Descrizione del timore del peccato
http://www.anzarouth.com/2011/03/mesilat-yesharim-24-timore-peccato.html
Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduz. e note di Ralph Anzarouth
Il fatto che questa virtù (il timore del peccato) venga citata dopo tutte le altre buone qualità che abbiamo trattato finora è sufficiente per dimostrarci quanto essa sia importante e degna della nostra attenzione e quanto essa sia difficile da conseguire: infatti, non ci si può arrivare senza avere prima acquisito tutte le virtù evocate in precedenza[1].
Tuttavia, va premesso che il timore è di due tipi, che sono tre 1. Il primo è quanto c’è di più facile da conseguire, mentre il secondo è il più difficile che ci sia e corrisponde a un altissimo livello di perfezione. Il primo è il timore della punizione[2]; il secondo è il timore della maestà, il cui corollario è il timore del peccato. Spiegheremo ora di cosa si tratta e le differenze tra di loro.
Il timore della punizione significa semplicemente che l’uomo teme di trasgredire la volontà del suo Signore a causa delle punizioni che sono la conseguenza delle trasgressioni, sia quelle che puniscono il corpo sia quelle che puniscono l’anima. Questo timore è certamente facile da acquisire, perché ognuno tiene a sé stesso e si preoccupa della propria persona. Niente può allontanarlo da una certa azione più del timore di una conseguenza a lui avversa. Questo tipo di timore si addice solo alle persone incolte e alle donne il cui spirito è lieve, ma non è questo il timore dei saggi e degli uomini di conoscenza[3].
Il secondo tipo è il timore della maestà, il quale implica che l’uomo si allontana dai peccati e non li commette in onore dell’immensa gloria del Signore, sia benedetto il Suo Nome. Infatti, come potrà un comune mortale, infimo e spregevole, permettersi o compiacersi di agire contro il volere del Creatore, sia benedetto ed esaltato il Suo Nome? Questo tipo di timore non è così facile da conseguire, perché può nascere solo dalla conoscenza e dalla presa di coscienza con la quale si riflette sull’immensità del Signore benedetto e sulla miseria dell’essere umano, tutti concetti che si manifestano in una mente che ragiona e capisce. È questo il timore che avevamo elencato al secondo posto tra i fattori della devozione 2. È questo il timore che porterà l’uomo a provare vergogna quando prega al cospetto del suo Creatore o durante qualunque altra attività del suo servizio divino. È questo il timore più pregevole, che ha contraddistinto i devoti del mondo, come disse Moshé (Deut. 28, 58): “Avere timore di questo Nome Possente e Altissimo: il Signore tuo D-o”. Questo è il timore su cui verte la nostra spiegazione: cioè, il timore del peccato è come una parte del timore della maestà e allo stesso tempo è un tipo di timore a sé stante. Ciò significa che l’uomo deve sempre temere e preoccuparsi per i propri atti, da una parte affinché non si mischi a essi neppure una minima traccia di peccato, dall’altra affinché non vi si trovi nemmeno una particella di qualsiasi grandezza che non sia degna dell’immensa gloria del Signore benedetto e della Maestà del Suo Nome.
Ci è chiara adesso la stretta relazione tra questo timore e il timore della maestà di cui abbiamo parlato in precedenza, poiché il fine di entrambi è di non commettere alcunché che sia in contrasto con la Maestà della gloria di Hashem benedetto, ma questa è la differenza che c’è fra di loro e che ne fa due categorie separate con due nomi distinti: il timore della maestà si riferisce al momento dell’azione, del servizio di Hashem, o quando ci si trova davanti a una trasgressione. Cioè, o quando l’individuo sta pregando o servendo Hashem, e in quei momenti prova onta e vergogna, trema e palpita davanti alla Maestà della gloria del Signore benedetto; oppure quando gli si presenta l’occasione di commettere un peccato e lo riconosce come tale astenendosi dal farlo, per non macchiarsi di una ribellione contro il glorioso sguardo 3 del Signore benedetto, che D-o ce ne scampi.
