Come valutare la devozione
http://www.anzarouth.com/2010/10/mesilat-yesharim-20-valutare-devozione.html
Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduz. e note di Ralph Anzarouth
Adesso bisogna spiegare come valutare questa devozione; ed è un argomento molto importante. E sappi che questa valutazione è l’atto più difficile[1] della devozione, perché richiede molta finezza e perché lo Yetzer [Hara, l’istinto malvagio] si intromette nella questione con grande facilità. Perciò questa attività porta con sé un grande pericolo: lo Yetzer può allontanare molte cose positive, come se fossero negative.
E può anche attirare numerosi peccati, come se si trattasse di grandi Mitzvot. Ed è vero che nessuno può effettuare con successo questo bilancio senza le tre condizioni seguenti: avere un cuore che sia il più retto dei cuori; avere come unico intento quello di procurare soddisfazione al Signore benedetto, rigettando assolutamente qualsiasi altra ambizione; e sorvegliare la propria condotta con molta attenzione[2], cercando di migliorarla ai fini di questo obiettivo.
E dopo [avere soddisfatto queste condizioni], l’uomo deve affidare il suo fardello a Hashem 1, poiché allora si dirà di lui (Salmi 84, 6-12): “Felice è l’uomo che ripone la sua forza in Te […]. Hashem non rifiuterà il bene a chi si comporta con sincerità”. Ma chi non rispetta una di quelle tre condizioni non raggiungerà la perfezione e può quindi inciampare e cadere, cioè: se le sue intenzioni non sono pure e raffinate, oppure se omette di vigilare su un aspetto che può essere tenuto sotto controllo, oppure se nonostante tutto questo egli non ripone la propria sicurezza nel Creatore, è difficile che costui non incontri il fallimento. Ma se rispetta adeguatamente quelle tre condizioni (purezza di pensiero, vigilanza e fiducia in Hashem), allora potrà veramente procedere sicuro e non gli arriverà alcun male. Ed è ciò che disse Chana nella sua profezia (Primo Libro di Samuele 2, 9): “[Hashem] proteggerà i piedi dei Suoi devoti”. E allo stesso modo [il re] David disse (Salmi 37, 28): “E non abbandonerà i Suoi devoti: essi saranno protetti per l’eternità”.
Ciò che bisogna capire è che le questioni di devozione non vanno decise a prima vista: bisogna invece riflettere alle conseguenze dell’azione, perché a volte un atto può sembrare positivo, ma è d’obbligo rinunciarvi perché le sue conseguenze sarebbero negative, al punto che chi lo facesse sarebbe un peccatore e non un devoto.
È noto l’esempio di Ghedalia ben Achikam, la cui devozione era tale da non voler giudicare negativamente Yishmael [ben Netanya] né accettare alcuna maldicenza e perciò rispose a Yochanan ben Kareach (Geremia 40, 16): “Tu menti a proposito di Yishmael!” Quale fu la conseguenza? Egli provocò la propria morte, la dispersione degli Ebrei e lo spegnimento dell’ultimo barlume. Il testo gli attribuì perfino l’uccisione delle persone che vennero ammazzate, come se le avesse uccise lui, come dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Niddà 61a), riguardo al versetto (Geremia 41, 9): “Tutti i cadaveri delle persone che [Yishmael] uccise per via di Ghedaliahu[3]”. E anche il Secondo Tempio [di Gerusalemme] fu distrutto a causa di un simile atto di devozione, che non era stato valutato secondo giusti criteri. Riguardo alla vicenda di Bar Kamtza 2, dissero: “I saggi pensarono di offrire [ugualmente il vitello] sull’altare, per mantenere la pace con le autorità. Disse loro Rabbi Zecharia ben Avkulas: “[Se così facessimo,] la gente direbbe che le bestie mutilate possono essere offerte sull’altare!” I saggi pensarono allora di uccidere [Bar Kamtza], affinché non potesse andare a completare la delazione. Disse loro Rabbi Zecharia ben Avkulas: “[Se così facessimo,] la gente direbbe che chi mutila una bestia consacrata [per l’altare] merita la pena di morte!”. Comunque sia, quel malvagio andò a completare la sua delazione contro gli Ebrei. Venne il generale 3 e distrusse Gerusalemme. A questo riguardo disse Rabbi Yochanan: “L’umiltà di Rabbi Zecharia ha distrutto la nostra casa, bruciato il nostro palazzo [il Tempio] e ci ha esiliati tra i popoli[4]“.
Abbiamo dunque visto che [prima di agire] non basta valutare se si tratti di un atto di devozione: bisogna anche soppesare bene tutte le conseguenze possibili, finché si potrà giudicare con certezza quale opzione sia preferibile: l’azione o l’inazione. La Torà ha comandato (Levitico 19, 17): “Rimprovera il tuo prossimo”; e quante volte succede che qualcuno rimprovera i peccatori in un luogo o in un momento in cui le sue parole non vengono ascoltate, facendo sì che essi aumentino la loro malvagità e profanino il nome di Hashem mutando in crimine il loro peccato. In situazioni di questo tipo, l’unica attitudine che si addice alla devozione è il silenzio. Come dissero i nostri Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Yebamoth 65b): “Così come è una Mitzvà dire qualcosa che verrà accettato[5], allo stesso modo è Mitzvà non dire ciò non verrà accettato[6]“.
Note del traduttore:
[1] Citazione da Salmi 55, 23.
[2] Si veda l’integralità dell’episodio di Kamtza e Bar Kamtza nella nostra traduzione di questo passaggio del trattato di Ghittin 55-57.
[3] Tito il malvagio, che poi divenne imperatore.
Commento
[1] Il Ramchal chiama questa valutazione “melakhah qashah”. Questo tipo di valutazione in realtà è simile a quello descritto nel terzo capitolo, relativamente alla zehirut, con la differenza che in quel caso il metro di valutazione era chiaro, perché stabilito dallo Shulkhan ‘Arukh e dai libri dei poseqim, che affrontano i vari casi e decretano come comportarsi. Per la chasidut, trattandosi invece di azioni “lifnim mishurat ha-din” al di là della legge, la valutazione è molto più complicata, perché è affidata unicamente al cuore e all’intelletto del chassid, e la possibilità di errare è nettamente superiore.
[2] Questa riflessione sulla propria condotta costituisce la zehirut che è nella chassidut.
[3] La storia di Ghedaliah è narrata nel cap. 40 del libro di Geremia. Il re degli Ammoniti aveva mandato Ishma’el ben Netaniah per uccidere Ghedaliah, e Yochanan ben Qareach voleva colpirlo, e Ghedaliah glielo impedì, accusandolo di mentire, e provocando poi la morte di coloro che erano con lui. Ghedaliah di certo non avrebbe dovuto dare ascolto a Yochanan, ma avrebbe dovuto avere maggiore attenzione ed evitare di mangiare assieme ad Yshma’el, cosa che gli sarebbe stata fatale.
[4] Se R. Zekhariah si fosse comportato con maggiore fermezza, e non avesse avuto timore di quanto avrebbero detto le persone, quando avrebbe avuto modo di comportarsi diversamente, il Bet ha-miqdash non sarebbe stato distrutto.
[5] Rashì riferisce questa affermazione alla mitzwah della Tochakhah; il Maarshà spiega che la Torah usa il termine amitekha “il tuo prossimo nelle mitzwot”, che accetterà l’avvertimento.
[6] In questo caso infatti, trattandosi di una mitzwah e non di un obbligo, è meglio che chi pecca lo faccia involontariamente piuttosto che volontariamente.