Nel mondo ci sono più entrate o più uscite? E’ come domandare se ci sono più salite o più discese. E’ essenzialmente una questione di punti di vista. Lo stesso percorso può essere visto come un’entrata o come un’uscita, a seconda dell’atteggiamento che si assume. Vi darò una chiave possibile. Particolarmente come ebrei viviamo in una tensione costante fra il centro e la periferia. Chiamerò entrata ogni movimento diretto verso il centro, mentre chiamerò uscita ogni movimento diretto alla periferia.
Ma ora parliamo di Torah. Vi siete mai chiesti per quale ragione si parla di kenissat Shabbat (“entrata dello Shabbat”) e di yetziat Shabbat o Motzaè Shabbat (“uscita dello Shabbat”) anziché di Hatchalat ha-Shabbat (“inizio dello Shabbat”) e di Ghemar ha-Shabbat o Sof ha-Shabbat (“fine dello Shabbat”)? Per spiegarvelo partirò da un tema dei Pirqè Avot e della Parashah odierna. “R. Yochanan ben Beroqah insegnava: chiunque faccia chllul ha-Shem (“profanazione del Nome”) in privato sarà punito pubblicamente”. E’ il caso del megaddef di cui si parla alla fine della ns. Parashah: un uomo che per qualche ragione ha bestemmiato sul Nome di D. ed è stato punito con la lapidazione davanti a tutti. Il Midrash indaga sulle cause dell’episodio, argomento su cui non mi soffermerò. Mi interessa solo rilevare che i Maestri fanno leva sulla prima parola del racconto: wayetzè. Il testo esordisce dicendo che quest’uomo, semplicemente, “uscì” (Wayqrà 24,10). Non sappiamo con esattezza di che uscita si sia trattato, ma il testo vuole senz’altro comunicarci che l’uscita in sé è la trasgressione.
E’ giusto pensare che la suddivisione delle Parashot della Torah sia stata compiuta seguendo un filo logico. Deve cioè esistere un richiamo preciso fra la parte finale e la parte iniziale. Se andiamo a vedere l’inizio della Parashah vi troviamo alcune prescrizioni relative al lutto dei Kohanim e del Kohen Gadòl in particolare. Di lui è scritto fra l’altro u-min ha-miqdash lo yetzè we-lo yechallel et miqdash Eloqaw (“e non uscirà dal Santuario, affinché non profani il Santuario del suo D.” – 21,12). Anche di questo versetto sono state date molte interpretazioni su cui non mi soffermerò. Una di queste legge Miqdash nel senso di Qedushah, “santità”. Il Kohen Gadòl non è autorizzato a uscire dalla propria santità. Egli è il “distillato” di ciascuno di noi. Tutti noi dobbiamo sentirci Kohanim Ghedolim, almeno in parte. Se usciamo dalla nostra Santità in quanto ebrei rischiamo di profanare (yechallel) il Nome di H. che è in noi e di bestemmiare (yeqallel) su di esso in varia forma. La Qedushah è il ns. centro. Lo Shabbat rappresenta una delle manifestazioni della ns. qedushah. Quando comincia diciamo piuttosto che “entra”, perché chiamiamo “entrata” ogni moto verso il centro. E quando la sua Qedushah si distacca da noi parliamo di “uscita”, perché l’allontanamento dal centro verso la periferia è chiamata “uscita”. Se è vero che a volte l’entrata in un luogo richiede permesso, è tanto più vero che dobbiamo richiedere il permesso tutte le volte che ci accingiamo a “uscire”, perché ogni movimento verso la periferia è pericoloso. Che il S.B. ci aiuti a non perdere mai di vista la ns. Qedushah e a preservarla sempre, in ogni scelta della ns. vita.