Mi è capitato in epoca recente di occuparmi di patologie del tallone. Un argomento affascinante. Il tallone è un osso relativamente voluminoso che regge tutto il peso del nostro corpo e in quanto tale è esposto a calcificazioni secondarie che possono essere molto fastidiose. A partire dagli anni ’80 è stata introdotta, a quanto pare con grandi benefici e bassa invasività, la Extracorporeal Shock Wave Therapy, ovvero la terapia delle cosiddette “onde d’urto”. Si tratta di onde acustiche ad alta energia che, una volta applicate ai tessuti malati, ne sollecitano la guarigione.
Unico inconveniente: possono essere dolorose, in quanto il tallone dispone di importanti terminazioni nervose che inevitabilmente risentono del trattamento. Non è un caso che in altre culture il tallone simboleggia la fragilità umana. Ma nella cultura ebraica è diverso.
והיה עקב תשמעון את המשפטים האלה ושמרתם ועשיתם אתם ושמר ה’ אלקיך לך את הברית ואת החסד אשר נשבע לאבותיך
E sarà quale ricompensa del fatto che avrete ascoltato queste Leggi e le avrete mantenute e fatte, H. tuo D. manterrà per te il patto (berìt) e la bontà (chessed) che aveva giurato ai tuoi Patriarchi.
La Parashah odierna è l’unica in tutta quanta la Torah a prendere il nome da una parte del corpo. Non il cuore, né il cervello, né le mani godono di questo privilegio, bensì il tallone. Sebbene la parola ‘eqev (variante di ‘aqèv) è adoperata nel primo versetto come avverbio traslato con il significato di “quale ricompensa di”, il suo senso letterale è inequivocabile. E non è la prima volta che essa appare nella Torah. Quando già nel libro di Bereshit si parla delle promesse divine a Itzchaq è detto che gli sarebbero state date עקב אשר שמע אברהם בקלי וישמר משמרתי מצותי חקותי ותורתי “quale ricompensa del fatto che Avraham aveva ascoltato la Mia voce” (26,5) e aveva osservato ante litteram tutte le Mitzwòt della Torah (Yomà 28a). Andrà ulteriormente notato che anche in questo versetto, come nel nostro, ‘eqev è strettamente collegato al verbo shama’ (ascoltare) e al verbo shamar (conservare, mantenere): con la sola differenza che in Bereshit questo verbo indica l’osservanza dei precetti da parte dei Patriarchi, mentre nella nostra Parashah designa anche l’impegno da parte di H. a realizzare nei nostri confronti determinate promesse fatte ai Patriarchi.
Che cosa c’entra il tallone con l’idea di ricompensa? Sh.R. Hirsch nota che il tallone è la parte del nostro corpo che noi non vediamo, perché è messa posteriormente. Allo stesso modo noi dobbiamo fare il nostro dovere di ebrei senza avere la ricompensa sotto gli occhi, cioè senza curarcene. La ricompensa a D. piacendo ci sarà, ma non deve essere lo scopo primario del nostro impegno. Né abbiamo il diritto di “soppesare” le Mitzwòt per cercare di stabilire a priori quali valgano più di altre allo scopo di intraprendere esclusivamente ciò che è “più redditizio”. La Torah non è un’impresa commerciale! Noi non conosciamo i suoi segreti e pertanto non siamo in grado di stabilire se una certa Mitzwah che abbiamo trascurato costituisca per noi un ostacolo insormontabile all’adempimento di un’altra Mitzwah. Né possiamo distinguere fra le Mitzwòt verso il prossimo e quelle verso H. Possiamo solo dire che nella Torah ogni singolo elemento è indispensabile alla realizzazione del tutto, così come ogni singolo organo è indispensabile alla sopravvivenza del corpo umano. Quel corpo umano che è sostenuto dal tallone con tutta la sua carica di sensibilità.
Il Midrash Devarim Rabbà (3,1) interpreta la stessa immagine in un altro modo. Il tallone che non si vede rappresenta la vita futura. Se i frutti di determinate Mitzwòt si godono già in questo mondo, è solo al culmine della nostra esistenza, nel mondo a venire che ne vedremo la ricompensa. E’ il caso di chi aiuta il povero, onora i genitori o compone una lite: il beneficio della buona azione è immediato per i destinatari, ma il premio non viene ripagato agli autori immediatamente. Altrimenti si rischierebbe un rapporto di do ut des che con la Divinità non ha senso.
C’è una terza possibile spiegazione. Ogni parola ebraica riceve un senso non solo dalla sua accezione nel vocabolario, ma anche dalle associazioni legate al valore numerico delle sue lettere. ‘Eqev ha il valore numerico di 172, pari alle parole che costituiscono i 10 Comandamenti (Ba’al ha-Turim)! Un altro Midrash (Devarim Rabbà 3,11) paragona il dono dei Dieci Comandamenti al caso di un re che aveva sposato una matrona mediante due pietre preziose. Ma la ricca signora ne perdette una. Il re le disse: Custodisci (shimrì) l’altra. Allo stesso modo il S.B. contrasse matrimonio con il popolo d’Israel mediante la duplice espressione נעשה ונשמע, “faremo e ascolteremo”. Disgraziatamante la prima, “faremo”, fu perduta allorché “fecero” il Vitello d’Oro. Disse loro Moshe: avete perduto il na’asseh, custodite (shimrù) il nishmà’: Shemà’ Israel!
Ma c’è ancora una quarta “onda d’urto”. E’ scritto: עקב ענוה יראת ה’, “la ricompensa dell’umiltà è il timore di H.” (Mishlè 22,4). Se noi consideriamo tuttavia anche qui la parola ‘eqev nel suo senso letterale di tallone, comprendiamo il senso profondo del versetto. Il tallone è la parte più bassa e umile del corpo, ma è quella che lo sostiene completamente. Il No’am Elimelekh spiega che l’umiltà è la base di tutta la qedushah esattamente come il tallone sostiene tutto il corpo (cfr. Ghereshonide ad v., Yerushalmì Shabbat 1,3; Messillat Yesharim, fine cap. 22). Il senso dell’invito iniziale della nostra Parashah è dunque chiaro: E sarà che se ascolterete queste leggi con l’umiltà di un tallone (’eqev) e le manterrete… “H. tuo D. manterrà per te il patto (berìt) e la bontà (chessed) che aveva giurato ai tuoi Patriarchi”. L’umile è colui che non attribuisce nulla ai suoi meriti personali. I nostri Maestri spiegano che colui che ascrive tutto a suo merito finirà per vedere i suoi successi attribuiti ad altri, mentre chi attribuisce tutto al merito degli altri vedrà i suoi successi ascritti a lui (Berakhot 10). La Torah ci dice che se così faremo le promesse rivolte ai Patriarchi saranno realizzate in noi come se fossero nostre.