http://www.anzarouth.com/2010/04/mesilat-yesharim-11-fattori-integrita.html
Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduz. e note di Ralph Anzarouth
Commento di Rav Somekh
E parleremo ora delle unioni proibite, che sono anch’esse uno dei problemi più spinosi, secondi in gravità [soltanto] alla truffa, come dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Baba Batra 165a): “La maggioranza [commette il peccato] della truffa e una minoranza [quello] delle unioni illecite“. E dissero (Midrash Shemot Rabba 16, 2): “Dice il Santo, benedetto Egli sia: non dire: ‘Poiché mi è vietato unirmi a questa donna, posso abbracciarla e non è peccato; posso accarezzarla e non è peccato; posso baciarla e non è peccato’. Dice il Santo, benedetto Egli sia: così come al nazireo che ha fatto voto di non bere vino è vietato mangiare uva fresca, uva secca, cibi che contengono vino e tutto ciò che deriva dalla vite, allo stesso modo ti è vietato toccare in qualsiasi modo la donna che non ti appartiene13. E chiunque tocchi una donna che non gli appartiene attira la morte su di sé ecc.“.
E vedi quanto questa affermazione sia severa, poiché compara questo divieto a quello del nazireo, cui la Torà ha vietato tutto ciò che ha a che fare con il vino, nonostante la radice del divieto porti unicamente sul bere il vino in sé. La Torà ha insegnato in questo modo ai Maestri come fare una siepe intorno alla Torà riguardo a un argomento sul quale è stato concesso loro di sancire un decreto: che imparino dal caso del nazireo a vietare oltre al divieto di base anche tutto ciò che gli assomiglia. Dunque la Torà ha fatto riguardo a questa Mitzvà del nazireo proprio ciò che ha incaricato i Maestri di fare riguardo a tutte le altre Mitzvot, affinché si sappia che questa è la volontà del Signore e che quando ci vieta qualcosa bisogna dedurre dal divieto esplicito anche ciò che gli assomiglia ed è vietato implicitamente.
E in linea con questo principio, riguardo a questo argomento delle unioni illecite proibirono tutto ciò che è assimilabile alla depravazione o che gli assomiglia, qualunque sia il senso interessato, che sia in atto, con la vista, con la parola, con l’udito e perfino con il pensiero. E ora citerò prove di tutto ciò dalle parole dei Maestri di benedetta memoria.
[Il divieto riguardante] l’azione, cioè il contatto fisico, l’abbraccio e così via è già stato spiegato in precedenza nel testo citato e non è necessario dilungarsi.
[Sul divieto riguardante] la vista, commentando il versetto (Proverbi 11, 21) “Da mano a mano, il malvagio non resterà impunito“, dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Berachot 61a): “Chi fa passare soldi dalla propria mano alla mano di lei per poterla guardare non verrà assolto dal giudizio del Ghehinom“. E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Shabbat 64a-64b): “Perché gli Ebrei di quella generazione14 hanno avuto bisogno di espiare? Perché hanno nutrito i loro occhi di nudità (…). Disse Rav Sheshet: perché il testo [della Bibbia] ha citato i gioielli esterni insieme a quelli interni? Per dirti che colui che guarda il mignolo di una donna è come se guardasse ecc.“. E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Avodà Zarà 20a): “Il versetto (Deut. 23, 10): ‘E ti asterrai da ogni cosa malvagia’ richiede che l’uomo non guardi una donna di bell’aspetto, perfino se è nubile; e quella sposata, che non la guardi nemmeno se è sgraziata“.
E per quanto riguarda parlare con una donna, le Massime dei Padri dicono espressamente (Avot 1, 5): “Chi si dilunga a chiacchierare con la donna fa del male a sé stesso“.
E riguardo all’ascoltare, dissero (Talmud Bavli, trattato Berachot 24a): “La voce della donna è nudità“.
E sempre riguardo alle perversioni compiute con la parola e con l’udito, cioè chiacchierare di cose perverse o ascoltarle, [i Maestri] già strillarono come una gru affermando (Talmud Yerushalmi, trattato Terumà 1, 6) che nel versetto (Devarim 23, 15): “E che non si trovi in te una parola15 turpe” il termine ‘turpe’ indica un’espressione volgare. E dissero (Talmud Bavli, trattato Shabbat 33a): “A causa del peccato del linguaggio volgare, molti guai e decreti ostili si susseguono e molti giovani Ebrei muoiono“, che D-o ce ne scampi. E dissero anche (ibid.): “A chi si esprime con volgarità vengono aperte le profondità del Gehinnom16“. E dissero anche (ibid.): “Tutti sanno perché una sposa si reca alle sue nozze, ma a chi si esprime volgarmente e lo dice […], perfino un decreto di settant’anni di bene verrà trasformato in male“. E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Chaghigà 5b): “Al momento del giudizio, si ricorda all’uomo perfino una frase frivola rivolta alla moglie“. E anche riguardo l’ascolto di queste volgarità, dissero (Talmud Bavli, trattato Shabbat 33a): “Anche chi ascolta e tace, come è detto (Prov. 22, 14) ‘La collera di Hashem piomberà lì17.”
