L’umiltà e le sue componenti
http://www.anzarouth.com/2010/12/mesilat-yesharim-22-umilta.htmlTratto dal sito www.anzarouth.com
Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduz. e note di Ralph Anzarouth
2. Accettare le offese. Infatti, i Maestri dissero esplicitamente (Talmud Bavli, trattato Rosh Hashanà 17a): “A chi perdona i peccati? A coloro che sorvolano sui peccati [commessi contro di loro]”. E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Shabbat 88b): “Gli offesi che non offendono: ascoltano l’ingiuria rivolta loro, senza rispondere. Di loro dice la Bibbia (Giudici 5, 31): ‘E i Suoi diletti sono come il sole che sorge in tutto il suo splendore’.” E raccontavano la grande umiltà di Baba ben Buta, dicendo (Talmud Bavli, trattato Nedarim 66b): “Un babilonese salito in Terra d’Israele sposò una donna 11 e le disse: ‘Cucina per me due zampe’, […] le disse: ‘Portami due zucchine’; gli portò due candele; le disse: ‘Vai a romperle sulla testa della porta’. In quel momento, Baba ben Buta presiedeva il tribunale, quella andò a romperle sulla sua testa 12.
Le chiese: ‘Cosa significa ciò che hai fatto?’ Gli rispose: ‘Così mi ha ordinato mio marito’. Le disse: ‘Hashem ti dia due figli come Baba ben Buta[1]‘.” E anche riguardo a Hillel, si racconta della sua grande umiltà in questi termini (Talmud Bavli, trattato Shabbat 30b): “Dissero i Maestri: che l’uomo sia sempre umile come Hillel ecc[2].”. E Rabbi Abahu, malgrado la sua grande umiltà, non si riteneva ancora degno di essere considerato umile (ibid. Trattato Sotà, 40a): “Disse Rabbi Abahu: ‘Dapprima pensavo di essere umile, ma dopo aver visto Rabbi Abba di Akko dare una spiegazione e non arrabbiarsi quando il suo interprete ne fornì un’altra, capii di non essere umile 13[3].”
3. Il disprezzo del potere e la fuga dagli onori[4] è un insegnamento esplicito (Massime dei Padri 1, 10): “Ama il lavoro e disprezza il potere” e [i Maestri] dissero anche (ibid. 4, 9): “Chi emette avventatamente decisioni di Halachà è folle, malvagio e rozzo[5]“; e dissero (Talmud Bavli, trattato Eruvin 13b): “L’onore fugge via da chi lo insegue[6]“; e anche (Psikta Rabbati 22, 4): “Il versetto (Proverbi 25, 8) “Non affrettarti verso la disputa” insegna a non inseguire il potere, perché (ibid.) “altrimenti cosa farai in seguito?” L’indomani verranno a porti domande e tu cosa risponderai?” E dissero anche (Psikta Rabbati, ibid.): “Rabbi Menachma disse a nome di Rabbi Tanchum […]: chi accetta il potere per trarne un profitto è come quell’adultero che approfitta del corpo di una donna”. E ancora (ibid.): “Disse Rabbi Abahu: [il Signore dice:] Io fui chiamato ‘Santo’. […] Perciò, se non possiedi tutte le Mie virtù, non farti carico del potere”.
Un esempio pratico [di quanto esposto sopra] viene dagli allievi di Rabbi Yehoshua, che pur oppressi dalla povertà non volevano accedere a una posizione di autorità, come dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Horayot 10a): “Voi immaginate che io vi stia conferendo dei poteri; in realtà, ciò che vi offro è la servitù!” E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Pesachim 87b): “Alla larga dal potere, che seppellisce chi lo detiene”. Da dove lo sappiamo? Da Yossef, che per aver assunto il potere morì prima dei suoi fratelli, (si consulti il Talmud Bavli, trattato Berakhot 55a) 14. La regola generale dice che il potere non è altro che un grande peso sulle spalle di chi lo porta. Infatti, finché l’uomo se ne sta per conto suo, inghiottito nella massa della popolazione, è considerato responsabile unicamente di sé stesso. Ma quando egli accede a una carica ufficiale e a un posto di potere, prende su di sé la responsabilità di tutti coloro che si trovano sotto la sua autorità e la sua giurisdizione, perché deve sorvegliarli, condurli con conoscenza e con intelligenza e correggere le loro azioni[7]. Se non lo fa (Midrash Devarim Raba 1. 10): “I Maestri dissero: è scritto 15 (Deuteronomio 1): ‘Le loro colpe ricadranno sulle vostre teste’.”
