http://www.ateret4u.com/online/f_01321.html?dyn#HtmpReportNum0003_L5
Mishnah 1
- La vigilia di Pesach ha delle regole più rigorose rispetto alla vigilia di Shabbat e degli altri mo’adim, in cui il lavoro è vietato dall’ora di minchah. La vigilia di Pesach è vietato invece da metà della giornata. Da quel momento in poi infatti, come è spiegato nel Talmud Yerushalmi, sarebbe possibile offrire il qorban Pesach, e non è pensabile che una persona possa offrire il sacrificio mentre è impegnata nel proprio lavoro. Alcuni ritengono che sia opportuno evitare di lavorare anche durante la mattina della vigilia, per prepararsi per la cena del Seder. In tal caso è vietato discostarsi dall’uso locale. La Toseftà (Pesachim 3,12) limita l’uso per il mattino ai soli lavori agricoli. Inoltre, scrive il Meiri, i decreti dei Maestri rimangono in vigore anche se decade il motivo per cui erano stati stabiliti. Spiega poi ‘Iqqar Tosafot Yom tov che anche dopo la distruzione del Tempio la cottura delle matzot veniva effettuata durante il pomeriggio della vigilia, a differenza di quanto avviene per la costruzione della sukkah prima di Sukkot, per la quale si inizia già a partire dall’uscita di Sukkot. E’ opportuno effettuare la cottura prima dell’inizio della festa, perché alla sera è bene iniziare il Seder quanto prima, dal momento che c’è il rischio che i bambini si addormentino (Rashì).
- Il motivo per cui si dovrebbe evitare di lavorare nella prima parte della giornata della vigilia è che si potrebbe arrivare a dimenticarsi dell’eliminazione del chametz e dei preparativi per il qorban pesach e per la matzah da consumare durante il seder (Bertinoro). Da mezzogiorno in poi invece c’è un divieto vero e proprio (‘Iqqar Tosafot Yom Tov).
- Chi si reca da un posto in cui non si usa lavorare durante la vigilia in un posto in cui si usa lavorare, si astenga dal lavorare, perché gli abitanti del luogo in cui si è recato non penseranno che si astiene perché crede che sia vietato lavorare, ma semplicemente perché non ha nulla da fare (Bertinoro).
- Il discorso della mishnah si riferisce al caso in cui intenda tornare a vivere nel luogo da cui proviene, dal momento che se si trasferisce definitivamente acquisisce gli usi del luogo in cui si è recato, siano essi più facilitanti o più rigorosi (Ran, Bertinoro).
- Un comportamento differente rispetto agli usi locali potrebbe ingenerare delle discussioni.
Mishnah 2
- L’insegnamento di questa mishnah è in linea con quanto insegnato nella mishnah precedente. La mishnah nel trattato Shevi’it (9,2-3) stabilisce che se si sono radunati dei frutti di una certa specie in casa durante l’anno sabbatico, sarà permesso consumarne sino a quando vi saranno ancora frutti di quella specie disponibili per gli animali selvatici nelle campagne. Una volta terminati sarà necessario eliminare anche i frutti radunati in casa, poiché è scritto, riguardo i frutti dell’anno sabbatico (Lev. 25,7): “ed anche per il tuo bestiame e per gli animali selvatici che si trovano nella tua terra saranno tutti i suoi prodotti perché se ne cibino”. I Maestri hanno inteso il verso in questo modo: sino a quando gli animali selvatici consumano i frutti nelle campagne, i tuoi animali domestici li consumeranno in casa; nel momento in cui gli animali selvatici li avranno terminati nelle campagne, eliminali dalla casa. A tal proposito i Maestri hanno diviso Israele in tre differenti zone (la Giudea, la Transgiordania, la Galilea). Se una certa specie termina in una determinata zona, gli abitanti delle altre zone, in cui è ancora presente, potranno continuare a consumarne. La Mishnah si occupa del caso in cui dei frutti di una zona in cui quella specie è terminata vengono trasportati in un’altra zona, in cui i frutti di quella specie sono ancora disponibili.