Quindi tutti i sensi devono essere puliti dalla perversità e da ciò che ne deriva. E se qualcuno ti suggerisse che le affermazioni [dei Maestri] riguardo alle volgarità hanno come unico fine quello di ammonire le persone e allontanarle dal peccato – e che esse furono indirizzate solo a chi è animato da bollenti spiriti, che a furia di parlarne suscitano in sé stessi la tentazione; e [aggiungesse] che riguardo a chi si esprime così per scherzo la cosa non ha importanza e non bisogna preoccuparsene, rispondigli: queste sono le affermazioni dello Yetzer Hara18, poiché i Maestri di benedetta memoria citarono un versetto esplicito in favore della loro tesi (Isaia, 9, 16): “Perciò Hashem non si rallegrerà per i Suoi giovani […] perché sono tutti adulatori, malfattori e ogni bocca pronuncia oscenità“. Ecco, questo testo non ha parlato né dell’idolatria, né delle unioni proibite né dello spargimento di sangue, bensì dell’adulazione, della maldicenza e del linguaggio volgare, tutti peccati che si commettono con la bocca e con l’uso della parola. Ed è a causa di [questi peccati] che fu sancito il decreto (ibid.) “Hashem non Si rallegrerà dei Suoi giovani e non avrà pietà dei Suoi orfani e delle Sue vedove“. Ma la verità19 è quella sostenuta dai nostri Maestri di benedetta memoria, che la volgarità è proprio la nudità del discorso. Ed è per via della perversione che essa è stata vietata, alla pari di tutte le altre forme di perversione oltre all’atto in sé: infatti, pur non comportando una pena di Karet20 o una pena capitale comminata dal tribunale, [anche le forme derivate della perversione] sono in sé vietate, oltre al fatto che provocano e conducono a [trasgredire] il divieto principale, come nell’esempio del nazireo evocato nel Midrash e esposto in precedenza.
Riguardo al pensiero, già dissero [i Maestri] all’inizio della nostra Beraita, che il versetto (Devarim 23, 10): “E ti asterrai da ogni cosa malvagia” [significa che] (Talmud Bavli, trattato Avodà Zarà 20b): “L’uomo deve evitare di avere pensieri equivoci di giorno per non rendersi impuro di notte“. E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Yoma 29a): “Il pensiero del peccato è peggio del peccato“, che è poi un versetto esplicito (Proverbi 15, 26): “Il pensiero malvagio è un abominio per Hashem“.
Abbiamo dunque discusso due famiglie di gravi peccati, le cui numerose partizioni aumentano le probabilità che le persone soccombano, anche per via della forte tendenza del cuore dell’uomo a esserne tentato.
E il terzo livello riguardo ai desideri, dopo truffa e unioni proibite, è quello dei divieti alimentari: che si tratti proprio delle cibi impuri oppure di alimenti che li contengano, di carne e latte mischiati, dei grassi proibiti, del sangue, del cibo cucinato dagli idolatri e dei loro utensili, del loro vino (destinato all’idolatria e non) o degli altri alimenti e bevande il cui consumo è vietato, riguardo a tutti questi la virtù dell’integrità richiede una grande precisione. E bisogna farsi forza, sia perché il cuore è tentato dai cibi gustosi, sia perché i divieti di mescolare (e altri simili) comportano dei costi, sia perché i loro dettagli sono numerosi quanto le loro regole, note e spiegate nei libri dei Poskim21. E chi indulge scegliendo l’opzione più permissiva laddove [i Maestri] si pronunciarono per quella più rigorosa non fa altro che danneggiare sé stesso; e così nel Sifra22, riguardo al versetto (Vaykrà 11, 43): “Non vi impurificatevi con essi, ciò che vi renderebbe impuri” dissero (Sifra Sheminì 167): “Se vi renderete impuri con essi, alla fine voi stessi diventerete impuri“, cioè: gli alimenti vietati immettono letteralmente l’impurità nel cuore e nello spirito dell’uomo finché la santità del Signore benedetto se ne esce e si allontana da lui. Ed è ciò che dissero anche nel Talmud Bavli (trattato Yoma 39a): “Non si legga l’espressione ‘diventerete impuri’ bensì ‘diventerete ottusi’,” perché il peccato ostruisce il cuore dell’uomo, togliendogli la vera conoscenza e lo spirito d’intelletto che il Santo, benedetto Egli sia dona ai devoti, come dicono le Scritture (Proverbi 2, 6): “Poiché l’Eterno dà la saggezza“. E così costui rimane alle stato animale, grezzo, immerso nella materialità di questo mondo. E in questo aspetto i cibi vietati sono i più gravi di tutti i divieti, poiché penetrano