La parashah di Toledot dedica molto spazio allo scavo di pozzi da parte dei servi di Ytzchaq. Perché i pozzi sono tanto centrali nella vita di Ytzchaq? Siamo testimoni della violenta lite fra i pastori di Gherar e i pastori di Ytzchaq circa la proprietà dei pozzi, e a chi spettasse l’acqua, ma è molto meno comprensibile quanto i Filistei fanno dei pozzi scavati ai tempi di Avraham: li chiusero riempiendoli di terra (Bereshit 26,15). Cosa li infastidiva nei pozzi di Avraham? Una possibilità, di strettissima attualità, è che a infastidirli fossero i loro nomi, per mezzo dei quali Avraham intendeva diffondere il nome di H. nel paese, cosa che loro, idolatri, non potevano tollerare.
Per questo Ytzchaq “scavò di nuovo i pozzi che avevano scavato al tempo di suo padre Abramo e che dopo la morte dei lui i Filistei avevano chiuso, ed assegnò ad essi i nomi che aveva dato loro suo padre”. Tanto era l’odio dei Filistei che, per vanificare quanto intendeva fare Avraham, erano disposti a privarsi di un bene prezioso come l’acqua! Così capiamo perché Ytzchaq si affatica a scavare nuovamente quei pozzi e attribuire loro gli stessi nomi che aveva dato Avraham. Ma all’ennesimo litigio, sul quarto pozzo, Beer Sheva, avviene un significativo cambiamento, perché Avimelekh re dei Filistei passa a più miti consigli, riconoscendo che il Signore è con Ytzchaq, e stringendo con lui un patto. Ytzchaq non poteva sperare di meglio, perché non c’è una santificazione del nome divino più grande di questa. In realtà la storia aveva assunto una piega differente già a partire dal terzo pozzo, Rechovot, così chiamato perché (Ber. 26,22) “ora il Signore ci ha fatto largo e potremo prosperare nel paese”. H. infatti apparve a Ytzchaq dicendogli di non temere, e subito dopo arrivò il riconoscimento da parte di Avimelekh.
La manifestazione della presenza divina presso l’acqua l’abbiamo incontrata già in precedenza nel libro di Bereshit, anzitutto con Hagar, ancora prima della nascita di Ytzchaq e Ishma’el, quando fuggì da Sarah. Hagar chiamò il pozzo “Beer laChay roì – pozzo del Vivente che vede” (Ber. 16,14). Quando Eli’ezer arrivò in Eretz Israel assieme a Rivqah, incontrarono Ytzchaq di ritorno da Beer laChay roì. Che faceva Ytzchaq lì? La Torah non ce lo svela, ma ci dice che si stava recando in campagna, e sappiamo che stava andando a (Ber. 24,63) “lasuach basadeh lifnot ‘arev” – ‘parlare’ in campagna sul volgere della sera”. Con chi stava parlando, se era solo? La risposta ce la fornisce il libro dei Salmi (102,1): “orazione dell’afflitto, essendo angosciato, e spandendo il suo lamento davanti a D.”, ed i Maestri nella ghemarà (Berakhot 26b) hanno stabilito che la sichah non è altro che la tefillah. La tefillah di Ytzchaq presenta significative analogie, il momento della giornata e la vicinanza all’acqua, con quella che Eli’ezer pronunciò prima di incontrare Rivqah (Ber. 24,11): “fece inginocchiare i cammelli presso il pozzo d’acqua verso sera, sull’ora in cui le donne escono ad attingere l’acqua”. La tefillah assume un ruolo centrale nella vita di Ytzchaq, e questo è certamente determinato dalla legatura: nessuno fra i patriarchi è stato dipendente da H. quanto Ytzchaq in quegli attimi drammatici. Perciò, a differenza di Avraham e Ya’aqov, Ytzchaq deve pregare per ottenere la discendenza, come leggiamo all’inizio della parashah, e la rassicurazione divina giunge solo dopo la nascita di Ya’aqov ed ‘Esav. A differenza di Avraham e Ya’aqov, Ytzchaq oltre a costruire un altare scava un pozzo: accanto al fuoco dell’altare è presente l’acqua viva. E presso un pozzo viene stretto il patto con Avimelekh, così come a suo tempo aveva fatto Avraham, che gli aveva dato il nome di Beer Sheva “ki sham nishbe’ù shenehem – perché lì giurarono entrambi”. Ytzchaq, dopo la morte di Avraham, scava nuovamente il pozzo, chiuso dai Filistei, e gli dà nome “Shiv’ah – sette”. Perché proprio sette? La Torah non ci spiega il motivo, ma quando Avraham strinse il patto con Avimelekh, offrì sette agnelle, come testimonianza che era stato lui a scavare il pozzo. Ytzchaq scavò quattro pozzi, tre chiusi dai Filistei, ed uno, Rechovot, ex-novo. Il nome di Beer Sheva, fino al giorno d’oggi, testimonia la collaborazione costruttiva fra padre e figlio, per rendere confortevole Eretz Israel e diffondere il nome di H. nel mondo. Il Ramban (Ber. 26,20) si chiede perché la Torah dedichi tanto spazio a questo tema, e dice che vi è un accenno a quanto avverrà in futuro: il pozzo di acqua viva è la casa del Signore. Dice infatti il profeta Geremia (2,13) “hanno abbandonato Me, fonte di acqua viva”. La storia dei primi due Santuari è costellata da litigi e guerre (rappresentati dai nomi ‘Eseq e Sitnà, alterco e contestazione), ed il Ramban, come spesso fa commentando il libro di Bereshit, ci dice che “ma’aseh avot siman labanim – l’opera dei padri è un segno per i figli”, la narrazione delle storie dei patriarchi preannuncia quale sarà il futuro dei loro discendenti, ma il terzo Bet ha-miqdash, che verrà costruito presto nei nostri giorni, rappresentato dal nome Rechovot, non sarà caratterizzato da tutti questi malumori, perché tutti i popoli serviranno H. in piena armonia.