- Durante l’anno sabbatico, nel momento in cui gli animali hanno terminato di consumare una determinata specie nelle campagne, è necessario eliminare quelle stesse specie dalle abitazioni. Se quella specie viene trasportata in una zona in cui gli animali selvatici non hanno ancora terminato di consumarla, sarà comunque necessario eliminarla, perché quel cibo mantiene i rigori della zona da cui proviene (Bertinoro).
- Un problema più composito è costituito dal caso in cui siano state mescolate delle specie che le bestie hanno terminato con specie che non hanno terminato, mettendole ad esempio sotto aceto affinché si mantengano. Ci sono varie opinioni: secondo il Tanà Qamà è sufficiente che le bestie non abbiano terminato di consumare una delle specie per consentire il consumo delle altre, che le bestie hanno terminato di consumare. R. Yehudah dissente, e ritiene che sia consentito mangiare solo della specie che ancora è disponibile nelle campagne, mentre le altre vanno eliminate. Da quanto emerge nel trattato Shevi’it la regola finale segue l’opinione di R. Yehudah (Bertinoro, il Rambam non è d’accordo).
Mishnah 3
- Il medesimo insegnamento di questa mishnah si trova anche nel trattato di ‘Avodah zarah.
- Alcuni si astenevano dal vendere bestiame minuto (ad esempio capre, pecore) a non ebrei, perché non si arrivasse erroneamente a vendere bestiame grosso (Bertinoro).
- I Maestri hanno vietato di vendere bestiame grosso a un non ebreo, perché quest’ultimo potrebbe prendere in prestito o in affitto la bestia di un ebreo, che è obbligato a far riposare durante il Sabato. Inoltre la compravendita potrebbe avvenire in prossimità dell’inizio del Sabato, e il padrone ebreo potrebbe trovarsi nella condizione di guidare con la propria voce la bestia, cosa vietata durante il Sabato (Bertinoro in base a TB Avodah Zarah 15a). E’ possibile però effettuare la compravendita in assenza del padrone tramite un sensale. Quest’ultimo infatti non ha la facoltà di prestare o affittare l’animale. Ugualmente in questo modo non c’è rischio che il padrone possa guidare l’animale con la propria voce (Bertinoro).
- Anche se i vitelli e gli asinelli non vengono impiegati per il lavoro, è vietato venderli, perché si potrebbe arrivare a vendere degli animali adulti, che è vietato. Allo stesso modo è vietato vendere animali irreparabilmente danneggiati, perché si potrebbe arrivare a venderne degli integri (Bertinoro). Secondo alcuni gli animali danneggiati sono ancora adatti per svolgere qualche lavoro, ad esempio in una macina. Secondo la ghemarà (TB Bavà Batrà 78b) gli asinelli in ebraico si chiamano seiachim perché sono guidati dalla sichah, le parole gentili del padrone.
- Secondo R. Yehudah se l’animale è irreparabilmente danneggiato è permesso venderlo a un non ebreo. La regola finale non segue l’opinione di R. Yehudah (Bertinoro).
- Ben Beterà ammette il commercio di cavalli perché vengono cavalcati e non vengono impiegati nel lavoro. La regola finale non segue la sua opinione (Bertinoro). Secondo alcuni tutti sono d’accordo che i cavalli che vengono solo cavalcati possano essere venduti; la discussione verte sui cavalli che vengono impiegati durante la caccia, e vengono usati anche per il trasporto delle prede.
Mishnah 4
- Si parla della prima sera di Pesach, quando, ai tempi, del Santuario, veniva consumato il sacrificio pasquale.
- In base a quanto previsto dalla Torah (Es. 12,18) il sacrificio pasquale veniva mangiato arrosto. Mangiando carne arrostita la sera di Pesach, sarebbe potuto sembrare che si consumasse il sacrificio fuori da Yerushalaim.
- Alla vigilia di sabato e dei giorni festivi è obbligatorio accendere i lumi. La vigilia di Kippur la cosa dipende dall’usanza locale. Nella ghemarà è spiegato che il motivo per accendere o meno, è il medesimo, ed è collegato al divieto di avere rapporti coniugali durante Kippur: secondo una logica si accende, perché non si hanno rapporti coniugali con un lume acceso; secondo l’altra logica non si accende, perché in questo modo non si vede distintamente la propria coniuge e si arriva a desiderarla.
- Si accendono lumi nelle sinagoghe e nelle accademie per onorare il giorno di Kippur.
