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Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduz. e note di Ralph Anzarouth
Commento di Rav Di Porto
Dopo la prudenza, viene lo zelo[1] (1), poiché la prima riguarda i precetti negativi (2), mentre il secondo concerne i precetti positivi (3), come nel versetto (Salmi 34, 15): “Allontànati dal male e fai il bene[2]“. Lo zelo è definito come la premura nel compimento delle Mitzvot e la loro realizzazione completa[3]. E così si espressero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, 4b):
“I premurosi affrettano il compimento delle Mitzvot[4]“. E questo perché, così come sono necessarie una grande accortezza e molta circospezione per salvarsi dal male affinché questi non ci domini nell’intento di intromettersi nelle nostre azioni, allo stesso modo ci vogliono grande accortezza e circospezione[5] per cogliere le Mitzvot, riuscire [a compierle] e non lasciarsele scappare. Infatti, così come lo Yetzer Harà (l’istinto malvagio) si sforza e si ingegna con le sue astuzie per far cascare l’uomo nella trappola del peccato, allo stesso modo si sforza di impedirgli di compiere le Mitzvot per fargliele perdere. E se [l’uomo] si lascia sopraffare dalla debolezza e dalla pigrizia, anziché rinforzarsi per rincorrere le Mitzvot e aggrapparsi ad esse, ne rimane certamente privo (4)[6].
E vedrai che la natura dell’uomo è molto pesante[7], perché la materia di cui è composto è grezza, per cui egli non desidera lo sforzo e l’azione[8]. E chi vuole riuscire nel servizio di D-o benedetto deve sopraffare la propria indole[9], farsi forza[10] ed essere solerte. Perché se si abbandona alla propria pesantezza, di certo non riuscirà[11] [a servire il Signore], come disse il Tanna (5) (Pirké Avot 5, 20): “Sii ardito come una tigre, leggero come un’aquila, svelto come un capriolo e forte come un leone nel compiere la volontà di Tuo Padre che è in cielo[12]“. Inoltre, i nostri Maestri hanno incluso la Torà e le buone azioni tra le cose che hanno bisogno di un sostegno. Ed è un versetto esplicito (Giosuè 1, 6): “Sii molto forte e coraggioso nell’osservare e nel mettere in pratica tutta la Torà che il Mio servitore Mosè ti ha ordinato”, poiché chi desidera stravolgere la propria natura ha bisogno di molta forza[13].
E infatti a questo riguardo, nel vedere la nocività della pigrizia e i danni che ne derivano, [il re] Salomone moltiplicò le messe in guardia e disse (Proverbi 6, 10-11): “Un po’ di sonno, qualche pennichella ecc. e la tua povertà si impone rapida su di te ecc.”. Poiché infatti l’indolente, benché non commetta il male in modo attivo, ciononostante se lo procura con la propria inazione. E disse anche (Proverbi 18, 9): “Pure colui che trascura il proprio lavoro si comporta come un distruttore”, poiché pur non essendo proprio come un distruttore che fa del male in modo attivo, non si può dire che ne sia così diverso, anzi è per lui come un fratello e un compagno.
E per spiegare la nocività del pigro, descrisse con un’immagine le conseguenze del suo comportamento giorno dopo giorno (Proverbi 24, 30-34): “Son passato davanti al campo di un pigro e alla vigna di un uomo privo di senno, ed era pieno di rovi e il suo volto era ricoperto di spine ecc.; ho osservato e ho capito; ho visto e ho inteso la morale: un po’ di sonno, qualche pennichella ecc. e la tua povertà si impone rapida su di te (6) ecc.”.
E infatti, oltre al significato semplice [di questo passaggio] che è veritiero di per sé – perché è proprio questo ciò che succede al campo del pigro – i nostri Maestri gli hanno attribuito anche questa bella interpretazione Midrashica (Yalkut Shimoni, Proverbi, 961):
“Era pieno di rovi” – egli cerca il significato di un brano della Torà [di cui ha saltato alcuni passaggi] e non lo trova[14];
“e il suo volto era ricoperto di spine” – poiché non ha voluto fare lo sforzo di studiarli, si siede per emettere il giudizio e dichiara impuro ciò che è puro[15] e puro ciò che è impuro, infrangendo le barriere frapposte dai Saggi (7);
“e qual è la punizione di costui?” – quella descritta da Salomone (Ecclesiaste 10, 8): “Chi infrange le barriere sarà morso da un serpente”.
Ciò significa che il danno provocato dall’indolente non viene tutto in una volta, bensì piano piano, senza che questi se ne accorga e ne prenda coscienza: infatti, viene trascinato da un male all’altro, finché non sprofonderà nel male assoluto.
