La parashah di Waichì è una fonte importante per le regole della avelut, poiché l’ultima parte del testo si occupa della morte e della sepoltura di Ya’aqov avinu. All’inizio della parashah da un’espressione di Ya’aqov si desume l’atteggiamento che si deve tenere nei confronti dei defunti (Gen .47,29) “we’asita ‘immadì chesed weemet – dammi una prova di bontà e di fedeltà”, che i chakhamim hanno letto come “chesed shel emet”, una bontà disinteressata nei confronti dei defunti, perché questi non avranno modo di ricambiarci per quanto faremo loro.
Alla fine della parasha leggiamo: “Giuseppe si gettò sulla faccia di suo padre, pianse su di lui e lo baciò” (Gen. 50,1). La Torah descrive i momenti successivi alla morte di Ya’aqov, e scrive che Yosef baciò il padre.
Questo fatto è abbastanza strano, perché i libri di halakhah più recenti (ad es. il Chayè Adam, Hilkhot Avelut 157,8), ed anche l’esperienza di tutti i giorni, mostrano come sia sconsigliato, se non vietato, baciare i morti. Come ha fatto allora Yosef a baciare il padre? Fra l’altro, perché lo ha baciato solo Yosef e non gli altri fratelli? Forse perché è vietato farlo, o perché Yosef sapeva qualcosa che i fratelli non sapevano?
Questa regola ha avuto nel tempo una evoluzione significativa. Nel testamento di R. Yehudah il Chassid è scritto “non baci uno dei suoi figli morti, perché non gliene rimarrà neanche uno”. Nel Sefer Chassidim (cap. 236) è scritto che il bacio ad un figlio morto accorcia i giorni degli altri figli. Sicuramente in questi testi sono presenti elementi mistici, derivanti dall’idea che nel bacio (sulla bocca) vi sia una trasmissione di forze vitali, in questo caso fra vivi e morti, e pertanto in questo gesto è celato un pericolo. C’è pertanto da stupirsi come abbia fatto Yosef a baciare il padre dopo la sua morte.
Il Pitchè teshuvah (Yoreh de’ah 394,1) riporta le parole del Sefer Chassidim, e spiega che il divieto riguarda esclusivamente i figli, ma per gli altri parenti è permesso. Dello stesso parere è il Ma’avar Yabboq.
Il Chidà (Devash lefì, ma’arekhet nun, 24) riporta il commento alla Torah di R. Efraim, secondo cui è pericoloso baciare i morti, perché “il defunto si affeziona a lui e lo porta nel suo mondo, all’infuori del padre e della madre”. Secondo questa opinione pertanto è vietato baciare tutti i defunti all’infuori dei genitori. Per questo motivo Wate’atzar hamaghefah (p.25) scrive che si deve evitare di dire al defunto di portarlo con sé, o stringergli le mani come se si volesse andare assieme a lui. Tzeror ha-mor (parashat Waichì), basandosi sul Midrash Rabbà, e riportando l’episodio in cui Avraham si alza “me’al penè metò – dal volto del suo morto”, all’inizio della parashah di Chayè Sarah, scrive persino che c’è un obbligo di baciare i propri genitori dopo la loro morte, perché questo bacio è una forma di kavod nei confronti del genitore.
Un’altra fonte significativa è nel Talmud Yerushalmì nel trattato di Shabbat (5,10), dove R. Yehoshua, dopo la morte di R. Eli’ezer, toglie i tefillin, lo bacia e afferma che la scomunica che gli era stata comminata è decaduta. La fonte parallela nel Talmud Bavlì (Sanhedrin 68a) omette invece questo fatto.
E’ possibile però anche sostenere che lo status di Ya’aqov sia particolare, perché secondo la ghemarà in Ta’anit (5b) “Ya’aqov nostro padre non è morto”. R. Bechayè spiega che non si deve intendere questa espressione letteralmente, perché la Torah descrive l’imbalsamazione e la sepoltura di Ya’aqov; il senso è invece che l’anima dei giusti che non hanno raggiunto un certo livello di santità ritorna alla propria radice, ed una volta salita non scende nuovamente, mentre l’anima Ya’aqov, che aveva raggiunto questo livello, sale e scende, e questa caratteristica riguarda solo alcuni individui eccezionali. Il bacio di Yosef pertanto potrebbe quindi derivare dalla condizione particolare di Ya’aqov. Dello stesso avviso l’Or ha-chayim, che ritiene che il defunto sia una fonte di impurità tale da danneggiare l’anima di chi lo bacia, e non vi sia pertanto nessuna deroga, neanche per i genitori.