Da una derashà di Rav Sacks
La storia antica dell’umanità, così come narrata nelle prime parashot del libro di Bereshit, è costellata di fallimenti. H. conferisce ad Adam e Chawwah la libertà, ed essi ne abusano, Qain uccide Hevel, viene la degenerazione morale della generazione del diluvio. Anche dopo, con la Torre di Babele, le cose non vanno meglio. Il Signore genera ordine, l’uomo porta il caos. Poi entra sulla scena Avraham. Inizialmente non conosciamo il motivo della sua chiamata. Sappiamo che deve abbandonare la sua terra e la sua casa, ma non sappiamo cosa avrebbe dovuto fare nella terra in cui si sarebbe recato.
Cosa lo rende speciale? Non è una mosca bianca come Noach, ma una fonte di ispirazione, leader lui stesso e padre di una nazione di leader. Ciò che accomuna tutti gli episodi precedenti è il fallimento della responsabilità. Adam e Chawwah scaricano le proprie responsabilità: “Non sono stato io, ma Chawwah”, e Chawwah “non sono stata io, ma il serpente”. Caino nega la responsabilità morale dei propri atti “Sono forse il custode di mio fratello?”. Noach fallisce circa la responsabilità collettiva. Era giusto, ma non fu in grado di influenzare i suoi contemporanei in alcun modo. E’ vero, salva la sua famiglia e gli animali, ma per gli altri non fa nemmeno un tentativo. Avraham mostra di essere molto diverso, esercita la responsabilità personale nei confronti di Lot in occasione della lite fra i pastori e nella successiva guerra fra re, che coinvolge direttamente Lot, che viene rapito. Avraham avrebbe potuto dire “non sono il custode di mio fratello”, così come aveva fatto Qain, ma capisce di avere una responsabilità morale. L’incolumità di Lot riguarda anche lui. Ma stiamo parlando ancora di un suo parente.
Questo atteggiamento diviene ancora più notevole quando la Torah descrive l’episodio di Sodoma e Gomorra. Ad essere sfidato questa volta è D. Ciò che ci stupisce maggiormente è l’atteggiamento di H., che si chiede come possa nascondere ad Avraham quanto intende fare. Questa affermazione può essere compresa in relazione a quanto avvenne con Noach. Anche in quella occasione infatti H. aveva manifestato a Noach le proprie intenzioni, con la differenza che Noach non protestò, anzi è scritto per ben tre volte che si comportò “come H. aveva comandato”. Noach accettò il verdetto, Avraham protestò, perché aveva compreso cosa volesse dire esercitare la responsabilità collettiva. I Sodomiti non erano suoi fratelli, ma pregò per loro perché aveva compreso il valore della solidarietà umana, così come la espressa John Donne, quando disse “nessun uomo è un’isola”.
Tuttavia rimane una difficoltà: perché D. non vuole nascondere ad Avraham quanto farà? Forse ha bisogno di lui? La risposta è sì, perché Avraham deve essere l’iniziatore di una nuova fede, che non accetta lo status quo umano, ma lo sfida. Per sfidare i governanti umani, come faranno Mosheh e i profeti, Avraham deve mostrare di avere il coraggio di sfidare H. Gli ebrei non accettano il mondo com’è, ma lo sfidano in nome del mondo come dovrebbe essere. Una fede che sfida il mondo piuttosto che accettarlo così com’è. Avraham non è un leader tradizionale. Non era un capo militare e non era a capo di nessuna nazione, ma ha preso su di sè la responsabilità, come si vuole da un leader. Noach camminava con D., Avraham cammina davanti a Lui. E’ un capo, che prende su di sé la responsabilità personale e collettiva.