- Si accendono lumi in tutti quei luoghi in cui non sussiste il rischio di appartarsi con la propria moglie (Bertinoro).
Mishnah 5
- Durante il lutto per la perdita di un congiunto non è consentito lavorare, ma il nove di Av, trattandosi di un lutto che risale a molto tempo fa, questa regola non si applica (Meiri).
- Gli studiosi non lavorano durante il digiuno del nove di Av, per non essere distolti dal lutto (Bertinoro). Secondo altri gli studiosi hanno maggiore dolore per via del lutto, perché per loro la perdita del Santuario è più grave (Meiri).
- Comportarsi come uno studioso in questo caso non viene considerata una forma di alterigia, perché chi lo vede non lavorare pensa semplicemente che non ha nulla da fare in quel momento (Bertinoro). La regola finale non segue l’opinione di R. Shim’on ben Gamliel (Rambam).
- Secondo i Maestri i vari usi rispetto al lavoro durante la vigilia di Pesach dipendono da fattori puramente geografici: in Giudea permettevano di lavorare, in Galilea proibivano (Bertinoro).
- La scuola di Shammai adottava per il lavoro durante la vigilia di Pesach una logica analoga a quella dei giorni festivi, in cui il divieto di lavorare inizia dalla sera, mentre la scuola di Hillel adotta la logica dei digiuni, che iniziano dal mattino (Bertinoro). Tosafot Yom tov spiega che il divieto di lavorare discende dai preparativi per il sacrificio pasquale, che presenta somiglianze con il digiuno, avendo entrambi uno scopo espiatorio.
Mishnah 6
- I lavori necessari per la festa, e iniziati in precedenza, vengono terminati la mattina del 14, anche dove si usa non lavorare la mattina del 14. Per i lavori non necessari per la festa, si segue l’uso del proprio luogo, come illustrato nelle mishnaiot precedenti (Bertinoro). Secondo Rambam, che dissente da molti degli altri commentatori, la deroghe di cui la mishnah parla si riferiscono solo ai luoghi in cui si usa lavorare sino a mezzogiorno della vigilia, ma nei luoghi in cui non si usa lavorare non si termina neppure un lavoro terminato in precedenza.
- Il sarto può lavorare la vigilia di Pesach sino a mezzogiorno, dal momento che è consentito cucire a dei non professionisti anche durante i giorni di mezza festa (Bertinoro, in base alla ghemarà in Mo’ed Qatan 8a).
- Chi torna da un viaggio o esce di prigione può radersi o fare il bucato nei giorni di mezza festa (secondo la ghemarà in Mo’ed Qatan 3 a-b), e visto che ci sono delle facilitazioni durante i giorni di mezza festa, durante la vigilia queste operazioni sono consentite per tutti, anche professionalmente (Bertinoro). I lavori che vengono menzionati nella mishnah sono importanti per i preparativi per la festa (ghemarà).
- R. Yehudah e i chakhamim discutono sul lavoro dei calzolai: secondo i Maestri infatti è diverso riparare delle scarpe, cosa permessa, e farne delle nuove, che è proibito. La regola finale segue l’opinione dei Maestri (Bertinoro).
Mishnah 7
- Secondo alcuni la mishnah sta parlando anche delle ore successive al mezzogiorno, poiché non si tratta di un lavoro vero e proprio; altri ritengono invece che si parli solo del mattino sino a mezzogiorno, anche nei luoghi in cui non si usa lavorare (Meiri). Alcuni credono che la Mishnah parli della preparazione del nido per i pulcini appena nati.
- Si parla dei giorni di mezza festa, dal momento che, se è lecito disporre le covate la vigilia della festa, tanto più sarà permesso rimettere al proprio posto una gallina che è scappata. E’ necessario in ogni caso che abbia covato per tre giorni prima di fuggire, perché da quel momento le uova non sono più commestibili, e non covarle provocherebbe una perdita economica; per lo stesso motivo se una gallina muore, la si rimpiazza (Bertinoro). Secondo alcuni la frase sulla sostituzione si riferisce alla vigilia, e non ai giorni di mezza festa, dal momento che si tratta di un’operazione molto faticosa.
- Il 14 è permesso portare e ritirare utensili anche se non sono necessari per la festa.
