“All’inizio del trattato Zevachim (“Sui sacrifici”) il Talmud discute il caso in cui il Kohen esegue un sacrificio a nome di una persona diversa dal suo vero offerente: il sacrificio è passul (“non valido”). Ma se il kohen avesse commesso l’errore immolando a nome di un privato un animale destinato a sacrificio pubblico, il sacrificio sarebbe kasher. Il singolo è parte della collettività e quindi non si verifica in questo caso uno scambio di identità. A coloro che ancora obiettano che il singolo in quanto tale non rappresenta tutta quanta la Comunità si può rispondere che ciascuno di noi porta in realtà in sé un “micro-popolo”: incarna cioè tutto il popolo d’Israel. Da qui l’importanza della partecipazione di ognuno di noi alle Tefillot.
Quando ci alziamo la mattina, ci guardiamo allo specchio e ci domandiamo: “Ho voglia oggi di andare al Bet ha-Kenesset?”, dobbiamo risponderci prontamente di sì. Se non ci andassimo e privassimo la Tefillah pubblica della nostra presenza, è come se l’intero popolo d’Israele non ci andasse, con le conseguenze che preferisco non immaginare.
Oggi inauguriamo un nuovo Bet ha-Kenesset. E’ fatto di mattoni. Anche il Minian è fatto di mattoni spirituali. Quelli che compongono la struttura del popolo d’Israele. Ogni singolo individuo è un mattone, ma solo nella costruzione finita trova la sua ragion d’essere. Chi non si reca al Bet ha-Kenesset anche solo perché afferma di concentrarsi meglio a pregare da solo a casa, è come se togliesse il proprio mattone all’edificio. Con le conseguenze che preferisco non immaginare…”