן לבני אדם: “e la terra Egli ha dato ai figli dell’uomo”. Interessante il secondo aspetto: deve anche chiedere scusa al popolo ebraico per l’eventuale perdita economica collettiva da lui provocata qualora il S.B. dovesse smettere di fornire i prodotti alimentari a causa della sua inadempienza (R. Bachyè, Kad ha-Qemach s.v. Berakhah).
Le parole hanno un significato. Noi non diciamo verba volant. Le maledizioni non sono aria fritta. Ya’aqov maledisse senza saperlo la sua diletta moglie Rachel quando disse: “colui presso il quale si troveranno gli idoli di Lavan non vivrà” e lei, che se ne era impossessata per allontanare il padre dall’idolatria, perse la vita. Prima di Yom Kippur è uso annullare non solo i voti (hatarat nedarim), ma anche le maledizioni lanciate o subite (hatarat qelalot), affinché non abbiano effetto o più esattamente siano invertite in benedizioni, come nel caso di Bil’am. I nostri Maestri insistono che quando si ode uno maledire un’altra persona si replichi subito, ad alta voce, גם ברוך יהיהgam barukh yihyeh (” che sia benedetto”). Insegna il Talmud che nel momento in cui provochiamo su un’altra persona la punizione divina neppure noi siamo ammessi alla Sua Presenza ( כל שחבירו נענש על ידו אין מכניסין אותו במחיצתו של הקב”ה Shabbat 149b).
“Occorre fare in modo di essere benedetti dal prossimo, rifuggendo da ogni forma di lite che potrebbe recarci addosso delle maledizioni” ammonisce il Pele Yo’etz (s.v. Berakhot). Nel libro di Rut Noemi poté diventare l’antenata del re David anche grazie alle Berakhot che riceveva dalle vicine, come racconta il testo (Rut Rabbà 7,15). Chi vuole benedire il prossimo lo faccia senz’altro mettendo di mezzo il S.B. e dica per esempio: יתברך שמו של הקב”ה והוא ברחמיו ישמרך מכל רע “Sia benedetto il Suo Nome che ti protegga”. Come dire: “Chi sono io per benedirti? Ma invoco Qadosh Barukh Hu che ha certo l’autorità e la forza di farlo al posto mio”. Si insiste molto sull’importanza di ricercare la benedizione dei propri genitori e dei Maestri, anche se vivono a grande distanza geografica da noi, in particolare in occasione delle feste. Esaù dava grande importanza alla Berakhah di suo padre. Tanto più dobbiamo farlo noi.
Ma allora, come giustificare le qelalot della nostra Parashah? Sono solo minacce per gli inadempienti. E’ giusto che sappiano a cosa vanno incontro. Ma non solo. Shimshon Refael Hirsch elabora ulteriormente il concetto. Se la Torah prospettasse davvero la fine del popolo ebraico la attribuirebbe a una causa soltanto, mentre il nostro brano parla di malattie diverse, di fame e di guerra. Inoltre abbiamo la parola dei Profeti che insistono sul fatto del שארית che anche nella peggiore delle ipotesi “una rimanenza ritornerà”. Si vuole sollecitare la responsabilità individuale di ciascuno di noi a fronte di un disastro nazionale che ci si augura rimanga ipotetico. Per questo la Parashat Ki Tavò si legge prima di Rosh ha-Shanah. A partire dal mese di Elul la Halakhah stabilisce che ci rivolgiamo reciprocamente una benedizione: Shanah Tovah a tutti!