Nella Parashat Wayishlach leggiamo dell’incontro fra Ya’aqov e Esaù. Informato dai messaggeri che il fratello veniva nella sua direzione con quattrocento uomini, non conoscendo l’animo di questi il Patriarca si prepara -commenta Rashì- in tre modi: invia doni a Esaù (doròn), prega H. per la propria salvezza (tefillah), ma predispone il suo accampamento anche nell’eventualità di una guerra (milchamah). Dinanzi a una minaccia proprio il rapporto fra aiuto Divino e difesa materiale è problematico in ogni tempo.
E’ lecito, sotto il profilo della Halakhah, introdurre armi all’interno del BHK, il luogo della Tefillah per eccellenza? E’ ovvio che non si parla di situazioni in cui il pericolo è tangibile e immediato. Lo Zohar (P. Nassò, f. 127b) testimonia di un fatto accaduto durante le persecuzioni dei Romani per cui “i chaverim (compagni di studio) si radunarono nel Bet Midrash armati di spade e con la lancia in mano”: si trattava in quel caso di difendere R. Shim’on bar Yochay ricercato dal regime che lo voleva mettere a morte ed era stato costretto a riparare in una grotta. Qual è la norma, invece, in situazioni “tranquille”?
A questo quesito dà un Responsum Rav Shlomoh Goren (Resp. Terumat ha-Gòren, I, n. 35). Rav Goren è stato Rabbino Capo dello Stato d’Israele in contemporanea con Rav ‘Ovadyah Yossef dal 1973 al 1983 e precedentemente era stato Rabbino Capo di Tzahal. Quanto allo status delle armi si discute in una Mishnah del trattato Shabbat (63a). E’ noto che di Shabbat è proibito trasportare oggetti per la strada, a meno che questi non siano riconducibili alle categorie degli abiti (malbush) o degli ornamenti (tachshit). Una persona abituata a uscire con la spada ha la facoltà di farlo anche di Shabbat? Mentre R. Eli’ezer lo consente, perché considera l’arma un ornamento, per i Chakhamim infrangerebbe al divieto: la spada è per essi niente altro che un biasimo (ghenày) da evitare. E’ infatti scritto in Yesha’yahu che le armi sono destinate in futuro a essere annullate: “E spezzeranno le loro spade per farne falci e le loro lance per farne vomeri: un popolo non leverà più la spada contro l’altro e non impareranno ulteriormente a fare la guerra” (2,4). La Halakhah viene stabilita secondo l’opinione della maggioranza che proibisce per questa ragione il trasporto di armi di Shabbat (Shulchan ‘Arukh Orach Chayim 301,7).
Anche quanto al nostro problema Rav Goren si esprime in termini negativi. La fonte del divieto di portare armi nel Bet ha-Kenesset è il versetto della Torah che parla dell’uccisione di Zimrì e della Midianita da parte di Pinechas nipote di Aharon. I due avevano compiuto un tremendo affronto che richiedeva una reazione immediata. La Torah scrive che Pinechas “si levò di mezzo all’assemblea (‘edah) e prese in mano una lancia” (Be-midbar 25,7). Di quale assemblea si trattava? Commenta il Talmud (Sanhedrin 82a) che con il termine ‘edah si intende il Sinedrio che fungeva, come è noto, anche da Casa di Studio (Bet Midrash). Se Pinechas lasciò lo studio per imbracciare la lancia significa che non l’aveva portata con sé nella Casa di Studio. Per quale ragione? Perché nella Casa di Studio e nella Casa di Preghiera non si introducono armi. Questa è la Halakhah (Shulchan ‘Arukh Orach Chayim 151,6 sulla base dell’Orchot Chayim). Qual è la motivazione? “La Tefillah allunga la vita dell’uomo, mentre il coltello l’accorcia”. Sia detto per inciso, è questa una delle motivazioni che vengono riportate anche a proposito del divieto di realizzare l’Altare con pietre squadrate mediante il ferro, perché così facendo “brandiresti la tua spada su di esso e lo profaneresti” (Shemot 20,22 e Rashì ad loc.).
C’è però nel Tanakh un’altra fonte in parte contrastante. In 1Shemuel 21 si racconta che David, inseguito dal re Shaul, si era rifugiato nel santuario di Nov. Non aveva portato armi con sé e chiese al kohen Achimelekh se ne avesse. Il kohen gli rispose di avere a disposizione solo la spada di Goliat il Filisteo, che era conservata nel santuario “avvolta in un panno” (v. 10). In apparenza, scrive Rav Goren, questo versetto contraddice quanto è stato già detto. In realtà, argomenta, esso non costituisce una prova del permesso di portare armi in luogo sacro, per due motivi: 1) la spada di Goliat non era nuda, bensì avvolta in un panno; 2) la spada di Goliat era lì depositata semplicemente come trofeo in ricordo del miracolo dell’abbattimento del gigante. Rav Goren evince però che in caso di necessità ci si può basare su questa fonte per permettere di introdurre l’arma nel Bet ha-Kenesset a condizione che essa sia riposta in una custodia che non la renda visibile e che la custodia non sia semplicemente la fondina o la guaina abituale dell’arma, proprio come la spada di Goliat che era collocata in un semplice panno: per contro, la custodia abituale di un oggetto è come l’oggetto stesso.
Quali sono i casi in cui si reputa necessario portare l’arma con sé, all’infuori del pericolo di vita di cui si è già parlato? Una volta che lasciando l’arma all’esterno del Bet ha-Kenesset per la durata della Tefillah essa non resti adeguatamente protetta da furto o manomissione. In tal caso il soldato, la guardia giurata o il poliziotto hanno la facoltà di introdurla con sé, purché sia coperta come si è detto. E’ a questo tipo di eccezioni che si riferiva il compilatore della Mishnah nel riportare anche le opinioni minoritarie come quella di R. Eli’ezer sul trasporto dell’arma di Shabbat. In casi estremi possiamo seguire il suo parere e considerare l’arma un semplice capo di vestiario e consentire a chi la indossa di tenerla con sé. Non ci resta che pregare affinché si verifichi presto ai nostri giorni la profezia di Yesha’yahu, si arresti ogni forma di violenza, non si debba più ricorrere alle armi e H. mantenga per noi la Sua promessa: “metterò la pace sulla terra” (Wayqrà 26,6).