Moshe Rabbenu appare stanco. Le ultime contestazioni popolari lo hanno prostrato. Di fronte alla grave provocazione di Zimrì non reagisce. Sarà Pinechas, nipote di suo fratello, a prendere l’iniziativa. E’ Moshe stesso a rivolgersi a H. per richiedergli un degno successore.
Sarà stato ispirato a ciò dalla questione che avevano posto le cinque figlie di Tzelofchad riguardo alla loro eredità paterna? O dall’invito da parte di H. a prendere visione della Terra d’Israele in cui non avrebbe potuto metter piede? Non è escluso che Moshe pensasse ai suoi figli, ma H. gli espone un’idea differente. Yehoshua’ avrebbe preso il suo posto. Yehoshua’, il suo discepolo fedelissimo, colui che לא ימיש מתוך האהל“non abbandonava mai la Tenda” in cui il suo Maestro parlava con D. (Shemot 33,11). Il versetto dei Mishlè recita: נצר תאנה יאכל פריה ושמר אדניו יכובד, “Colui che custodisce il fico ne mangerà i frutti e colui che cura il proprio Maestro ne ricaverà onore” (27,18). Non a caso per il paragone è stato scelto il fico. I fichi, spiegano i nostri Maestri, non maturano tutti assieme, ma uno dopo l’altro e rapidamente deperiscono. Il raccoglitore di fichi deve essere costantemente presente accanto all’albero se vuole godere dei suoi frutti. Pensare di attendere la fine della stagione con l’idea di coglierli tutti in una volta sarebbe una scelta perdente. Impariamo qui il concetto di shimmush talmidè chakhamim, il dovere di frequentare e prestare servizio presso i Maestri di Torah per far sì che la Torah che impariamo da loro sia legge di vita quotidiana.
Ma c’è almeno un altro insegnamento che impariamo da questo passo sulla leadership del nostro popolo. D. dà a Moshe due disposizioni per l’investitura del suo successore: וסמכת את ידך עליו “Porrai la tua mano su di lui” (Devarim 27,18) e ונתתה מהודך עליו “Darai parte della tua dignità su di lui” (v. 20). Il Midrash (Bemidbar Rabbà 21, 14-15) commenta che si tratta di due azioni con significato distinto. La prima parla del passaggio di consegne come se Moshe accendesse un lume da un altro נר מנרמדליקכ. La seconda sarebbe invece assimilabile al travaso da un recipiente all’altro כמערה מכלי לכלי. La similitudine del lume richiamerebbe la nostra attenzione sul fatto che l’investitore non diminuisce la propria forza nel momento in cui la trasferisce sul suo successore, come la candela accesa non diminuisce d’intensità per il fatto di averne accesa un’altra. Nel caso del travaso da un recipiente non è così: ciò che passa nel nuovo contenitore è sottratto al primo.
Nella leadership spirituale del popolo ebraico ci sono due aspetti differenti. Abbiamo già trovato la similitudine dell’accensione di un lume dall’altro a proposito dell’episodio in cui Moshe investe i settanta anziani del Sinedrio. La Torah in quel caso parla di emanazione dello spirito e Rashì (a 11,17) commenta che “Moshe era paragonabile a un lume collocato su una lampada dal quale venivano accesi gli altri lumi senza che la luce di Moshe mancasse di nulla”. Il testo ci riferisce che per effetto di ciò gli uomini si misero a profetizzare. La profezia rappresenta, in termini biblici, l’autorevolezza che è un elemento costitutivo della leadership. L’autorevolezza ha la caratteristica di non diminuire in un leader per effetto della sua estensione a un altro. Di più: possono convivere nella stessa generazione più persone dotate di simile autorevolezza.
La seconda parte dell’investitura consiste nella trasmissione di qualcosa di diverso. In questo caso Moshe perde nel momento stesso in cui Yehoshua’ guadagna. Troviamo la stessa immagine del travaso da un recipiente all’altro a proposito della Birkat Kohanim. I Kohanim possono trasmettere la Berakhah al popolo solo a condizione di averla ricevuta: da qui l’uso per cui il Chazan suggerisce la Berakhah ai Kohanim parola per parola (Kelì Yeqar a Bereshit 12,3). Che cosa rappresenta la Berakhah? Recare Berakhah al popolo, rappresentarlo migliorandone le condizioni è l’ufficio e la funzione del leader. Il Talmud dice che “due re non possono servirsi della stessa corona” (Chullin 60b) e che “il dominio di un re non sfiora quello di un altro neppure per un pelo” (Berakhot 48b). In termini di ufficio “ogni generazione può avere un solo leader e non due” (Sanhedrin 8a). Il leader spirituale del popolo ebraico riassume dunque su di sé una doppia veste: quella morale del profeta, che costituisce la sua autorità da un lato e quella del re e del Kohen, strettamente legata all’ufficio, dall’altro.
Oltre alla diversa modalità andrà notato il diverso ordine con cui Moshe conferisce al suo successore le sue prerogative. L’autorità precede l’ufficio e non viceversa. Commenta R. Eli’ezer Berkovits in un suo scritto sul Rabbinato contemporaneo: “l’autorità del leader non è conseguenza del suo ufficio, ma giusto l’inverso: è l’autorità che egli già possiede in quanto rappresentante dell’Ebraismo vivo a essere ora adoperata nell’interesse della Comunità. E’ il leader, identificandosi con il suo ufficio, a rendere quest’ultimo autorevole a sua volta”. Rav Berkovits scrive che una leadership di tipo politico non può avere l’ultima parola sul nostro destino nazionale. Nessuno nega la sua importanza nell’ambito della lotta per i diritti del mondo ebraico rispetto alla società circostante. Ma non possiamo aspettarci da questo tipo di leader che adoperino i diritti politici acquisiti per favorire la realizzazione dei valori dell’Ebraismo tradizionale. Questo è compito di altri. “Anche oggi, dopo le grandi tragedie degli Ebraismi in Europa, la vera crisi non è politica, ma di natura spirituale. La nostra sopravvivenza è in pericolo non perché un barbaro antisemitismo ha distrutto gli Ebraismi europei, ma principalmente perché l’Ebraismo ha cessato di essere la forza spirituale e la spina dorsale della nazione… In occasione di uno dei primi Congressi sionistici Achad Ha-‘am affermò con baldanza che la nazione ebraica sarà redenta non da politici e diplomatici, ma da Profeti”. Lo scritto di Rav Berkovits da cui sono tratte queste considerazioni è del 1943.