letteralmente nel corpo umano e diventano parte del suo organismo. E per insegnarci che non sono vietati solo gli animali impuri e gli insetti, ma che anche i cibi impuri della categoria permessa fanno parte delle cose impure, disse la Torà (Levitico 11, 47): “Per distinguere tra l’impuro e il puro“. E qui viene la spiegazione dei nostri Maestri di benedetta memoria (Sifra Sheminì): “Non c’e bisogno di precisare [la distinzione] tra un asino e una vacca: allora, perché è stato detto ‘tra l’impuro e il puro’? [Per distinguere] tra [la vacca] che è impura per te e quella che è pura per te; tra [quella] cui è stata tagliata la maggior parte della trachea e [quella] cui è stata tagliata solo] la metà. E qual è la differenza tra la maggior parte e la metà? Lo spessore di un capello“. Queste sono le parole dei Maestri. E hanno concluso il loro discorso dicendo “E qual è la differenza tra la maggior parte e la metà? Lo spessore di un capello“, per mostrarci quanto sia meravigliosa la forza di una Mitzvà: è letteralmente lo spessore di un capello che separa impurità e purezza. E chiunque abbia un cervello nel cranio considererà i divieti alimentari come cibi velenosi o alimenti cui si è mescolato un ingrediente velenoso: infatti, se succedesse una cosa simile, l’uomo sarebbe così compiacente al punto da permettersi di mangiarne? [Al contrario], se avesse un dubbio qualunque, perfino un piccolo sospetto, certamente non lo prenderebbe sottogamba, perché in questo caso verrebbe considerato un demente. Come abbiamo già appurato, anche i divieti alimentari sono un vero veleno per il cuore e per l’anima: e quindi, quale persona dotata di ragione può avere un’attitudine permissiva laddove c’è il rischio di una trasgressione? E a questo riguardo è scritto (Proverbi 23, 2): “E se sei una persona ragionevole ficcati un coltello in gola“.
E ora parliamo dei peccati che sono soliti manifestarsi con la frequentazione delle persona e con la loro vita sociale, per esempio: l’offesa, l’umiliazione, il consiglio destinato a ostacolare il cieco23, la delazione, l’odio e la vendetta, i giuramenti, le bugie e la profanazione del Nome di D-o. Perché chi può ritenersi esente [da tutti] questi? Chi può ritenersi scevro da queste colpe? Infatti, le loro partizioni sono molto numerose e sottili e un grande sforzo è necessario per trattarle con cautela.
L’offesa consiste principalmente nel dire una cosa che [indirettamente] metta il prossimo in imbarazzo e a maggior ragione nel tenere discorsi espliciti o fare qualcosa che lo imbarazzi; ed è ciò che dissero [i Maestri] (Talmud Bavli, trattato Baba Metzia 58b): “Se si tratta di una persona che ha fatto Teshuvà, che non gli si rinfacci ‘Ricorda le tue azioni di un tempo’ […] Se malanni lo colpiscono, che non gli si parli come gli amici di Giobbe si rivolsero a lui (Giobbe 4, 7): “Pensaci bene: c’è forse un innocente che sia scomparso?” […] Se qualcuno in sella a un asino chiede del fieno, che non gli si risponda “Vai da quel tale che vende fieno”, sapendo che invece quel tale non ha mai venduto fieno in vita sua“. E dissero i Maestri di benedetta memoria (ibid.): “L’inganno verbale è più grave della truffa ecc.“.
E a maggior ragione [l’offesa è grave quando commessa] in pubblico, nel qual caso è insegnato esplicitamente (Massime dei Padri 3, 11): “Colui che fa impallidire il prossimo in pubblico non ha parte nel Mondo Futuro“. E disse Rav Chisda (Talmud Bavli, trattato Baba Metzia 59a): “Tutte le porte [della preghiera] sono chiuse, tranne le porte della [preghiera di chi ha ricevuto un’]offesa“; e disse Rabbi Eliezer (ibid.): “Il Santo, benedetto Egli sia, punisce tutte [le colpe] per mezzo di un inviato, a eccezione dell’offesa“; e dissero (ibid.): “Davanti a tre [categorie di persone] la cortina non è chiusa e una di loro è [colui che ha ricevuto un’]offesa“. Perfino quando si tratta di compiere una Mitzvà la Torà dice (Levit. 19, 17) “Devi certamente rimproverare il prossimo” e i Maestri dissero (Talmud Bavli, trattato Arachin 15b) “Forse [la Torà comanda questa Mitzvà] perfino quando [il rimprovero] lo fa arrossire24? No, perché il testo aggiunge ‘e non assumerai un peccato a causa sua’.” Tutte queste citazioni ti fanno capire quanto siano estese le ramificazioni di questo avvertimento e quanto sia severa la punizione [di chi lo trasgredisce].
