Mesilat Yesharim: capitolo 26 – ultima parte
La santità e come acquisirla
http://www.anzarouth.com/2011/07/mesilat-yesharim-26-acquisire-santita.html
Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduz. e note di Ralph Anzarouth
Questa è la regola generale: la santità consiste in una unione così stretta dell’uomo con il Signore benedetto al punto di non discostarsi da Lui in nessuno dei suoi atti e al punto che l’elevazione degli oggetti materiali in seguito al loro utilizzo da parte del giusto è superiore all’abbassamento del suo livello e all’allentamento del suo legame con Hashem in seguito all’uso che egli fa di quegli oggetti. Ma questo succede quando la sua mente e la sua attenzione sono perennemente concentrati sull’immensità di Hashem benedetto, la Sua maestà e la Sua santità.
Al punto che sembrerà che egli si unisca veramente agli angeli celesti pur trovandosi ancora in questo mondo, cosa che come già detto non può compiere con la sua sola volontà: egli può solo prendere l’iniziativa e fare del suo meglio, solamente dopo avere acquisito tutte le qualità positive di cui abbiamo parlato finora, dall’inizio della prudenza fino al timore del peccato.
Con ciò egli potrà entrare nel santuario 10 e riuscirà nel suo intento, perché se invece gli mancassero le prime di quelle virtù, sarebbe come un estraneo o un menomato, di cui è detto (Numeri 18 4): “Che nessun estraneo si avvicini[1]“. Ma dopo essersi preparato come descritto, chi si prodigherà a unirsi con la forza dell’amore e la potenza del timore alla comprensione dell’immensità di Hashem benedetto e alla forza della Sua maestà potrà separarsi progressivamente[2] dalle faccende materiali e dirigere il suo cuore in ognuna delle sue azioni e in ognuno dei suoi movimenti alla vera unione spirituale, finché dall’Alto gli verrà instillato uno spirito e il Creatore benedetto poserà il Suo Nome su di lui come fa con tutti i Suoi santi. Allora diventerà davvero come un angelo di Hashem e tutte le sue azioni, perfino quelle basse e terrene, saranno come le offerte [all’altare del Tempio] e il servizio divino.
Avrai notato che la strada per giungere alla santità passa attraverso molta astinenza e l’approfondita osservazione dei segreti della Provvidenza Divina e della creazione del mondo, oltre che attraverso la conoscenza dell’immensità di Hashem benedetto e delle Sue lodi, al punto che la sua unione con Lui sarà intensissima e saprà controllare il suo pensiero anche durante le sue attività materiali, proprio come era richiesto al Cohen Gadol11 quando immolava le offerte o ne raccoglieva il sangue o lo gettava [sull’altare], fino ad attirare così da parte di Hashem benedetto la benedizione di vita e di pace. Quello esposto è l’unico modo di raggiungere questo livello e ogni altro metodo lascia in ogni caso chi lo intraprende a un livello materiale e terreno, insieme a tutti gli altri esseri umani. E ciò che contribuisce a ottenere questa virtù sono l’isolamento 12 e tanta astinenza, affinché senza intralci il suo spirito potrà rinforzarsi e unirsi al Creatore.
Gli ostacoli a questa virtù sono: la mancanza di vere conoscenze e la frequentazione ricorrente delle altre persone. Infatti, la materialità si associa a ciò che le è consimile, prende vigore e si rinforza: lo spirito dell’uomo ne rimane prigioniero e non si libera dalla sua cattività. Ma quando invece egli si allontana dagli altri, si ritrova solo e può prepararsi a ricevere l’influsso della santità. L’uomo viene condotto lungo il percorso che egli stesso ha scelto 13 e con l’aiuto che gli verrà offerto dal Signore il suo spirito trionferà sulla materia, si unirà alla Santità del Signore e con essa si perfezionerà. Da questo livello si eleverà a un livello superiore che è lo spirito di santità e le sue conoscenze valicheranno i limiti della natura umana. L’attaccamento a Hashem può arrivare a un livello così elevato che gli verrà concessa la facoltà 14 di resuscitare i morti, come fu il caso per [il profeta] Elia 15 e [per il profeta] Elisha 16, ciò che dimostra un grande attaccamento al Signore benedetto. Poiché essendo il Signore benedetto la Fonte della vita, che dà la vita a tutto ciò che vive, come dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Taanit 2a): “Tre sono i poteri 17 che [Hashem] non ha affidato a un inviato; essi sono: la facoltà di resuscitare i morti ecc.”. Ecco quindi che chi si unisce al Signore con un attaccamento totale potrà riceverne perfino il potere di attirare la vita stessa, la quale è una peculiarità divina più di qualsiasi altra, come già spiegato.
E questa è la conclusione della Braita 18: “La santità conduce allo spirito di santità[3] e lo spirito di santità conduce alla resurrezione dei morti[4].”
