L’inizio della parashah di Bò pone una difficoltà. H. infatti ordina a Mosheh di recarsi dal Faraone, ma non spiega quale sia il senso della sua missione. Mosheh poi andrà dal Faraone e preannuncerà, a fronte del rifiuto di liberare il popolo ebraico, la piaga delle cavallette. E’ possibile che Mosheh rabbenu abbia deciso deliberatamente di minacciare il Faraone, se l’ordine non era arrivato dall’alto? I commentatori, primi fra tutti Rashì e Ramban, non sono di questo parere: il Signore aveva comunicato a Mosheh quello che avrebbe dovuto dire, ma la Torah, come spesso avviene, si è espressa in modo conciso, senza ripetere il discorso.
Questa lettura però si lega male con le primissime parole della parashah (Shemot 10,1): “Va dal Faraone, poiché ho reso ostinato il suo cuore e quello dei suoi servi”. Se il senso è “vai dal Faraone e avvertilo”, l’indurimento del cuore è un motivo per non andare, perché l’avvertimento sarà certamente vano!
Questa domanda può gettare una luce differente su questi brani della Torah. Quando si parla dell’indurimento del cuore, non si intende dire che H. si intromette nelle decisioni del Faraone. Quello che H. fa è piuttosto condurre il Faraone a rendere la propria posizione ogni volta più difficile da difendere. All’atto pratico lo scopo che Mosheh Rabbenu persegue è quello di comportare, come conseguenza delle proprie azioni, l’indurimento del cuore del Faraone. Questo procedimento risulta molto chiaro nella piaga della peste, in quanto è detto (Shemot 9, 15-16): “Chè se Io ora avessi steso la Mia mano e avessi colpito te e il tuo popolo con la peste, saresti già sparito dalla terra. Ma Io ti ho risparmiato precisamente per mostrarti la Mia potenza, e per rendere noto il Mio nome su tutta la terra”. H. dice al Faraone, avrei potuto sterminare gli egiziani, e non vi sarebbe stato alcun impedimento all’uscita del popolo ebraico dall’Egitto, ma non è quello l’unico scopo che viene perseguito: c’è anche quello del riconoscimento di H. da parte del Faraone, e la proclamazione del Nome divino nel mondo intero.
Lo schema è sempre il medesimo: tutto porterebbe il Faraone a mandare via il popolo ebraico, ma H. gli lascia sempre una scappatoia per pensare liberamente, che è quella che il Faraone sistematicamente imbocca…
L’indurimento del cuore viene descritto nelle dieci piaghe in due maniere differenti: nelle prime cinque piaghe è frutto di un processo interno al Faraone e spontaneo, mentre nelle ultime cinque è il Signore ad indurire il cuore del Faraone. Questo schema non risponde in maniera perfetta a quanto il testo ci dice; infatti alla fine della parashah di Waerà (Shemot 9,34) è scritto “Vedendo il Faraone che erano cessati la pioggia e la grandine e i tuoni, riprese a peccare e rese ostinato il suo cuore e così fecero i suoi servi”. Ma, pochi versi dopo, il Signore rivela a Mosheh di essere stato Lui ad indurire il suo cuore. Rimane tuttavia un famoso problema: se è H. la causa di questo atteggiamento, perché punire per questo il Faraone? Resh Laqish nel Midrash (Shemot Rabbà 13) afferma “tu hai indurito il tuo cuore, ecco che Io aggiungo impurità alla tua impurità”. La privazione del libero arbitrio è l’inizio della punizione. Gli ultimi rifiuti del Faraone non portano quindi a punizioni ulteriori, perché il suo rifiuto non è frutto di una libera scelta, ma di una costrizione. Se è così, perché continuare a minacciare il Faraone, se ormai non sarà più lui a ribattere? Potremmo mettere in dubbio persino la legittimità delle prime piaghe, visto che H., prima ancora che queste iniziassero, ha detto (Shemot 7, 3-4) “Io renderò ostinato il cuore del Faraone e moltiplicherò i Miei segni di potenza e i Miei prodigi nella terra d’Egitto. Il Faraone non vi ascolterà e Io stenderò la Mia mano sull’Egitto…”. Ma, se intendiamo che il Faraone non fu privato del libero arbitrio in modo assoluto, avendo sempre la possibilità di decidere, sebbene la pressione divenga sempre più insostenibile, la dinamica del testo diviene molto più fluida, e le difficoltà esposte in precedenza cadono.
Più in generale, possiamo dire che questo schema, che H. non si intromette nelle decisioni umane, ma in qualche modo le influenzi, sia abbastanza frequente nella Torah. Ad esempio, all’inizio della parashah di Beshallach (Shemot 14,1-2), in maniera quantomeno sorprendente, “Il Signore parlò a Mosè dicendo così: Dì ai figli di Israele che retrocedano per accamparsi in faccia a Pì ha-Chirot fra Migdol e il mare…”. A livello strategico, si tratta di una mossa certamente provocatoria. Gli egiziani, infatti, incoraggiati da questo atteggiamento, si buttano all’inseguimento dei figli di Israele, certi del loro disorientamento. Subito dopo è scritto “Io renderò indurito il cuore del Faraone, cosicché li inseguirà…”.
Per il popolo ebraico troveremo la stessa dinamica: uscito dall’Egitto i figli di Israele non vennero condotti nel paese dei Filistei, sebbene si trattasse della strada più breve, perché l’assistere a delle guerre li avrebbe presto ricondotti in Egitto.
H. conosce l’animo umano e l’animo del popolo. Un popolo di schiavi non può trasformarsi istantaneamente in un popolo di guerrieri. Questa trasformazione, che porterà poi il popolo ebraico a conquistare la terra di Israele richiederà molto tempo e fatica. Ma anzitutto H. deve fare in modo che il popolo ebraico non torni sui propri passi, e per questo opta per una strada più lunga, che li conduca a fare la scelta giusta.