Quanto a fornire consigli, abbiamo imparato (Torat Cohanim su Vaykrà 19, 14): “Non porre ostacoli davanti a un cieco – cioè davanti a chi è [come un] cieco rispetto a una determinata cosa25. Se ti chiede se la figlia di un tale può [sposare] un Cohen, non rispondere che le è permesso, quando invece le è vietato. Se ti chiede un consiglio, non dargliene uno che non gli conviene; e non consigliargli di vendere il suo campo e comprarsi un asino, per poi aggirarlo e prenderne possesso al posto suo. Forse pretenderai che gli stai dando un buon consiglio, ma la verità è riposta nel cuore, come è detto (Vaykrà 19, 14) ‘E avrai timore26 del Tuo Signore’.” Abbiamo dunque imparato che sia quando potrebbe esserci un interesse personale nell’argomento, sia quando si è del tutto estranei alle questione – si è obbligati a informare colui che viene a chiedere un consiglio esponendogli la verità chiara e limpida. Vedi dunque che la Torà ha capito bene l’animo degli imbroglioni: infatti, non stiamo parlando degli stolti che danno un consiglio la cui malvagità è nota e evidente, bensì di malfattori astuti, i cui consigli prodigati agli altri sono in apparenza veramente favorevoli a colui che li riceve, ma hanno conseguenze che non sono a suo favore, anzi sono per lui un danno, dal quale il [cattivo] consigliere trarrà un vantaggio. Perciò dissero [i Maestri] (vedi supra) “Forse pretenderai: ‘Gli sto dando un buon consiglio’, ma la verità è riposta nel cuore, ecc.”. E quante volte la gente cade in questi peccati giorno dopo giorno, sospinti con vigore dall’attrazione per il guadagno. E la gravità della punizione per questi [peccati] è già stata spiegata (Deut. 27, 18): “Maledetto colui che inganna il cieco nel cammino“.
Invece, questo è il dovere dell’uomo retto: quando qualcuno viene a chiedergli un consiglio, deve indicargli quello che avrebbe scelto per sé stesso, prendendo in considerazione solamente il bene della persona venuta a consultarlo escludendo qualunque altra finalità, vicina o lontana che sia. E quando gli capita di intravedere in quel consiglio un danno per sé stesso, se può fornirne la prova a chi gli chiede consiglio, che lo faccia; e se ciò non fosse possibile, che si tiri fuori da questa discussione e che non gli dia nessun consiglio, o perlomeno nessun consiglio la cui conseguenza non sia favorevole al suo interlocutore. Questo vale quando chi chiede consiglio non ha cattive intenzioni, perché invece in questo caso è certamente una Mitzvà ingannarlo e la Torà dice (Salmi 18, 27): “Ti mostri contorto con chi è perverso27.” Chushay l’archita ne è la prova28.
La gravità della delazione e della maldicenza è nota e le loro diramazioni sono numerose, al punto che i nostri Maestri di benedetta memoria decretarono, in un frase che abbiamo già citato: “E tutti [cadono nel tranello] della polvere di Lashon Harà” e dissero (Talmud Bavli, trattato Arachin 15b) “Che esempio si può dare della Lashon Harà? Per esempio, chi risponde ‘Dove si può trovare fuoco, se non a casa di quel tale29?” O chi dice del bene di qualcuno davanti ai suoi detrattori30 e tutte le cose di questo tipo: anche se sembrano cose di poco conto, ben lontane dalla malalingua, in realtà fanno parte della polvere [di maldicenza]. La regola generale dice che lo Yetzer possiede molti canali. Ma tutto ciò che può risultare dannoso o imbarazzante per il prossimo, che sia [detto] in sua presenza o meno, è maldicenza, la quale è detestata e aborrita dall’Eterno e della quale è detto (ibid.): “Chi racconta maldicenze è come se rinnegasse i fondamenti [dell’Ebraismo]“. E c’è un versetto (Salmi 101, 5): “Cancellerò colui che sparla del prossimo di nascosto“.
Anche all’odio e alla vendetta è difficile che il cuore astioso degli esseri umani possa sottrarsi, perché l’uomo è molto sensibile alle offese ricevute e ne soffre enormemente. E invece la vendetta è più dolce del miele, perché è il suo unico conforto. Perciò fa atto di forza e di coraggio quando trova la forza di rinunciare a ciò che la sua indole gli impone [di fare], prende il sopravvento sul proprio carattere e non odia chi ha suscitato l’odio in lui, non coglie l’occasione di vendicarsi, non prova rancore e anzi dimentica e cancella tutto dal proprio cuore come se la cosa non fosse mai successa. E ciò è facile solo per gli angeli al servizio [di Hashem], che non possiedono questi tratti caratteriali, ma non lo è per chi si trova in un corpo umano, che viene dalla terra. E malgrado ciò è un decreto del Re e la Torà lo rivela con testi chiarissimi che non hanno bisogno di interpretazioni (Vaikrà 19, 17): “Non odiare il tuo prossimo in cuor tuo“, (ibid., 18) “Non ti vendicare e non serbare rancore verso i figli del tuo popolo“. E si sa cosa siano la vendetta e il rancore, cioè: la vendetta consiste nell’evitare di fare del bene a chi non ha voluto farne a noi, o che ci ha già fatto del male31. Il rancore consiste nel ricordare a qualcuno a cui stiamo facendo del bene il torto che ci ha fatto lui in passato. E infatti lo Yetzer incita il cuore e cerca sempre di lasciare perlomeno una traccia o un ricordo di questa cosa, e se non può lasciare un ricordo di taglia cerca di lasciarne almeno uno piccolo, per esempio dicendo all’uomo: se proprio vuoi dare a costui ciò che lui ti ha negato quando ne hai avuto bisogno, almeno non darglielo con un volto amichevole; o se proprio non vuoi fargli del male, almeno non fargli un grande favore o non dargli un grande aiuto; o se proprio vuoi essergli di grande aiuto, almeno non farlo davanti a lui o non riallacciare i precedenti rapporti di amicizia con lui: se lo hai perdonato in modo che non ti veda più come un nemico, che ciò ti basti e se proprio vuoi ripristinare l’amicizia, perlomeno non dimostrargli una così viva simpatia come quella di una volta. E attraverso metodi come questo lo Yetzer si sforza con grande impegno di indurre in tentazione il cuore delle persone: per questo motivo la Torà ha imposto una regola che le include tutte (ibid.): “Ama il tuo prossimo come te stesso“, cioè come se si trattasse di te stesso senza nessuna differenza, te stesso senza eccezioni, senza trucchi e sotterfugi, esattamente come te stesso.
