Limmud in memoria di Stella Lattes Bassi z.l. – Nella ricorrenza degli 11 mesi dalla sepoltura
Negli ultimi capitoli del libro biblico di Daniel (Ketuvim – Agiografi) troviamo una descrizione della futura resurrezione e del giudizio finale di difficile comprensione. Ci concentriamo sui primi versetti del cap. 12:
Daniel 12, 1-3 (trad. Rav Dario Disegni): In un lontano avvenire sorgerà Mikhael, il grande capo, che si schiera a favore dei figli del tuo popolo. Quello sarà un periodo di angoscia quale non si era verificato dal sorgere delle nazioni fino a questo tempo; e in quel momento sarà salvato il tuo popolo, chiunque si trovi scritto nel Libro! Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si desteranno, gli uni per la vita eterna, gli altri per l’obbrobrio, per un’eterna infamia. E i saggi rifulgeranno dello splendore del firmamento e coloro che avranno attratto molti alla giustizia saranno come stelle in eterno.
Chi sono esattamente i “saggi” e “coloro che avranno attratto molti alla giustizia”, che nel v. 3 sono paragonati rispettivamente allo “splendore del firmamento” e alle “stelle in eterno”? Per capirlo ci rivolgeremo al Talmud. Anche in questo caso i Chakhamim rifuggono dagli enunciati astratti e cercano una definizione concreta. Il ns. versetto è commentato nel trattato Bavà Batrà in un contesto che parla della Mitzwah della Tzedaqah. La relazione è motivata linguisticamente con il fatto che Tzedaqah significa appunto “giustizia”. Il passo talmudico dà due possibili interpretazioni del versetto. Ecco la prima:
TB Bavà Batrà 8b: “E i saggi rifulgeranno dello splendore del firmamento”: si tratta dei giudici che giudicano secondo verità assoluta; “e coloro che avranno attratto molti alla giustizia saranno come stelle in eterno” sono i collettori della Tzedaqah (Maharshà: come le stelle esistono di giorno e di notte ma illuminano solo di notte, i collettori della Tzedaqah si occupano dei poveri sia di giorno che di notte ma distribuiscono loro la Tzedaqah solo ‘di notte’, vale a dire: in forma riservata per non imbarazzarli)…
La seconda interpretazione è in realtà uno sviluppo della prima secondo una tecnica di escalation frequente nel Talmud. Essa associa entrambe le categorie (giudici e collettori della Tzedaqah) sotto la prima metà del versetto in modo da lasciare libera l’altra metà per includere una terza categoria:
…Si insegna in una Baraytà: “E i saggi rifulgeranno dello splendore del firmamento”: si tratta dei giudici che giudicano secondo verità assoluta (Tosafot: sanno individuare i testimoni mendaci e non si basano su di loro) e dei collettori della Tzedaqah (Rashì e Maharshà: che devono saper distinguere anch’essi chi ha veramente bisogno); “e coloro che avranno attratto molti alla giustizia saranno come stelle in eterno” sono gli insegnanti dei bambini…
I commentatori medioevali si interrogano su quale sia la postazione più elevata: il “firmamento” della prima parte o le “stelle” della seconda? Ciò è importante per capire se nella società ebraica siano più importanti i giudici e i collettori, ovvero gli insegnanti. Ecco l’opinione delle Tossafot (Francia-Renania):
Tosafot s.v. U-matzdiqè: le stelle sono più luminose dello splendore del firmamento, che è il cielo più vicino alla terra. Come possiamo allora pensare che gli insegnanti siano più in alto dei giudici e dei collettori della Tzedaqah (cfr. Pessachim 49b)? Dobbiamo concludere che qui il riferimento è al firmamento superiore che noi non vediamo e che è ancora più luminoso.
Di diverso avviso il commentatore spagnolo Ibn Ezrà. Il suo testo ribadisce che il versetto va letto nel senso più semplice. Egli ci fa intuire il suo pensiero: gli insegnanti sono la categoria più elevata, persino al di sopra dei giudici e dei collettori della Tzedaqah:
Ibn Ezrà al v.: “E i saggi rifulgeranno dello splendore del firmamento” che riceve la luce. Ma “coloro che avranno attratto molti alla giustizia” sono a un livello superiore. Perciò il verso dice di loro che “saranno come stelle in eterno”.
Di quali insegnanti si tratta? Continua il Talmud:
… Come chi? Disse Rav: Come per esempio Rav Shemuel bar Shelat. Rav incontrò Rav Shemuel bar Shelat mentre accudiva al suo giardino. Gli disse: “Hai lasciato ciò cui eri più fedele (l’insegnamento)”? Rav Shemuel gli rispose: “Erano tredici anni che non vedevo (il giardino), ma comunque anche adesso sto pensando a loro (i bambini)”. E i Rabbini a cosa (possono essere paragonati)? Diceva Ravinà (il verso): “E coloro che Lo amano sono come quando esce il sole con la sua potenza” (Shofetim 5,31).