E gli onori non sono altro che futili vanità, che allontanano l’uomo dalla sua ragione e dalla volontà del suo Creatore, oltre a fargli dimenticare i suoi obblighi. E chi riconosce [questo futile onore] lo troverà sicuramente spregevole e lo detesterà: e proverà fastidio nell’udire le lodi con le quali verrà adulato dagli altri: infatti, quando li vedrà tessere le sue lodi riguardo a qualità che egli non possiede veramente, si vergognerà e sospirerà perché non solo si ritrova privo di quelle virtù, ma ora gli affibbiano anche lodi menzognere per farlo vergognare ancora di più.
4. Trattare con rispetto ogni persona. E abbiamo imparato nelle Massime dei Padri (Pirkè Avot 4, 1): “Chi è degno di rispetto? Colui che rispetta le creature”. E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Pesachim 113b): “Da dove [impariamo] che chi sa che qualcun altro gli è superiore, perfino riguardo a un solo criterio, deve portargli rispetto? 16[…]”. E abbiamo imparato anche (Pirkè Avot 4, 15): “Saluta per primo qualunque persona”; e si diceva di Rabban Yochanan ben Zakkay (Talmud Bavli, trattato Berakhot 17a) che nessuno mai lo avesse preceduto nel saluto, neppure uno straniero al mercato.
Bisogna trattare il prossimo con rispetto sia nelle parole che nei fatti[8]. E i Maestri di benedetta memoria narrarono (Talmud Bavli, trattato Yebamot, 62b) dei 24.000 allievi di Rabbi Akiva che morirono perché non si trattavano l’un l’altro con rispetto[9] 17. E così come il disprezzo si addice ai malvagi, secondo il detto già citato (Proverbi 18, 3): “Il malvagio porta con sé il disprezzo”, allo stesso modo l’onore si addice ai giusti. Infatti, l’onore risiede tra di loro e non se ne allontana, come è detto (Isaia 24, 23): “E l’onore starà davanti ai Suoi anziani”.
Le principali componenti dell’umiltà sono ormai state spiegate. Quanto ai loro casi particolari, come sempre avviene nelle situazioni, nei tempi e nei luoghi in cui i dettagli possono variare, (Proverbi 1, 5) “Il saggio ascolterà e ne trarrà un insegnamento”.
Ed è certo che l’umiltà allontana dal cammino dell’uomo numerosi ostacoli e lo avvicina a molteplici benefici, perché chi è umile tiene in poco conto le cose di questo modo, le cui vanità non suscitano in lui nessuna invidia. Inoltre, la compagnia della persona umile è molto gradevole e gli altri lo apprezzano. Di certo non si arrabbia e non litiga mai; anzi, si comporta sempre con calma e con serenità. Felice è colui che ha il privilegio di accedere a questa virtù. E dissero (Talmud Yerushalmi, trattato Shabbat 1, 3): “Ciò di cui la saggezza ha fatto una corona per la propria testa, l’umiltà ne ha fatto un tacco per la sua scarpa”, 18 perché la saggezza tutta intera non può eguagliarne il valore 19. E questo è ovvio.
Note del traduttore:
[11] Senza avere un linguaggio comune nel quale esprimersi e intendersi, come il seguito dimostrerà.
[12] Oltre al nome di quel giudice, Baba significa anche “porta”, in aramaico. Da cui l’equivoco incorso dalla moglie.
[13] In epoca Mishnaica e Talmudica era uso corrente presso i Maestri, parlando davanti a un folto pubblico di studiosi, di avvalersi di un interprete il cui compito era quello di ripetere le spiegazioni del Maestro a voce più alta. Ovviamente, modificarne il pensiero e le spiegazioni non era per nulla legittimo, ciò che ci istruisce sulla grande umiltà di Rabbi Abba di Akko che non si offendeva davanti a simili comportamenti.
[14] Malgrado Yossef fosse più giovane di quasi tutti i suoi fratelli, il versetto precisa l’ordine delle morti (Esodo 1, 6):”Yossef morì e tutti i suoi fratelli e tutta quella generazione”.Il Talmud precisa che Yossef visse almeno dieci anni in meno rispetto a tutti i fratelli per avere agito con autorità.
[15] Il versetto dice letteralmente ‘Li nominerò capi su di voi’, ma il testo in ebraico può essere letto anche secondo la chiave suggerita dal Midrash: se il popolo segue i suoi leaders, su questi ultimi ricadono le responsabilità di eventuali errori.