Quanto ai giuramenti, benché chi non è uno sprovveduto eviti generalmente di pronunciare il nome di Hashem invano e ancor più quando sotto forma di giuramento, ciononostante bisogna tenere conto anche degli aspetti collaterali: benché essi non siano i più gravi, è bene che chi vuole essere integro li eviti, come dissero (Talmud Bavli, trattato Shevuot 36a): “Disse Rabbi Eliezer: [l’espressione] ‘no’ è un giuramento e [l’espressione] ‘sì’ è un giuramento’. Disse Rava: ‘Questo si applica al caso in cui si raddoppia [l’espressione] dicendo ‘no no’ o dicendo ‘sì sì’.” E riguardo al versetto Vaykrà 19, 36) “Il peso del Hin deve essere giusto” dissero anche (Talmud Bavli, trattato Baba Metzia 49a): “Che il tuo ‘no’ sia giusto e anche il tuo ‘sì’ sia giusto32.”
E anche la menzogna è una pessima malattia che si è enormemente diffusa tra la gente. Essa comporta comunque diversi livelli. Ci sono le persone per le quali la bugia è un vero e proprio mestiere: essi inventano fandonie di sana pianta per alimentare le chiacchiere della gente o per fingersi al corrente di molte cose e acquisire così una fama di esperto. Di loro fu detto (Proverbi 12, 22): “Le labbra bugiarde sono un abomino per Hashem” e anche (Isaia 59, 3): “Le vostre labbra hanno profferito menzogne, le vostre lingue hanno pronunciato ingiustizie“. E i nostri Maestri di benedetta memoria hanno già sancito che (Talmud Bavli, trattato Sotà 42a) “Quattro gruppi non ricevono il volto della Presenza Divina” e uno di essi è quello dei bugiardi.
Note del traduttore:
[13] Si impara dal Salmo (128, 3): “Tua moglie è come una vigna prosperosa”.
[14] La generazione della guerra di Midian (Roth).
[15] Letteralmente “una cosa”, ciò che significa anche “una parola”.
[16] Si consulti Isaia 22, 14 con il commento di Rashi.
[17] Cioè Hashem sarà in collera non solo con chi dice volgarità ma anche con chi le ascolta senza protestare, si veda Rashi.
[18] L’istinto malvagio.
[19] A differenza di quanto sostenuto dallo Yetzer, si veda poche righe più in alto.
[20] Il Karet è una punizione celeste che consiste in una morte prematura, si veda il Talmud Bavli, trattato di Kritut.
[21] I nostri Maestri, quando prendono decisioni giuridiche riguardo all’attuazione dei precetti della Torà.
[22] Il Sifra è un commento al libro del Levitico, redatto dal Maestro Rav in epoca Talmudica.
[23] Si tratta del divieto di suggerire un consiglio fuorviante, si veda Vaykrà (19, 14).
[24] Dalla vergogna. La conclusione della Ghemarà indica che l’obbligo di rimproverare il peccatore non include i casi in cui quel rimprovero lo farebbe vergognare (letteralmente: alterare il suo volto, cioè arrossire e impallidire).
[25] Quindi si tratta di un’immagine, usata per esporre il divieto di proporre qualcosa a qualcuno che per via di una sua debolezza farà necessariamente la scelta sbagliata.
[26] E poiché Hashem conosce i segreti dei nostri cuori, non si può tendere un trabocchetto a chi non può evitarlo e sperare di farla franca.
[27] Per approfondimenti su questo versetto si veda la discussione nel Talmud Bavli, trattato Meghillà 13b.
[28] Chushai diede un consiglio sbagliato a Avshalom, salvando così la vita al re Davide (Secondo Libro di Samuele 15, 32 e seguenti).
[29] Una risposta come questa, che oltre a dare indicazioni pertinenti sul luogo in cui si può trovare il fuoco in quel momento, implica anche che a casa di quel tale il fuoco è sempre acceso e i banchetti conviviali sono frequenti. Questa implicazione, del tutto inutile ai fini della risposta, trasgredisce il divieto di Lashon Harà. Per più dettagli sulla polvere di Lashon Harà si veda il capitolo 9 delle Leggi della Maldicenza.