- Secondo la maggior parte dei commentatori è consentito togliere il letame anche dopo il mezzogiorno della vigilia.
Mishnah 8
- Gerico era famosa per le sue palme. Gli abitanti innestavano un ramo di palma maschio, che era produttivo, in un ramo di palma femmina, che era improduttivo, anche nel pomeriggio della vigilia di Pesach. L’innesto migliora la produttività, ed un ritardo, anche di un solo giorno, nella lavorazione, può comportare una perdita economica.
- Non recitavano la frase Barukh shem kevod malkhutò nello Shemà. Secondo altri non interrompevano fra la fine del primo verso dello shemà e weahavtà, quando è necessario prolungare la fine del primo verso, ed interrompere prima di iniziare weahavtà (Bertinoro). Per altri non interrompevano fra una parola e l’altra, non ponendo la giusta concentrazione.
- In terra di Israele è proibito mietere i cinque cereali prima della mietitura dell’omer, perché secondo la Torah (Waiqrah 23,10) l’omer era il principio della mietitura in terra d’Israele. Era tuttavia permesso mietere anche prima della mietitura dell’omer quei campi che erano irrigati per via di un intervento umano, dal momento che non si trattava di cereali di buona qualità ed erano inadatti per l’offerta. Non era consentito però riunire i cereali in covoni, dal momento che c’era il timore che si arrivasse a mangiarne, così come insegnato nella Mishnah nel trattato di Menachot (10,8). Gli abitanti di Gerico preparavano covoni prima che venisse offerto l’omer, senza preoccuparsi che se ne mangiasse. La Mishnah elenca sei comportamenti degli abitanti di Gerico che i Maestri non condividevano, ma li ripresero solo per gli ultimi tre.
- Credevano infatti che fosse consentito consumare i frutti di un albero consacrato, perché credevano che, perché fosse proibito, dovesse essere consacrato il frutto (Bertinoro). Secondo alcuni la mishnah si riferisce al taglio e al godimento di rami di un albero consacrato, successivamente alla sua consacrazione.
- Consumavano i frutti che si trovavano ai piedi di un albero di Shabbat, senza sapere se erano caduti il giorno precedente, e quindi potevano essere mangiati, o se erano caduti di Sabato ed erano muqtzeh, e quindi vietati.
- La verdura non è sottoposta alle regole della peah, poiché non viene da messa da parte e conservata, così come insegnato nella Mishnah (Peah 1,4). Dichiarandola tale gli abitanti di Gerico inducevano i poveri che la mangiavano a non prelevare le decime, come avrebbero dovuto fare.
Mishnah 9
- Questa Mishnah è in realtà una baraità contenuta nel trattato di Pesachim (56a), ed è riportata qui per via della sua vicinanza alla mishnah precedente.
- Il re Chizqiah non seppellì il padre con gli onori che sarebbero spettati a un re, dal momento che era malvagio, e tramite una sepoltura non dignitosa avrebbe espiato le proprie colpe.
- Nel Libro dei Re (2Re 18,4) è scritto che all’epoca di Chizqiah si iniziò ad adorare il serpente di rame.
- I malati non sottomettevano il loro cuore a D., ma si affidavano al libro, attribuito al Re Salomone, e guarivano (Rashì). Secondo Rambam si trattava di un libro di consigli medici basati sull’astronomia, e questo rischiava di condurre il popolo all’idolatria, e per questo Chizqiah lo occultò.
- Il re Chizqiah staccò la copertura dorata delle porte del Santuario per donarla al re di Assiria, convinto che in questo modo lo avrebbe placato e non gli avrebbe mosso guerra.
- Il re Chizqiah, secondo quanto narrato nelle Cronache (2Cron. 32,20) chiuse il Ghichon superiore, per assetare gli assiri, mentre avrebbe dovuto confidare nel Signore, come gli aveva detto il profeta Isaia (2Re 20,6; Is. 37,35). In questo modo inoltre danneggiava il suo stesso popolo.
- Il re Chizqiah intercalò l’anno il 30 di Adar, giorno che, in un anno non embolismico sarebbe stato già il primo del mese di Nissan, dal momento che negli anni non embolismici il mese di Adar dura sempre 29 giorni.