Nel numero 11 di Torat Chayim Leo Levi presenta, secondo le sue parole, “uno dei più grandi Ebrei italiani, la cui influenza era destinata a divenire decisiva nella formazione spirituale della sua generazione, ed anche nella vita culturale ebraica del secolo successivo”, Isacco Samuele Reggio (1784-1855), noto anche come Yashar da Gorizia, per distinguerlo da Yashar da Candia, Yosef Shelomò del Medigo, scolaro di Galilei, che visse due secoli prima di lui, e denominato dai suoi contemporanei Mendelssohn italiano.
L’articolo venne scritto in occasione del centenario della sua morte. Su questo personaggio sono presenti delle schede nel volume recentemente presentato che raccoglie gli appunti delle lezioni del corso di avvicinamento all’ebraismo di Franco Segre (pp. 474-475).
La storia degli ebrei in Friuli è stata oggetto di un importante convegno internazionale, tenutosi a Ferrara nell’ottobre 2015. Negli Atti del convegno si segnala il contributo di Marco Grusovin, Isacco Samuele Reggio filosofo e rabbino (pp. 273-284). Gorizia, sua sotto il dominio francese che sotto quello austriaco, era un centro in cui gli ideali illuministici erano molto forti nel quale gli ebrei, al contrario di molti altri insediamenti in Italia, vivevano a quei tempi in libertà.
La figura di Reggio si rivela interessante perché vive al margine di molti mondi, italiano, austriaco di lingua tedesca, ebraico, cristiano, filosofico e religioso, solo per citarne alcuni. Reggio era noto anche per le sue competenze artistiche e matematiche, anche se questi aspetti non sono stati ancora studiati a fondo. Da ragazzo Reggio pubblicò una nuova dimostrazione del Teorema di Pitagora, che gli valse l’ammirazione dei matematici del tempo.
A detta di Levi il suo maggiore merito fu quello “di aver saputo assorbire e fondere nella sua mente e nel suo pensiero la tradizione dei rabbini dell’Italia centrale, come Lampronti e Ricchi, con la cultura della sua generazione, gli squilli delle campane della rivoluzione francese e l’aspirazione a rialzare la morale, che sulle orme del Ramchal, si faceva sentire nella zona dove egli nacque, con la cultura tedesca ereditata da Mendelssohn”. Quest’ultima, secondo Shadal (Epistolario italiano francese latino 1, Padova 1890, p. 375) “esercitò la sua più grande influenza sugli Ebrei della Germania e del Nord; assai poca però sugli ebrei dell’Italia, i quali non furono in alcun modo alieni alla cultura scientifica”.
Il padre di Reggio, il rabbino Abram Vita Reggio, discendente di una famiglia calabrese, nacque a Ferrara nel 1755, studiando sotto la guida di Salomone Lampronti, fratello di Ytzchaq. Nel 1783 Abram Vita emigrò in Friuli, in cerca di fortuna. Negli anni ’30 dell’800 venne nominato rabbino maggiore di Gorizia e Gradisca. Era sposato con Malchina Morpurgo, figlia del rabbino di Gradisca. Loro figlio Isacco Samuele, ebbe una formazione d’eccellenza, anche approfittando della legislazione scolastica austriaca. Venne avviato agli studi rabbinici dal rabbino Gentili e dal padre, finché non venne inviato a Trieste per essere avviato alla carriera rabbinica. A Trieste si mantenne fungendo da precettore, proseguendo gli studi rabbinici con Ytzchaq Mordechay (de) Cologna. Lì conobbe Shadal, al quale fu legato da una sincera amicizia. Non possediamo informazioni precise circa le circostanze della sua ordinazione rabbinica, anche se il fatto è fuor di dubbio, poiché ricoprì successivamente per un decennio, sebbene a titolo gratuito, la carica di Rabbino Maggiore di Gorizia. Tornato a Gorizia nel periodo della seconda occupazione francese, per tre anni insegnò materie umanistiche nel ginnasio in cui aveva studiato da ragazzo. Con il ritorno degli austriaci venne allontanato dall’incarico e si dedicò interamente agli studi ebraici. Sposò una donna molto ricca, Rachel Levi, dalla quale ebbe dieci figli, e questo gli permise di vivere senza affanni dedicandosi ai propri studi. La sua casa divenne un punto di incontro per i dotti, fra cui distinguono G. I. Ascoli, uno dei fondatori della glottologia moderna, che sposerà una sua figlia, e Shadal, che venne incoraggiato da Reggio ad approfondire i fondamenti della grammatica ebraica. La collaborazione fra Reggio e Shadal voleva “riportare pace nella contesa fra razionalisti assimilati e ortodossi incolti, che cominciava allora a scavare un fatale solco fra i dotti ebrei di Germania”.
Reggio, non proprio dotato di una mente propriamente speculativa, anche se attratto dalla matematica e dalla filosofia, fu un grande divulgatore, che attraverso il suo ebraico semplice e al contempo corretto, espresse concetti e problematiche provenienti dai più diversi contesti dell’Europa erudita.
