Ciascuna società è tenuta ad istituire un sistema legale, indipendentemente dalla qualità dei giudici e del sistema elaborato. Ciò naturalmente riguarda anche il popolo ebraico, che nei secoli di esilio ha cercato di ottemperare, nonostante le difficoltà, all’imperativo della Torah di mettere giudici in ogni città, per mezzo dei tribunali rabbinici, che operavano in base alle possibilità conferite dai governi locali[1]. Con l’istituzione dello stato di Israele la maggioranza laica ha impedito che venisse scelto un sistema legale basato sulle norme della tradizione ebraica, prediligendo un’impostazione derivante inizialmente dal diritto ottomano e britannico, e in un secondo momento da quello americano ed europeo.
Nel quarto numero di Torat Chajim [2] Rav Menachem Emanuel Artom ha pubblicato uno studio dal titolo Un Sinedrio ai giorni nostri? Nella sua trattazione Rav Artom, a partire dalle halakhot del Rambam nel Mishneh Torah, riassume i punti essenziali delle prerogative del Sinedrio e del re: “I membri del Sinedrio sono sapienti versatissimi nella Torà e nelle altre scienze, che hanno avuto una speciale investitura; il Sinedrio può decidere su qualunque caso nuovo che gli si presenti; di regola non può annullare la decisione di un tribunale precedente, se non è superiore ad esso per scienza e per numero di membri. Ma vi sono molte eccezioni, che praticamente tolgono valore a questo principio, ad esempio: per rafforzare la legge e organizzare la società il Sinedrio è autorizzato ad annullare qualsiasi decisione precedente e perfino una norma esplicita della Torà, e può annullare qualunque norma che la maggior parte del popolo non può adempiere. Chi si ribella al Sinedrio è passibile di morte. Il Sinedrio può giudicare il re. La nomina del re viene fatta dal Sinedrio. Ogni Israelita è tenuto ad obbedire al re sotto pena di morte, a meno che la sua disobbedienza sia dovuta sia dovuta al fatto che l’ordine del re è contro la Torà, Ci sono cose che il re può fare di sua iniziativa (come la guerra di Mizwà) ed altre per cui occorre il consenso del Sinedrio (come la guerra facoltativa); il re può mettere a morte un omicida, in base ai soli indizi, od in altri casi non contemplati dalla Torà”.
Il presupposto dal quale Rav Artom parte è che “il popolo di Israele, che rinnova la sua indipendenza nel suo paese, non voglia essere un popolo nuovo, avulso dal millenario Israele, e non voglia limitare i suoi legami coi suoi padri alla sola denominazione comune ed al campo, assai dubbio, della razza”. Piuttosto il popolo ebraico deve essere il continuatore del “retaggio spirituale dei suoi padri”, che consiste nell’accettazione della Torah come norma di vita”. Il Sinedrio aveva svolto un ruolo centrale in Israele per molto tempo. Secondo la ghemarà in Sanhedrin (37b), il Sinedrio terminò di esercitare la propria autorità con la distruzione del Secondo Tempio, sebbene anche successivamente si comminassero pene capitali; il Rambam (introduzione al Mishneh Torah) scrive invece che rimase in carica sino a pochi anni prima della chiusura del Talmud. Alcuni per risolvere la contraddizione scrivono che la prima fonte si riferisce al diritto penale, mentre la seconda al calcolo del calendario e alla fissazione della halakhah. Il Sinedrio svolge un ruolo assolutamente centrale nella vita di Israele: il Rambam (Hilkhot mamrim 1,1) lo definisce “il fondamento della tradizione orale” In sua assenza si verifica una situazione in cui non si trova una regola ed un insegnamento chiaro (TB, Shabbat 138b), determinato dal disaccordo fra i chakhamim sulle varie questioni, fenomeno che ingenera numerose discussioni, come la “guerra degli heksherim” che caratterizza la nostra epoca (M. Zuriel, cit., p.12). Il tema della reintroduzione del Sinedrio, ampiamente discusso negli anni successivi alla nascita dello stato, ha trovato sostenitori e avversari, ma secondo Rav Artom non si è chiarita abbastanza la portata della cosa. Secondo molti infatti un istituzione come il Sinedrio aveva senso nei tempi antichi, o è proponibile per l’era messianica, ma nelle condizioni attuali le varie componenti del popolo ebraico, sia laiche che ortodosse non lo accetterebbero. Altri invece ritengono che sarebbe molto importante reintrodurlo, per via delle nuove domande che sorgono ogni giorno, e per via della rinascita dello stato (vedi Amos Shoshan, Haqamat sanhedrin bazeman ha-zeh, Qol Beramah 19, 5758, p. 40).
Uno dei vantaggi più evidenti della reintroduzione del Sinedrio, riunendo al proprio interno numerosi sapienti, è che le sue decisioni avrebbero una risonanza molto forte. Questo è evidentemente solo un passaggio, perché poi tali decisioni dovrebbero poi trovare seguito nella pratica. Tuttavia questo sarebbe possibile nel momento in cui le istituzioni statali considerassero le decisioni del Sinedrio come vincolanti, come peraltro avviene già oggi nei confronti dei tribunali rabbinici in alcuni ambiti specifici, in modo particolare gli aspetti religiosi relativi allo status personale (matrimoni, divorzi). In questo modo sarebbe possibile risolvere problemi molto dolorosi,come quello dei mariti che rifiutano di concedere il ghet alle mogli. Il Sinedrio infatti avrebbe la possibilità di infliggere delle punizioni estremamente efficaci, che eliminerebbero il problema.