[16] Per i lettori più curiosi, la risposta fornita dal Talmud si trova nel libro di Daniele (6, 4), la cui saggezza fu il motivo della sua ascesa alla corte del re Dariavesh (Dario).
[17] Si tratta della famosa epidemia che colpì gli allievi della Yeshivà di Rabbi Akiva. Diverse interpretazioni sono state date sulla natura di questa mancanza di rispetto reciproco: il Midrash (Bereshit Raba 61, 3) sembra suggerire che gli allievi si erano astenuti dall’insegnare agli altri la Torà che essi avevano imparato. Più recentemente, alcuni (si veda il Vol. 23 del Likuté Sichot dell’ultimo Rabbi di Lubavitch) hanno suggerito che discutendo di Torà ognuno fosse così convinto delle proprie ragioni da voler sempre convincere il proprio compagno di studi.
[18] Infatti è detto (Salmi 111, 10) “Il timore di Hashem è il principio della saggezza” e (Proverbi 22, 4) “L’umiltà conduce al timore di Hashem”. Quindi l’umiltà è il primo gradino della scala che conduce alla saggezza.
[19] Espressione calcata sul versetto di Giobbe (28, 17), si consulti colà tutto il passaggio.
Commento
[1] L’atteggiamento di Bava ben Buta è straordinario perché paga il male con il bene. E’ evidente che nella storia la moglie ha una capacità di comprensione minima, tanto da non poter essere ripresa dal marito per via della sua buona intenzione.
[2] Nell’esposizione di Ramchal non viene riportato, forse anche per via della sua lunghezza, l’episodio riferito ad Hillel riportato in Massekhet Shabbat (31a) sulla scommessa che due uomini fecero, su chi avrebbe fatto arrabbiare Hillel, ottenendo 400 zuzim. Uno dei due andò alla vigilia di Shabbat ponendo una serie di domande ad Hillel, che non si scompose, tanto che questo, compreso che Hillel avrebbe continuato a rispondere alle sue domande, capì di aver perso la scommessa. Il Maharshà ritiene che nella storia vi sono alcuni elementi che accrescono ulteriormente la nostra considerazione sulla umiltà di Hillel. Infatti l’uomo non entra nella sua casa, costringendolo ogni volta ad uscire, ed ogni volta chiede “chi è Hillel?”, che era estremamente famoso e conosciuto da tutti. Tutto questo, alla vigilia di Shabbat, quando avrebbe potuto dire che era impegnato in una mitzwah, e pertanto era esentato da un’altra mitzwah.
[3] La ghemarà porta altri esempi dell’umiltà di R. Abbahu, che, sapendo che R. Abba di Acco aveva dei debiti, e doveva chiedere dei prestiti, disse che R. Abba era più grande di lui nella Torah e rinunciò alla nomina a Rosh Yeshivah, cosa che gli sarebbe spettata, affinché l’altro maestro si risollevasse economicamente. Il suo dire di non essere umile è in realtà una ulteriore forma di umiltà.
[4] Il Sefer Chasidim ritiene che ricevendo degli onori in questo mondo si è penalizzati nel mondo a venire.
[5] Secondo R. Yonah nel commento al Pirqè Avot (4,17) il pensare di non potere commettere errori è da pazzi, ed è anche una dimostrazione di mancanza di timore del Cielo, perché si sarebbe dovuto sapere che è possibile sbagliare involontariamente, e si dovrebbe avere timore di ciò. Questo è riferito in modo particolare ai giudici, che devono trattenersi dall’emettere il giudizio sino a quando questo risulti essere chiaro come il sole (Shulchan ‘Arukh, Choshen Mishpat 10, 1).
[6] Allo stesso modo la ghemarà nel medesimo passo afferma che “chi abbassa se stesso, H. lo eleva”.
[7] Chiaramente, sebbene l’obbligo di riprendere il proprio prossimo ricada su tutto Israele, questo riguarda in maniera eminente chi detiene il potere, perché ha modo di influenzare le opinioni delle persone, oltre che di correggerne i comportamenti errati, prevenendo i peccati e se necessario comminando delle punizioni. Chi detiene il potere inoltre non deve solo condannare quello che vede ma deve effettuare una continua valutazione della situazione, perché è stato nominato per quello.
[8] Nella lettera del Ramban è scritto che ci si deve comportare come se ogni altra persona fosse più grande di noi ai nostri occhi.
[9] Il fatto che anche gli altri allievi non si comportassero con rispetto non fu sufficiente per salvarsi. La legge del contrappasso viene applicata sono per fare del bene al prossimo, non per danneggiarlo.