Invece il timore del peccato è permanente e costante: in ogni momento si teme di sgarrare facendo qualcosa, anche una quisquilia, che sia contraria a ciò che onora il Nome del Signore benedetto. Per questo motivo viene chiamato timore del peccato: il suo fondamento consiste nel temere che un peccato si insinui e si mescoli nelle proprie azioni, in qualsiasi modo: deliberatamente, per negligenza o per disattenzione. A questo proposito fu detto (Proverbi 28, 14): “Felice è l’uomo che ha sempre paura[4]“, che i Maestri di benedetta memoria hanno spiegato così (Talmud Bavli, trattato Berakhot 60a): “Questo versetto si riferisce alle cose di Torà”, perché perfino quando l’ostacolo non è visibile ai propri occhi, il cuore deve temere che forse esso si nasconda proprio tra i piedi della persona, senza che questa se ne guardi[5]. E di questo timore disse Moshé il nostro Maestro (Esodo 20, 17): “Affinché il timore di D-o sia sui vostri volti e non pecchiate”. Perché questo è il fondamento del timore: che l’uomo provi perennemente timore e turbamento, al punto che questo timore non lo abbandonerà. In questo modo non cadrà mai nel peccato, e se anche ciò succedesse, ciò verrà considerato come una cosa che è avvenuta suo malgrado. E Isaia disse nella sua profezia (Isaia 66, 2): “Ed ecco chi Io guardo: l’umile, il contrito e chi teme la Mia parola[6]“.
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Note del traduttore:
[1] Questo sorprendente tipo di espressione di origine talmudica (si veda il trattato di Shabbat) serve a spiegare che uno dei due tipi di timore del peccato si sdoppia in realtà in due categorie, come si vedrà in seguito.
[2] Si veda il capitolo 19
[3] Citazione da Isaia 3, 8.
[1] Qui Ramchal ritorna su un concetto che già aveva espresso in precedenza, nel cap. 5, dove scriveva che non si poteva pensare di raggiungere la zehirut senza aver prima raggiunto la Torah: l’ordine delle middot, così come indicato da R: Pinechas ben Yair nella baraità, è vincolante, e non si può immaginare di prescindere da una delle middot, e nonostante ciò raggiungere quella superiore.
[2] E’ evidente che quando una persona ha raggiunto un certo livello di fede, la punizione di H., in questo mondo o nel mondo futuro, appare come un veleno, e l’uomo cerca di evitarla naturalmente.
[3] Il Rambam affronta la questione nelle Hilkhot teshuvah (10,1). Il servire H. per ricevere le benedizioni scritte nella Toarah e il distaccarsi dal peccato per timore delle maledizioni è l’atteggiamento di coloro che servono H. per via del timore e non hanno molta conoscenza. Vi è tuttavia un livello superiore, proprio dei profeti e dei sapienti, che è quello servire H. per via dell’amore, e ciascuno deve cercare di accrescere la propria conoscenza per raggiungere questo livello. Bisogna considerare che vi è una gradualità, ed è giusto pertanto istruire i minori iniziando dal servizio per via del timore, e partendo dallo studio “lo lishmah”, si raggiunge successivamente quello “lishmah” (halakhah 5). Il discorso del Rambam non si riferisce al solo ambito dello studio, ma anche a quello della pratica delle mitzwot. I due ambiti non sono complementari fra di loro, ma il secondo comprende anche il primo.
[4] Il Maharal in Netzach Israel scrive che il male deriva dalla privazione, e visto che il peccatore è manchevole, si insinua in lui la paura. Chi è integro pertanto non avrebbe di che temere. Dello stesso avviso Rav Dessler in Mikhtav MeElihau (4, pag. 234), basandosi sullo Zohar.
[5] R. Yonah in Sha’arè teshuvah (1,20) scrive che l’uomo non deve fare eccessivo affidamento sulla teshuvah, perché esiste il rischio concreto che questa non sia completa.
[6] La disposizione di questo verso è un’ulteriore prova di come il timore del peccato segua il raggiungimento di tutte le altre middot.