Come è noto, accanto alla santità nello spazio e nell’uomo, troviamo la santità nel tempo, che la Torah enuncia nella parashah di Emor. Per essere più precisi, lo stesso concetto di santità viene inaugurato per un giorno, lo Shabbat, al termine della creazione del mondo.
La prima mitzwah che viene data al popolo ebraico, quella della compilazione del calendario, è ugualmente legata al tempo.
Per primi i profeti hanno visto D. nella storia. Il tempo è l’arena dell’incontro fra divino ed umano.
Questa visione del mondo ha influenzato significativamente anche la cultura. Gli ebrei hanno molta storia, ma poca geografia. La centralità del tempo è stata sottolineata da molti autori, ma secondo Rav Sacks vi è un aspetto, quello della dualità all’interno della concezione del tempo, che ha ricevuto molta meno attenzione.
Considerando ad esempio il calendario nel suo complesso è noto che la cristianità utilizza un calendario solare, mentre l’Islam ha accolto quello lunare. Gli ebrei invece tengono conto di entrambi i sistemi.
Se parliamo del giorno, questo inizia dalla sera, ma se ci rivolgiamo alla struttura delle tefillot, la prima, istituita da Avraham, è quella del mattino.
La prima mishnah del trattato di Rosh ha-shanah presenta quattro differenti capodanni. Due di loro, il primo di Elul, e il 15 di Shevat si riferiscono ad ambiti molto specifici, ma gli altri due, il primo di Nissan e il primo di Tishrì, sono molto più fondamentali nella vita di ogni ebreo. La Torah conta il tempo dal primo di Nissan, giorno in cui, secondo una delle opinioni che compaiono nel Talmud, la terra si asciugò in seguito al diluvio e il popolo ebraico ricevette il suo primo comandamento come popolo. L’anno successivo il primo di Nissan venne inaugurato il Mishkan.
Rosh ha-shanah cade invece esattamente sei mesi dopo.
Anche i mo’adim descritti in Emor hanno una duplice radice: da una parte lo Shabbat, santificato da H. già dalla creazione, ed i mo’adim, che sono consacrati dal popolo ebraico per mezzo della fissazione del calendario. Da qui la differenza nelle berakhot che concludono il qiddush e la benedizione centrale nella ‘amidah dello Shabbat e delle feste.
La duplicità investe anche i mo’adim: da una parte troviamo gli Shalosh regalim, le feste di pellegrinaggio, che rappresentano dei momenti chiave agli albori della storia ebraica, feste della storia, e dall’altra le feste della santità collegata al numero sette: lo Shabbat, le feste del settimo mese, il mese di Tishrì, l’anno sabbatico e lo Yovel. Queste ultime ricorrenze, con l’eccezione di Sukkot, che appartiene ad entrambi i cicli, hanno la particolarità di non riferirsi alla storia, ma alle verità ultime sull’universo, alla condizione umana e alle leggi, naturali e morali, sotto le quali viviamo. Durante il mese di Tishrì riflettiamo sulla creazione del mondo, sulla sovranità divina, sul giudizio divino, sulla condizione umana. A Kippur entriamo in contatto con il giudizio divino. A Sukkot leggiamo il Qohelet, la più profonda riflessione sulla mortalità che incontriamo nel Tanakh. L’anno sabbatico e lo Yovel affermano con forza attraverso le nostre azioni la convinzione che H. è il Creatore e il padrone dell’universo.
Per comprendere questa differenza è sufficiente leggere il testo della ‘amidah festiva: durante gli shalosh regalim l’enfasi è posta sulla particolarità ebraica (“ci hai scelto fra tutti i popoli”), mentre a Rosh ha-shanah e Kippur l’accento è sull’universalità e sul giudizio che investe tutta la creazione. Anche Sukkot ha i suoi aspetti universalistici, per via dei settanta tori, in corrispondenza delle settanta nazioni del mondo, che venivano offerti nel Bet ha-miqdash.
Da cosa deriva questa diffusa dualità? Dal fatto che H. è il D. della natura e della cultura al contempo. E’ il D. di tutti in generale e del popolo ebraico in particolare. E’ l’autore delle leggi di natura, ma anche delle mitzwot che ci ha dato. In D. troviamo entrambe le concezioni del tempo, quello ciclico, rappresentato dal movimento dei pianeti, e quello lineare, quello della storia.
Sin dai tempi dell’antica Grecia gli uomini hanno cercato di individuare un unico principio che potesse spiegare il tutto, un’unica regola che permettesse di valutare oggettivamente la realtà. L’ebraismo risponde che questo unico punto non esiste. La realtà è molto più complessa. Non esiste neanche, come abbiamo visto, un’unica concezione del tempo. Per avere una realtà tridimensionale servono almeno due differenti prospettive, e questo vale sia per il tempo che per lo spazio. Il tempo è sia storico che naturale. E’ contro-intuitivo, ma rispecchia in modo più adeguato la complessità del tempo: il ticchettio di un orologio, una pianta che cresce, un corpo che invecchia, una personalità che si forma, tutte manifestazioni di una stessa realtà.