E tu, caro lettore, so che capisci come me che non ho esaurito in questo mio libro tutte le norme della devozione e che non ho detto tutto quanto ci sarebbe da dire al riguardo, poiché questo argomento è inesauribile e la riflessione non ha fine. Tuttavia, ho discusso brevemente ogni parte che compone la Braita sulla quale ho basato questo mio testo. Questo può essere un inizio e un punto di partenza per ampliare lo studio di questi argomenti, poiché il loro cammino è rivelato e la loro strada è spianata davanti a noi per permetterci di procedere con loro seguendo una via retta19. E in tutti i casi di questo tipo è detto (Proverbi 1, 5): “Il saggio ascolterà e ne trarrà un insegnamento; l’uomo accorto si arricchirà di astuzie”, e (Talmud Bavli, trattato Shabbat 104) “Chi sceglie di purificarsi, viene aiutato”, (Proverbi 2, 6): “Poiché Hashem conferisce la saggezza e dalla Sua bocca emanano la conoscenza e la ragione”, affinché ognuno rettifichi il suo comportamento davanti al suo Creatore.
Ed è ovvio che tutti hanno bisogno di essere corretti e guidati, a seconda del mestiere e dell’attività di ognuno, perché la strada della devozione appropriata a chi si occupa di Torà non è la stessa di chi è salariato presso un datore di lavoro, e ambedue sono diverse dalla strada della devozione di chi si dedica al commercio per conto proprio. E così via per tutti gli altri elementi delle attività dell’uomo nel mondo: le strade della devozione più adatte dipendono da ogni caso individuale. Non perché la devozione in sé sia variabile: essa è certamente uguale per tutti poiché consiste unicamente nel fare ciò che procura soddisfazione al proprio Creatore. Ma poiché i campi di interesse sono molteplici, ovviamente anche gli strumenti che li conducono ai loro obiettivi non possono che variare anch’essi, ognuno secondo le sue caratteristiche.
E chi per necessità esercita un mestiere umile può diventare un perfetto devoto così come chi studia la Torà ininterrottamente. Ed è scritto (Proverbi 16, 4): “Hashem ha creato tutto in Suo onore”. Ed è detto (ibid. 3, 6): “ConosciLo in tutte le tue vie ed Egli spianerà la tua strada”.
Il Signore, sia benedetto il Suo Nome, aprirà i nostri occhi alla Sua Torà, ci insegnerà le Sue vie, ci dirigerà per le Sue strade; così meriteremo di onorare il Suo Nome e di darGli soddisfazione.
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Note del traduttore:
[9] Questo episodio biblico si trova in Genesi 28 (versi 11 e 18). Il notissimo commento talmudico che segue (ripreso anche da Rashi nel commento al versetto 11) si basa sull’apparente contraddizione tra il versetto 11 nel quale Giacobbe si corica su “pietre” (al plurale) e il versetto 18 in cui si risveglia su una “pietra” (al singolare). Oltre che in questo capitolo conclusivo del Mesilat Yesharim, il Ramchal aveva già citato questo Midrash nel primo capitolo.
[10] Attraverso questa allusione a Vaykrà 16, 3 l’autore compara l’accesso al livello della santità con l’ingresso di Aronne il Sommo Sacerdote nel santuario.
[11] Il Sommo Sacerdote del Santo Tempio di Gerusalemme, che sia presto ricostruito.
[12] Si veda lo straordinario discorso di Rabbi Yerucham Leibovitz sulla forza della solitudine (nostra traduzione per il sito dei Maestri della Torà).
[13] Allusione a un famoso detto rabbinico citato dal Talmud Bavli (trattato Makkot 10b) e da diversi Midrashim (Bamidbar Rabba 20, 12; Tanchuma Balak 8; Yalkut Shimoni, Torà 765 e Nach 133).
[14] Il testo originale usa il termine “chiave”, espressione che deriva dalla citazione talmudica che seguirà un po’ più avanti.
[15] Eliahu Hanavi, si veda l’episodio nel Primo Libro dei Re, 17.
[16] Si veda l’episodio nel Secondo Libro dei Re, 4.
[17] E più precisamente, “chiavi” nel testo talmudico originale.
[18] La Beraita di Rabbi Pinhas ben Yair, già citata nell’introduzione e che ha fatto da filo conduttore a tutto questo Mesilat Yesharim. Il lettore la troverà per intero nella nota 8 del capitolo 1.
[19] Da qui il nome scelto dall’autore per questo libro:”Mesilat Yesharim”. In questa traduzione abbiamo adottato il titolo “Sentiero dei giusti”, che è quello usato di frequente, ma una traduzione più letterale di “Yesharim” direbbe “retti”, a significare il sentiero di coloro che scelgono la via retta nel loro servizio divino.
[1] L’assenza di una qualsiasi delle qualità che precedono la qedushah conduce ad una condizione tale da mettere in pericolo chi ha compiuto questo salto, come un non sacerdote che si avventura nel Santuario. Non solo: questa condotta è peccaminosa ed invalida tutto il servizio, come un non sacerdote che offre un sacrificio. La differenza fra chi ha affrontato tutti i passaggi e chi non lo ha fatto è paragonabile a quella fra gli angeli e gli esseri umani.
[2] Anche per la qedushah, come in precedenza per la perishut, la gradualità nel percorso è di fondamentale importanza.
[3] I Chakhamim hanno parlato spesso di ruach ha-qodesh, parlando dello spirito che animava chasidim e tzadiqim, ma non intendevano il ruach ha-qodesh di cui si parla qui, che è un livello eccezionale raggiungibile solo da pochissimi individui.
[4] Questi due aspetti, spirito di santità e resurrezione dei morti, sono un perfezionamento della santità, e per questo vengono affrontati nello stesso capitolo del libro.