La presenza del Sinedrio si rivelerebbe poi importante nell’affrontare nuovi problemi (alcuni molto sentiti, ad esempio questioni di bioetica, la donazione degli organi e lo status del Monte del Tempio; su questi temi i chakhamim si sono ampiamente espressi, senza arrivare però a delle conclusioni univoche e vincolanti) e nel confrontarsi con i decreti stabiliti in precedenza essendo decadute le cause che hanno determinato la loro fissazione, o visto che la collettività non è in grado di sostenerli, o perché non si sono diffusi (sempre che possano essere soddisfatti i requisiti formali che consentono questa operazione). Inoltre si deve tenere in considerazione il fatto che taluni ambiti della halakhah (in modo particolare nell’ambito del diritto civile, nel quale i chakhamim che operano tutt’oggi non hanno la forza di rendere esecutive le proprie decisioni in modo vincolante) risultano essere inapplicati proprio per via dell’assenza del Sinedrio, e la sua reistituzione consentirebbe di metterli in pratica nuovamente.
Nell’affrontare il tema molti hanno richiamato in base a quanto dice la ghemarà in massekhet Meghillah (17b) l’ordine delle berakhot della ‘amidah: con la nascita dello stato la nona e la decima benedizione (benessere economico e riunione delle Diaspore) si sono realizzate, quelle successive ancora no. L’undicesima benedizione (Fai tornare i nostri giudici come erano nell’antichità) precede la quattordicesima (che ricostruisci Yerushalaim) e la quindicesima (il germoglio del Tuo servo David fa sì che cresca presto); secondo questa logica il Sinedrio è un prerequisito perché si possano raggiungere gli stadi successivi. Contestualmente alla rinascita del Sinedrio troverebbe la sua realizzazione anche la dodicesima benedizione, che ha come tema l’eliminazione dei malvagi, anche in maniera pacifica attraverso la teshuvah (M. Zuriel, Sanhedrin ‘akshav, Lesha’ah uldorot 5772, p. 11).
L’applicabilità della reistituzione del Sinedrio deve tuttavia confrontarsi con una difficoltà di natura halakhica, collegata alla discussione sulla possibilità di reintrodurre la semikhah, l’investitura rabbinica, frutto di una catena che parte da Mosheh Rabbenu, dopo che questa è stata interrotta. L’assenza di semikhah di fatto rende impossibile l’istituzione di tribunali di 23 giudici, che possono giudicare casi di diritto penale, e del tribunale di 71, il Sinedrio; anche i tribunali di 3 al momento sono costituiti giocoforza da membri non investiti. La discussione sulla semikhah sorse con veemenza in modo particolare nel XVI sec., coinvolgendo nel 1538 R. Ya’aqov BeRav di Zefat, maestro di R. Yosef Caro, l’autore dello Shulchan ‘Arukh, che desiderava risolvere la difficile situazione degli anusim spagnoli e portoghesi che si stavano stabilendo in Israele, o, secondo altri, voleva arrivare alla ricostruzione del Bet ha-midash, e R. Levì ben Chaviv, forse preoccupato per l’onore di Yerushalaim o forse per il timore che sorgessero dei falsi messia. Altri tentativi furono portati avanti nel XIX sec., per mezzo di R. Yisrael di Shklov, uno dei principali allievi del Gaon di Vilna, e, con la nascita dello stato, dal ministro degli affari religiosi, Rav Y. L. Fishman Maimon, che scrisse, senza ottenere risultati concreti, vari articoli sul tema. La principale difficoltà emersa negli ultimi secoli era quella di arrivare all’assoluta concordia nella scelta dei nomi da parte delle varie componenti del popolo ebraico. Ulteriore problema fu quello del rapporto con i mondi conservative e reform, che intendevano operare cambiamenti radicali nel contesto religioso, e il loro atteggiamento suggeriva di assumere un approccio maggiormente prudente.
Secondo l’opinione più restrittiva il ciclo potrà essere aperto solo dal profeta Elia, che introdurrà nuovamente la semikhah e di conseguenza il Sinedrio. Il Rambam (Hilkhot Sanhedrin 4,11) ritiene tuttavia che per mezzo della concordia di tutti i chakhamim della Terra di Israele sia possibile investire e nominare dei giudici, e la dispersione di Israele aveva reso questa eventualità impossibile. Molti importanti sapienti nei secoli si sono appellati alle parole del Rambam per reintrodurre la semikhah e istituire nuovamente il Sinedrio. Alcuni tuttavia leggono differentemente le sue parole, e ritengono che il suo pronunciamento non sia così netto.
Una seconda difficoltà, non meno centrale, è legata alla prontezza del popolo per un istituto come il Sinedrio. Secondo le parole del Rambam non è necessaria l’accettazione del popolo, ma la concordia dei chakhamim di Eretz Yisrael, ma sarebbe sufficiente pensare che i Chakhamim di Zefat, sebbene fossero in grande maggioranza, furono messi in crisi da R. Levì ben Chaviv di Yerushalaim, rappresentante di una comunità in quel momento in netta minoranza. Nella situazione attuale sarebbe di certo ben più complesso raggiungere l’assoluta concordia di tutti i chakhamim di Eretz Yisrael.
I numerosi impedimenti rendono ad oggi la reintroduzione del Sinedrio una prospettiva lontana; tuttavia è necessario affrontare la questione, perché quantomeno un “risveglio dal basso” potrà condurre ad un “risveglio dall’alto”, ma la condizione affinché ciò possa avvenire è che i cuori lo desiderino, come scriveva Yehudah ha-Levì sulla ricostruzione di Yerushalaim chiudendo il Kuzarì (M. Zuriel, cit. p. 30).
[1] Vedi Y. Brandes, Bekhol she’arekha, Akdamot 26, Nissan 5771, p 57.
[2] Torat Chajim 4, pp. 2-7.