L’opera di Reggio si distingue per la ricerca di fondere, per usare le sue parole, “la Torà in senso largo e la filosofia in senso generale”. Questo approccio lo portò a prendere l’iniziativa, poi suggellata da Shemuel David Luzzatto nel 1829 , di fondare il Collegio Rabbinico di Padova, uno dei primi centri di formazione rabbinica in senso moderna in Europa. Reggio prese le mosse dal decreto austriaco che proibiva ai ministri di culto di adempiere al loro ufficio se non avevano un diploma di istruzione civile superiore, pubblicando nel 1822 Riflessioni d’un israelita sulla nomina dei futuri rabbini in tutti gli stati ereditarj della Monarchia austriaca e nel 1828 uno scritto intitolato Torà e filosofia, nel quale intende dimostrare che non c’è contrasto fra tradizione e progresso, fra halakhah e razionalismo, abbracciando a pieno le idee della Wissenchaft der Judentums che andava affermandosi in Europa. Il titolo completo dell’opera è HaTorah wehafilosofiah choverot ishah el achotah. In una lettera indirizzata a Shadal nel , spesso citata Reggio rifiutò sempre, giustificandosi con gli impegni familiari e i suoi interessi a Gorizia, di insegnare al Collegio rabbinico di Padova, e suggerì al proprio posto il nome di Shadal. Reggio scrisse anche in italiano, traducendo in versi il libro di Isaia, e traducendo e commentando il Chumash. In questa ultima opera Reggio riprende molte idee di Mendelssohn, citandolo spesse volte senza riportare la fonte. Inizialmente infatti l’opera di Reggio voleva essere una divulgazione del pensiero di Mendelssohn, ma poi divenne un’opera originale. La traduzione venne pubblicata a Vienna nel 1821.
Nei suoi scritti accolse alcune idee della critica biblica; ad esempio fu fra i primi a sostenere l’idea, supportata dall’opinione di Ibn ‘Ezrà, che la seconda parte del libro di Isaia risale ai tempi di Ciro.
Nonostante le profonde influenze derivanti dal mondo moderno, Reggio sostenne con forza la divinità della Torah, come traspare in modo evidente dalla sua introduzione al Pentateuco, intitolata maamar Torah min ha-shamayim, del 1818.
Fu un prolifico scrittore di articoli scientifici e divulgativi, che vennero pubblicati su varie riviste, valorizzando aspetti meno noti dell’ebraismo. Fondò una delle prime riviste ebraiche italiane, la Strenna Israelitica, di cui uscirono solo quattro annate (1852-1855). Le uscite furono interrotte poi per via della scomparsa di Reggio.
Reggio pubblicò e commentò due volumi, Bechinat ha-dat di Elia del Medigo (Vienna, 1833), vissuto durante il Rinascimento italiano, maestro di Pico della Mirandola e docente all’università di Padova, “illuminista e tradizionalista al tempo stesso”, e Bechinat ha-qabalah (Gorizia 1852), un testo estremamente controverso di Leon da Modena, diviso in due sezioni, Qol sakhal e Shaagat Aryeh. Le sue argomentazioni contro la qabbalah erano ancora attuali ai tempi di Reggio, che individuava la salvezza dell’ebraismo “nella diligenza, nello studio, nella sistematicità scientifica, nel razionalismo, nella condanna della superstizione e nell’accettazione della disciplina ebraica insieme con la scienza e la ricerca della verità”. Il commento di Reggio, molto esteso, comprendeva delle critiche personali a norme rabbiniche, che secondo lui erano osservate solo al tempo dei farisei e non destinate a un’osservanza perpetua. L’opera suscitò grande scandalo: Reggio venne accusato di nascondersi dietro al nome di Leon da Modena, così come questo aveva fatto nel Qol Sakhal con lo pseudonimo di Amittay bar Yehudayah ibn Raz, per divulgare le sue opinioni sul rinnovamento del giudaismo.
Reggio ha diffuso anche degli scritti di carattere halakhico, anche se non ci sono pervenute delle sue raccolte di sheelot e teshuvot. Fu autore di un piccolo opuscolo dal titolo Maamar hatiglachat pubblicato nel 1835. L’argomento di questo testo è la possibilità di radersi durante i giorni di chol ha-mo’ed. Reggio mostrò un atteggiamento aperto, provocando la reazione del padre che nel 1839 pubblico la sua risposta, Tiglachat ha-maamar nella quale confutò pubblicamente il figlio. Reggio si pronunciò anche su altre due questioni: a) la validità del cherem inflitto da una parte della comunità sefardita di Londra ai secessionisti; la risposta di Reggio venne pubblicata nel 1855 nella Strenna Israelitica; b) l’unificazione fra il rito sefardita e italiano nella comunità ebraica di Firenze. Una lettera molto interessante del Rabbino Treves di Torino interpellava Reggio su quanto stava avvenendo in Germania. Infatti in quegli anni si svolsero tre assemblee rabbiniche a Brunswick (1844), Francoforte sul Meno (1845) e Breslau (1846). In seguito a queste sessioni si consumò una frattura insanabile all’interno dell’ebraismo tedesco, diviso su temi fondamentali quali ad esempio l’uso dell’ebraico nella tefillah e il rispetto dello Shabbat. Le richieste dei rabbini italiani mostrano come Reggio sia considerato dai suoi colleghi il mediatore fra il mondo italiano e quello tedesco.