L’umiltà e le sue componenti
http://www.anzarouth.com/2010/12/mesilat-yesharim-22-umilta.htmlTratto dal sito www.anzarouth.com
Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduz. e note di Ralph Anzarouth
Abbiamo già messo in evidenza quanto l’orgoglio sia riprovevole, ciò da cui si deduce quanto sia lodevole l’umiltà[1]. Invece ora spiegheremo più in dettaglio l’umiltà e grazie questa spiegazione anche l’orgoglio risulterà più chiaro[2].
La regola dell’umiltà richiede che la persona non abbia alcun tipo di considerazione per sé stessa[3], ciò che è l’esatto contrario dell’orgoglio; e le conseguenze che ne derivano sono opposte a quelle dell’orgoglio.
E se approfondiamo l’argomento, scopriamo che l’umiltà dipende dal pensiero e dall’azione. Perché dapprima l’uomo deve essere umile nella sua mente e poi si comporterà come gli umili. Ma se non fosse umile nella sua mente e volesse esserlo nei fatti, egli sarebbe solo uno degli spregevoli finti modesti di cui abbiamo parlato e che fanno parte degli ipocriti, la peggiore categoria esistente[4].
E ora spiegheremo queste componenti:
Pensare con umiltà significa riflettere e verificare il fatto che la gloria e gli onori non si addicano alla propria persona[5]; e ancora meno l’ergersi al di sopra del prossimo – e questo, sia per via dei propri difetti sia per ciò che è già riuscito a compiere.
Per via dei propri difetti – è ovvio, perché qualunque sia il grado di perfezione cui un uomo è giunto, questi non sarà mai immune dall’avere molte mancanze, che si tratti di difetti naturali, di tare familiari e nel parentado, di eventi passati o di azioni compiute, (Ecclesiaste 7, 20): “Non c’è in Terra un uomo giusto che faccia del bene senza mai commettere un peccato”. Tutti questi sono difetti che non lasciano all’uomo nessuna possibilità di esaltarsi, nemmeno quando si tratta di una persona ricca di qualità, perché queste mancanze sono sufficienti per oscurarle. E ciò che più incita l’uomo a esaltarsi e a inorgoglirsi è l’intelligenza, perché è una virtù personale propria all’individuo e situata nella più nobile delle sue facoltà: l’intelletto. Ed ecco, non esiste nessun saggio che sia infallibile e che non debba mai imparare dagli insegnamenti altrui – e a volte perfino dai propri allievi[6]. E se così stanno le cose, come può insuperbirsi per la propria intelligenza? Invece chi ragiona correttamente[7], anche se ha il privilegio di essere un illustre e autorevole saggio, in verità se osserva e riflette scoprirà di non avere nessun motivo di inorgoglirsi e insuperbirsi, perché in fondo l’intellettuale che ha più conoscenze degli altri non fa altro che mettere in atto quella che è la sua dote naturale, come un volatile che si alza in volo perché questa è la sua natura e come un toro che tira con forza perché questa è la sua indole: allo stesso modo, chi è intelligente lo deve alla propria natura; e se chi non si trova al suo stesso livello di intelligenza avesse avuto la stessa predisposizione intellettuale – sarebbe ora intelligente come lui. E dunque non c’è di che insuperbirsi e inorgoglirsi. Piuttosto, chi possiede una grande saggezza deve insegnarla a chi ne ha bisogno, come disse Rabbi Yochanan ben Zakkay (Massime dei Padri 2, 8): “Se hai studiato molta Torà, non te ne fare un merito, perché è per questo che sei stato creato[8]“. Se è ricco, che si rallegri della propria situazione; e su di lui incombe l’obbligo di aiutare i demuniti. Se è forte, deve aiutare i deboli e soccorrere gli oppressi. A cosa ciò assomiglia? Ai domestici che servono in una casa: ognuno di loro è adibito a una incombenza specifica e deve svolgere le sue mansioni secondo le istruzioni, allo scopo di completare tutti i lavori della casa e le sue necessità; e veramente non c’è qui nessun motivo di orgoglio 1.
Note del traduttore:
[1] Questo passaggio rammenta concetti simili esposti nellaLettera di Ramban a suo figlio.
Commento
[1] Nel cap. 11 il Ramchal aveva già notato quanto fosse difficile acquisire l’umiltà, tanto che R: Pinchas ben Yair nella baraità l’aveva elencata fra le ultime middot.
[2] Nonostante il tema dell’orgoglio sia stato affrontato ampiamente nel cap. 11, il Ramchal vede la necessità di tornarci in questo capitolo.
[3] Questo discorso vale anche relativamente allo studio, perché l’uomo è stato creato per questo. Pertanto, per quanto si possa avere studiato, R. Yonah scrive che non si è fatto neanche un millesimo del dovuto. E’ simile ad una persona che estingue un debito. Forse la loderemo per questo? Quindi tuttalpiù si potrà essere consapevoli di come si è agito, ma non vorrà essere onorati per questo. Ruach Chayim (4,41) scrive che l’umiltà non consiste unicamente nel sopportare le umiliazioni, ma principalmente nella considerazione che si ha di se stessi. Si deve pensare di essere inferiore anche alla persona meno dotata del mondo, perché, sebbene lui sia saggio, forse non si è sforzato a sufficienza in relazione alle predisposizioni di cui è stato dotato, mentre l’altro forse, pur avendo raggiunto risultati nettamente inferiori, forse ha profuso uno sforzo molto maggiore. Anche questo discorso cela però un pericolo al proprio interno: potrebbe essere usato infatti per allontanarsi dal servizio divino, proprio per via della propria incapacità. Questo è uno degli stratagemmi dello yetzer ha-rà: l’umiltà infatti deve tenerci lontani dall’esercizio del potere, ma nell’ambito della Torah ciascuno deve essere esigente con se stesso al massimo grado. La ghemarà in massekhet Sotah (22a) condanna chi è arrivato all’orahah e non apre la bocca. Questa non è una forma di modestia, perché se i suoi maestri hanno ritenuto che dovesse dare delle istruzioni, questo è il suo compito, ed il metterlo in pratica non è di certo una forma di superbia.
[4] In massekhet Sotah (22b) si mette in guardia da coloro che somigliano ai Farisei, perché “le loro azioni sono come Zimrì, e chiedono la ricompensa di Pinechas”.
[5] Il conferimento di onori è uno dei più grandi impedimenti per il raggiungimento della sapienza e per il servizio divino.
[6] R. ‘Aqiva Igher scrisse al figlio di non aver mai chiamato nessuno allievo, Infatti non era possibile determinare chi avesse imparato maggiormente da chi.
[7] Sebbene il Ramchal porti anche delle giustificazioni testuali per quanto sta dicendo, il solo corretto ragionamento sarebbe sufficiente.
[8] Il Ramchal si discosta da molti rishonim nella spiegazione della Mishnah, perché questi intendevano che non ci si deve gloriare del proprio studio, perché non si sta facendo altro che saldare un debito.