[30] I quali detrattori sicuramente coglieranno la palla al balzo per dirne del male. Quindi anche chi dice del bene può a volte essere responsabile di una Lashon Harà.
[31] Ebbene sì, non solo fare del male al prossimo ma anche privarlo di un bene dovuto è una forma di vendetta ed è vietata.
[32] Hin o hen significa sì, da cui il gioco di parole che supporta l’invito dei nostri Maestri di benedetta memoria a dire sempre il vero, in ogni sì e in ogni no.
Commento al capitolo 11 (seconda parte)
E a maggior ragione ci si astenga dal grave peccato dei prestiti ad interesse: Colui che presta a interesse non parteciperà alla risurrezione dei morti perché mostra che il successo economico è per lui più importante della fratellanza. Il Ben Ish Chay di Baghdad (anno II, P. ‘Eqev, introd.) spiega che questa Mitzwah ci è stata data per ricordarci che tutto il denaro che possediamo in realtà appartiene a D., il quale fissa precise condizioni di utilizzo da parte nostra.
E parleremo ora delle unioni proibite: Contrariamente all’opinione corrente, che vede nel sesso il principale impulso trasgressivo nell’uomo, per Ramchal le trasgressioni a sfondo sessuale sono seconde solo al furto. Va ricordato che l’ebraismo, a differenza del cristianesimo, non considera l’istinto riproduttivo un male assoluto. Secondo lo Zohar mentre l’istinto del male entra nell’essere umano alla nascita, l’istinto del bene subentra con la pubertà. Il problema nasce da un uso sbagliato di questo istinto, realizzando una to’evah (lett. “abominio”: ma i maestri la spiegano con una crasi di to’eh attah bah, lett. “sbagli tu in essa” – Nedarim 51a).
Posso abbracciarla e non è peccato: Anche nella sessualità, come nel furto, lo Yetzer ha-Ra’ può fornire argomenti facilitanti per indurre a trasgredire. Di più. A differenza del furto, il cui vantaggio può anche verificarsi a distanza di tempo dall’azione trasgressiva, la sessualità comporta godimento immediato e perciò è particolarmente rischiosa. E’ la Torah stessa a insegnarci a prendere opportune precauzioni in questo campo, vietando anche quelle azioni che potrebbero essere solo preliminari a un rapporto sessuale vero e proprio. E’ quello che si chiama issur qirvah (“divieto del (semplice) approccio”), cui allude il versetto con la perifrasi “Un uomo non si accosti (lo tiqrevù) alla sua carne per scoprirne la nudità” (Wayqrà 18,6; cfr. anche v. 14), nel senso: “non farete alcunché possa accostare l’uomo a scoprire la nudità”. Secondo Maimonide questi divieti sono a tutti gli effetti di origine biblica, mentre Nachmanide ritiene che non siano differenti dalle altre siepi rabbiniche. Ramchal ricorda subito dopo che una situazione analoga si verifica nella Torah a proposito del nazireo. Sebbene lo scopo di questo voto sia semplicemente di allontanare il soggetto dal vino, la Torah stessa gli ingiunge anche di “non consumare aceto, né alcuna bevanda contenente derivati dall’uva, né mangiare acini d’uva freschi o secchi” (Bemidbar 6,3). Giova ricordare che il precetto del Nazir è stato scritto subito dopo quello relativo alla Sotah, la donna sospetta di adulterio, per insegnarci che “chiunque veda il trattamento umiliante riservato alla Sotah prenderà le distanze dal vino. C’è infatti una correlazione fra vino e intemperanza sessuale” (Sotah 2; Rashì a Bemidbar 7,2).
Perché gli Ebrei di quella generazione hanno avuto bisogno di espiare?: La Torah (Bemidbar 31) racconta che i reduci dalla guerra contro Midian avevano fatto prigioniere le donne ma non è scritto che le toccarono, eppure portarono un sacrificio espiatorio. Per quale motivo? Perché comunque le guardarono (Shabbat 64a). Ramchal elenca cinque livelli di precauzione individuale rispetto alle unioni proibite: il contatto fisico, la vista (a scopo di piacere), la conversazione, l’ascolto della voce femminile e il pensiero trasgressivo. Quest’ultimo è particolare perché, a differenza dell’azione e della parola, è molto difficile da dominare. Quanto alla conversazione Ramchal ricorda la massima dei Pirqè Avòt (1,5): “non conversare troppo con la donna”, dove peraltro è usato il termine sichah. Per sichah si intende la conversazione frivola, mentre il discorso serio, detto invece dibbur, è permesso.
