Con l’arrivo di Biniamin in Egitto la famiglia di Yosef finalmente si ricompone, ad esclusione di Ya’aqov, ed i fratelli, prima ancora che Yosef si riveli, si trovano a tavola insieme. Nel corso del pasto Yosef fa dai doni ai fratelli, uguali per tutti tranne che per Biniamin, che riceve il quintuplo degli altri (Gen. 43,34): “Giuseppe da parte sua fece loro delle offerte; quella di Beniamino fu cinque volte superiore a quella di tutti gli altri”.
Questo numero è casuale? La risposta la troveremo nella parashah di Waygash, quando Yosef, dividendosi dai fratelli in vista del loro ritorno in Eretz Israel, nuovamente farà loro dei regali (Gen. 45,22): “a tutti diede una muta di abiti per ciascuno a Beniamino trecento monete d’argento e cinque mute di abiti”. Anche qui torna il numero cinque. Evidentemente non è un caso.
In fondo è naturale che Yosef mostri una preferenza nei confronti di Biniamin, essendo figlio della stessa madre, e non avendo preso parte alla vendita di Yosef. Ma, nonostante tutto, ci saremmo aspettati da Yosef, che tanto aveva patito per via della gelosia dei fratelli, proprio a causa di un vestito, un atteggiamento differente.
La sensazione è che gli atti di Yosef siano calcolati sino al minimo particolare. Forse Yosef intende alludere a qualcos’altro, di cui non siamo a conoscenza?
I Chakhamim in massekhet Meghillah (16a) svelano il segreto: “è possibile che quel giusto inciampi per via della stessa cosa per cui ha sofferto? Ha detto R. Biniamin bar Yefet: ha accennato che in futuro sarebbe uscito da lui un figlio, che sarebbe uscito di fronte al re con cinque abiti regali, come è detto (Ester 8,15): “Mordechay uscì dal cospetto del re con l’abito regale, azzurro e bianco, e con una grande corona d’oro, e un manto di bisso e di porpora”. Con i propri doni Yosef quindi intende riferirsi ad un futuro molto lontano, ma non è chiaro cosa possa interessare a Biniamin, nel palazzo reale, di quanto sarebbe avvenuto di lì a mille anni.
Un insegnamento altrettanto strano lo troviamo in masshekhet Sanhedrin (93a), circa l’incontro fra Rut e Bo’az nell’aia (Rut 3,15): “Bo’az disse ‘porgi il fazzoletto che hai addosso e tienilo teso’; le misurò sei misure di orzo, gliele diede e se ne andò in città”. La ghemarà si interroga circa l’espressione “shesh se’orim” – letteralmente “sei orzi”. Intende dire sei spighe d’orzo? Non sarebbe da Bo’az. Sei se’in di orzo, equivalenti a 48 kg? Una donna non potrebbe prenderli. La ghemarà ritiene che Bo’az voglia alludere a qualcos’altro, che da Rut discenderanno sei figli, David, il Mashiach, Daniel, Chananiah, Mishael e ‘Azariah, che saranno benedetti con sei benedizioni. Nuovamente, che interesse Ruth ha di sapere ciò proprio ora?
Per i discendenti di Beniamino il cinque torna due volte, per quelli di Rut torna il sei. Come dobbiamo intendere questa costante?
Nel primo libro di Samuele (1Sam. 16,18), quando il re Shaul, discendente di Biniamin, era in cerca di un suonatore di cetra vengono descritte le sei caratteristiche di David, discendente di Yehudah e di Rut: “Ecco, ho visto un figlio di Isciai di Bet Lechem che è esperto sonatore, giovane forte e valoroso, avvezzo alle battaglie, buon parlatore, bello di aspetto, e il Signore è con lui”. Secondo la ghemarà, ad ogni espressione che veniva pronunciata su David, Shaul diceva “anche mio figlio Yehonatan è così”, ma quando udì l’ultima, che il Signore era con lui, rimase atterrito, perché Yehonatan non aveva tale caratteristica.
L’incontro fra la tribù di Biniamin e quella di Yehudah ruota intorno al cinque e al sei. La ghemarà ritiene che questa vicinanza di H. comporti che “la halakhah segua David in ogni caso”. Questo non significa che David non possa sbagliare. Ma anche quando sbaglia, la halakhah va secondo la sua opinione. Il caso emblematico è quello di David e Batsheva, per il quale David soffrirà grandemente, per via della morte del primo figlio e della ribellione di Avshalom. Ma d’altro canto H. accettò questa unione, perché il secondo figlio di David e Batsheva, Shelomò, era amato da H. Anche quando David commette un errore, c’è sempre un lieto fine. Shaul non era così: anche lui sbagliò, durante la guerra contro gli amaleciti, ma questo gli costò il regno.
David aveva ereditato questa attitudine da Yehudah. Yehudah ebbe due grosse colpe, la vendita di Yosef, determinata da una sua proposta, e l’episodio di Tamar. In entrambi i casi, le cose andarono per il meglio: Yosef divenne vicere, e da Perez, figlio di Yehudah e Tamar, sarebbe discesa la dinastia regale.
Da dove deriva questa capacità dei discendenti di Yehudah, di tramutare le circostanze negative in un bene? Dalla dote di saper riconoscere le proprie colpe. La caduta in questo modo diventa un punto di svolta, l’inizio di una risalita, che condurrà a vette mai raggiunte in precedenza. Sia David che Yehudah riconoscono il peccato commesso e vengono perdonati. Nella guerra contro gli amaleciti Shaul utilizza una strategia totalmente differente: inizialmente dice di aver fatto esattamente quanto H. aveva comandato; poi, incalzato da Shemuel, continua a cercare delle giustificazioni, sino a quando Shemuel gli chiede perché non avesse dato ascolto ad H., ed anche in questo caso nega. Shemuel allora gli comunica la perdita del regno, e solo allora Shaul riconosce di aver peccato, per timore del popolo. Il re Shaul era molto modesto, ma gli mancava quella dose di sfrontatezza che i discendenti di Yehudah avevano. Yosef, attraverso i suoi doni, vuole dire a Biniamin, che nel trattato di Shabbat (55b) viene annoverato fra i quattro che non hanno mai peccato, di fare molta attenzione, perché ogni sua colpa non sarebbe stata una occasione di riscossa, come invece sarebbe avvenuto per i discendenti di Yehudah.