Un commentatore applica all’insegnante Rav Shemuel ben Pedat la stessa considerazione che aveva già fatto a proposito dei collettori della Tzedaqah nella prima interpretazione del Talmud:
Maharshà: Gli insegnanti “saranno come stelle in eterno”. Come le stelle esistono anche di giorno ma non si vedono, così gli insegnanti. Anche quando non si vedono devono costantemente pensare agli allievi, come Rav Shemuel bar Shelat.
E ora confrontiamo lo studio appena compiuto con i seguenti pensieri di Rav Soloveitchik a proposito della funzione dell’insegnante nella tradizione ebraica. Sono tratti da una serie di conferenze sulla famiglia ebraica. L’insegnante dei bambini è parte di questo quadro a tutti gli effetti:
Rav J.B. Soloveichik, Adàm u-Beytò, ed. Me-Otzàr ha-Rav, Yerushalaim, 2002, p. 68-69: L’Ebraismo presenta una teoria pedagogica tutta nuova. L’educazione non è solo un fatto tecnico. E’ un’azione spirituale, in cui si mescolano le esistenze di due persone originariamente estranee l’una all’altra. E’ la trasmissione non solo di una conoscenza formale, ma di un’esperienza essenziale che tutto comprende, di una coscienza ontica. L’azione educativa si esprime nella comparsa di una nuova fratellanza, di cui sono membri l’insegnante e l’allievo in un’avventura nuova: la creazione. L’unione di insegnante e allievo non termina con la fine ufficiale dell’anno scolastico. La Comunità da essi costruita dura ben oltre il periodo in cui si sono trovati fisicamente uno accanto all’altro. C’è in questo qualcosa della Comunità del Patto… Fra i membri di questa Comunità di conoscenza regnano affetto e identificazione reciproca. Socrate soleva descrivere il maestro come una levatrice che aiuta il bambino a riscoprire se stesso ex novo e niente più. La metafora ben si attaglia alla concezione socratico-platonica secondo cui l’apprendimento è semplicemente una reminiscenza (anamnesi), ovvero il semplice risveglio di qualcosa che era fino a quel momento assopito nella personalità del bambino. Il Maestro non gli trasmette niente di proprio: porta solo all’atto ciò che già è nascosto nell’allievo in potenza. Il ruolo del maestro non è creativo e l’insegnamento non porta ad alcun avvicinamento personale profondo fra i due. La filosofia platonica manca di quell’abbraccio esistenziale nell’ambito del quale allievo e maestro si scoprono soddisfatti dal punto di vista del loro essere e godono di una vitalità piena. L’ebraismo vede nel maestro (moreh) un creatore (borè), che crea con amore e impegno la personalità dell’allievo. Entrambi, il maestro e l’allievo, diventano persone, in quanto creano una Comunità dell’ “io” e del “tu”. Per questo l’Ebraismo chiama gli allievi “figli” (cfr. Yesha’yahu 54,13) e i maestri “padri”…
Qui Rav Soloveitchik perviene a un nuovo sviluppo halakhico di grande forza:
…I nostri Maestri insegnano che “chiunque insegna Torah al figlio di un altro è considerato dal versetto come se l’avesse generato” (Sanhedrin 19b; Rashì a Bemidbar 3,1). Quando fu aggiunta la lettera he ad Avram divenne Avraham, av hamon goyim (“padre di una moltitudine di popoli”, Bereshit 17,5): il padre di tutti coloro che hanno imparato da lui. Una coppia che non abbia avuto figli non raggiunge la posizione di Avram (genitorialità naturale). Ma la possibilità di raggiungere quella di Avraham, la genitorialità “creatrice”, è una sfida con cui tutti sono chiamati a misurarsi.
Proprio Avram nostro Padre viene chiamato a contare le stelle, qualora fosse in grado di farlo. H. gli promette che la sua progenie sarebbe stata innumerevole come le stelle del cielo. Non si tratta naturalmente dei suoi figli biologici, ma di tutti i suoi discepoli. D. gli ascrisse questo a “giustizia” (Bereshit 15,5-6). Le stelle rappresentano dunque qualcosa che è sempre presente anche quando non è visibile. La loro efficacia risiede proprio in questo. Anche Stella Lattes Bassi continua a essere sempre presente fra noi e a illuminarci con il suo insegnamento. Sia il Suo ricordo in benedizione.