E che non si trovi in te una parola turpe: Il versetto (Devarim 23,15) nel suo senso piano dice semplicemente “che non si trovi in te cosa turpe”, ma i Maestri hanno inteso davar in senso letterale, per includere nel divieto anche il linguaggio volgare. A sua volta la volgarità è considerata porta all’incontinenza sessuale e la Torah la proibisce di per sé. In Pessachim 2b si discute sul fatto che la Torah stessa, parlando degli animali che Noach aveva preso con sé nell’arca, scrive che ve ne erano di puri e altri “che non sono puri”. Avrebbe potuto dire direttamente “impuri”, ma ha preferito la perifrasi per non adoperare un aggettivo che poteva essere inteso come sconcio. Solo nei passi halakhici, dove è necessario il massimo della chiarezza, la Torah non si perita di adoperare l’aggettivo “impuro” contrapposto a “puro”. Spesso non ci rendiamo conto dell’influenza che il linguaggio ha sul comportamento e prima ancora sulla coscienza dell’individuo.
Il pensiero del peccato è peggio del peccato: 1) perché l’azione reca una soddisfazione che spegne l’istinto per qualche tempo, mentre il pensiero rimane irrisolto; 2) perché si ritiene che il pensiero non estrinsecato sia meno colpevole di un’azione estrinsecata.
Divieti alimentari: questo tipo di trasgressione non è generato da una precisa volontà di fare il male, ma semplicemente da una tendenza a facilitarsi la vita. Ramchal passa qui a parlare delle trasgressioni che si compiono con la bocca. I maestri del Midrash scrivono che il popolo di Israele è chiamato “baco di Ya’aqov” (Yesha’yahu 41,14) per dire che “come il baco ha la sua forza nella bocca, così anche la forza di Israel sta nella sua bocca” (Midrash Shochar Tov, 20). Il Ben Ish Chay di Baghdad (anno II, P. Nassò, introd.) commenta a sua volta che come il baco, nonostante la debolezza della sua carne, è in grado con la sua bocca e il suo secreto di produrre sete pregiate, così Israel, piccola nazione, ha la capacità con la sua bocca di studiare Torah e di recitare la Tefillah. Poiché questo è il compito che gli è stato assegnato, deve sempre conservare pura la bocca. Si giustificano così le numerose e complesse regole della kashrut.
E chi indulge scegliendo l’opzione più permissiva… non fa altro che danneggiare se stesso: Non si riferisce al caso in cui la Halakhah consente entrambe le opzioni, ma al caso in cui c’è un divieto e con tutto ciò si vanno a cercare permessi a ogni costo. Rav Sherqi ritiene che la ragione fondamentale per cui la Torah proibisce determinati cibi sia la volontà di creare una separazione fra Israele e gli altri popoli. Ne consegue che occorre essere rigorosi su queste norma laddove sussiste il rischio dell’assimilazione, mentre si deve invece essere più accomodanti (nei limiti della Halakhah codificata) dove un atteggiamento più rigido porterebbe a creare barriere fra Ebrei.
…cui è stata tagliata solo la metà. Solo una regolare shechitah ha la forza di togliere ogni impurità ad un animale appartenente a specie permessa e consentire la consumazione della sua carne. Le regole della shechitah sono molto minuziose e prevedono che si debba recidere la maggior parte di trachea e esofago nel caso dei quadrupedi, mentre per i volatili è sufficiente la maggior parte di uno solo dei due.
E chiunque abbia un cervello nel cranio: espressione moderna. Nelle nostre fonti si attribuisce la sede dell’intelligenza al cuore e alle reni.
…e con la loro vita sociale: Benché l’uomo sia una creatura sociale, la vita di gruppo non è esente da situazioni critiche ma è essa stessa fonte di potenziali comportamenti negativi e trasgressioni come la maldicenza, l’odio, la gelosia, l’ira, la vendetta, ecc. Dopo aver trattato delle proibizioni relative a ciò che entra nella bocca, Ramchal passa in rassegna le trasgressioni connesse con ciò che esce dalla bocca, ovvero mediante l’uso della parola. Nel widduy (confessione) di Yom Kippur quasi un quarto delle trasgressioni elencate sono commesse non con le mani, ma con la lingua.
…tranne le porte della preghiera di chi ha ricevuto un’offesa: cfr. Shemot 22,26: “e sarà che quando griderà a Me lo ascolterò perché sono misericordioso”. Anche a proposito della Honaah Ramchal cita il Talmud che enumera tutta una serie di azioni negative che non vengono perlopiù considerate trasgressioni.
…perfino quando il rimprovero lo fa arrossire?: o impallidire ed è lo stesso. I nostri Meastri hanno detto anche: “Un uomo preferisce essere gettato in una fornace ardente piuttosto che far impallidire il volto del suo prossimo in pubblico”. Lo si impara da Tamar, la nuora di Yehudah, che stava per essere messa al rogo pur di non rivelare pubblicamente di essere incinta di suo suocero, come avrebbe potuto fare (Bereshit 38, 24-25).
Se ti chiede un consiglio…: Da un lato a nessuno si chiede di preferire il bene del prossimo al proprio. Dall’altro nessuno è obbligato a dare consigli. Nel caso in cui il consiglio andrebbe a detrimento di colui che è invitato a darlo è senz’altro preferibile che risponda: “non sono in grado di consigliarti”.
Chushay l’archita ne è la prova: Chushay era amico del re David ma si era unito ad Avshalom nella sua rivolta contro il padre. Quando però i ribelli vennero a chiedergli il suo parere sulla strategia da seguire diede loro un consiglio che portò la rivolta al fallimento (2Shemuel 17,5).
Polvere di maldicenza: in ebraico: avàq leshon ha-rà’. La definizione comprende tutte le estensioni rabbiniche al divieto biblico della maldicenza, al pari della polvere che accompagna la sostanza. Un’espressione parallela è usata nell’ambito del divieto del prestito a interesse (avaq ribbit).
“Dove si può trovare del fuoco, se non a casa di quel tale?”: come dire: “in quella casa si passa tutto il tempo a cucinare!” Impariamo che non solo ciò che viene detto esplicitamente a detrimento di qualcun altro è proibito, ma anche le semplici “frecciate”…
O chi dice del bene di qualcuno davanti ai suoi detrattori: è proibito perché provoca per reazione la maldicenza di questi ultimi nei suoi confronti.
Non ti vendicare…: è però permesso alla vittima e persino raccomandato, a certe condizioni, far presente a chi lo ha offeso i termini dell’offesa perpetrata, affinché quest’ultimo si renda conto di ciò che ha fatto e abbia modo di scusarsi e riparare. Dal momento che le trasgressioni verso il prossimo non ricevono perdono se non dopo avere placato la vittima, se quest’ultima ignorasse del tutto l’offesa ricevuta metterebbe l’aggressore nella condizione di non poter fare Teshuvah e ciò sarebbe scorretto a sua volta. Lo si impara dall’episodio della maldicenza di Miriam e Aharon contro Moshe (Bemidbar 12): per quale motivo H. convoca inizialmente tutti e tre e poi prosegue rimproverando soltanto i due colpevoli? H. voleva che Moshe, ivi definito il più umile di tutti gli uomini perché non aveva badato alle offese ricevute, se ne rendesse conto al fine di agevolare la Teshuvah e il perdono Divino dei suoi fratelli (No’am Elimelekh ad loc.).
Almeno non darglielo con un volto amichevole: Dandogli l’oggetto avrei già ottemperato al divieto di vendicarmi secondo la Torah. Ramchal va qui lifnim mi-shurat ha-din, “oltre la lettera della Legge” dicendoci che ancora il fatto di astenermi da un atteggiamento amichevole nei suoi confronti dimostra che non sono completamente “pulito” (naqì!) dal proposito di vendetta. A differenza del Maimonide, che considera i comportamenti “oltre la lettera della Legge” un semplice strumento per ristabilire il giusto mezzo dopo una trasgressione (cfr. Shemonah Peraqim, cap. 4 dove riporta l’esempio delle medicine, prescritte dal medico per combattere una malattia ancorché potrebbero rivelarsi dannose se assunte da un individuo sano), Ramchal li considera ideali in se stessi. In sintesi, mentre per Maimonide perseguire la via mediana costituisce lo scopo, per Ramchal essa costituisce solo il minimo indispensabile.
…e anche il tuo sì sia giusto: La pronuncia del Nome di H. invano è una trasgressione molto grave, perché il Nome reca con sé significati talmente profondi che difficilmente l’essere umano è in grado di coglierli fino in fondo. Rav Kook (Or li-ntivatì, p. 117-119) spiega che questo è il motivo per cui dopo aver recitato il primo versetto dello Shemà’ pronunciamo a voce bassa Barukh Shem…, nel timore di aver proclamato l’Unità del Nome senza tutta la kawwanah necessaria e dunque, per certi aspetti, averlo pronunciato invano. E’ questa infatti la procedura prescritta dalla Halakhah dopo aver recitato per errore una Berakhah che non andava detta, affinché il Nome non sia stato pronunciato inutilmente. Peraltro, chi vuol essere naqì in tema di giuramenti non si limiterà a evitare di pronunciare il Nome di H., che costituisce giuramento secondo la Halakhah, ma si guarderà anche dal rispondere “sì, sì” o “no, no” due volte, perché c’è un’opinione che considera alla stregua di un giuramento anche questo. La fonte è in una lettura del versetto relativo agli imbrogli su pesi e misure. Il versetto dice: “un hin corretto avrete” (Wayqrà 19,36) dove la parola hin, invece di essere interpretata alla lettera come unità di misura, è intesa come hen nel senso di “sì” (cfr. Bereshit, 30,34).
E anche la menzogna…: La Torah dice: “tieniti lontano da ogni parola di menzogna” per insegnarci da un lato la gravità di principio di questo comportamento, dal quale si devono prendere tutte le distanze. Dall’altro vi sono però dei casi in cui è permesso non dire tutta la verità: pro bono pacis, ecc. e il versetto così strutturato viene a insegnarci di mantenerci lontani dalla menzogna per quanto possibile. Si racconta che la moglie di Rav gli cucinava sempre l’opposto di ciò che egli le chiedeva, al punto che il figlio prese l’abitudine di dire a sua madre di preparare il contrario. Ma quando Rav lo venne a sapere, lo redarguì.