E difatti, dapprima si limita a diminuire lo sforzo personale a lui consono, con il risultato che non studia la Torà quanto dovrebbe. E quando in seguito si ritroverà a insegnare, la carenza di studio gli impedirà di capire. E se il danno procurato dal suo vizio si limitasse a questo, già sarebbe enorme; ma in più continua a generare nuovi guai: per voglia di trovare a ogni costo una spiegazione a quel passaggio della Torà, le attribuisce un senso non conforme alla legge, corrompe la verità e la rovescia, trasgredisce i decreti rabbinici, infrange le barriere e finisce annientato, come tutti coloro che infrangono le barriere.
Disse Salomone (Proverbi 24, 32): “Ho osservato e ho capito”, ho riflettuto su questa cosa e ho capito quanto male essa contenga, come un veleno che si diffonde piano piano e il cui effetto non è percepibile fino alla morte. E questo è il senso di (Proverbi 6, 10-11): “Un po’ di sonno, qualche pennichella ecc. e la tua povertà si impone rapida su di te e la tua miseria come uno scudiero armato”.
E infatti vediamo spesso come una persona che già conosce il suo compito, che ha già verificato ciò che le è necessario per la sua salvezza e quale sia il suo obbligo nei confronti del Creatore – e malgrado ciò lo trascura. Non perché le manchi la conoscenza di quell’obbligo né per nessun altro motivo, bensì perché la pesantezza dell’accidia ha il sopravvento su di lui; e perciò dice “mangio qualcosa”, oppure “mi riposo un po’ “, oppure “mi è difficile uscire di casa, mi son già tolto la camicia, come faccio a rimetterla”, oppure “fa molto caldo” o “fa molto freddo” o “piove” o uno di tutti gli altri pretesti e scuse di cui è piena la bocca dei pigri. In un modo o nell’altro la Torà viene trascurata, il servizio [di D-o] cancellato e così l’uomo si distacca dal suo Creatore. E a questo riguardo disse [il re] Salomone (Ecclesiaste 10, 18): “Con la pigrizia il tetto crolla; e con le mani oziose piove in casa!”
Eppure, se chiederai all’indolente [le ragioni del suo comportamento], ti risponderà con molteplici citazioni: detti dei Maestri, testi della Bibbia e spiegazioni razionali, ognuno dei quali gli impone, secondo il suo pensiero distorto, di rendersi la vita facile restando nella tranquillità della propria inerzia. Ed egli non si accorge che quei suoi pretesti e quelle sue scuse non sorgono dalle sue considerazioni razionali, bensì dalla fonte della sua ignavia, che avendo preso il sopravvento su di lui, distorce la sua mente e la sua ragione per condurlo a quelle affermazioni[16], cosicché non dà più ascolto alle parole dei Saggi e delle persone ragionevoli. Ed è contro questo comportamento che [il re] Salomone protestava (Proverbi 27, 16): “Il pigro si crede più saggio di sette consiglieri assennati”. Difatti, la pigrizia non gli consente nemmeno di prendere in conto le parole di chi lo rimprovera e anzi egli pensa che tutti si sbaglino, siano stupidi e che solo lui sia intelligente[17].
E sappi che questa è una regola fondamentale e accertata riguardo al funzionamento dell’astinenza: ogni indulgenza[18] (8) richiede verifica poiché, malgrado essa possa essere legittima e fondata, ciononostante è frequente che essa derivi dai suggerimenti dello Yetzer [Harà, l’istinto malvagio] e dai suoi inganni, perciò bisogna controllarla attraverso numerosi accertamenti e verifiche. E se passa con successo anche questi controlli, allora la sua validità è appurata.
Questa è la regola: l’uomo ha bisogno di una grande forza per per farsi coraggio e compiere le Mitzvot con zelo, scrollandosi di dosso il peso della pigrizia che lo frena. E si noti che gli angeli sono elogiati per questa virtù, poiché è detto di loro (Salmi 103, 20): “Voi che siete i Suoi angeli, benedite D-o, valorosi eroi obbedienti al suono della Sua parola”. Ed è detto (Ezechiele 1, 14): “E gli angeli andavano e venivano, simili a dei fulmini”. E sebbene l’uomo sia un essere umano e non un angelo e quindi non può diventare forte come un angelo, malgrado ciò egli deve certamente cercare di avvicinarsi il più possibile a quel livello. E [il re] Davide, riconoscente per la parte [di zelo] che aveva ricevuto, diceva (Salmi 119, 60): “Mi sono affrettato e non ho esitato a osservare i tuoi precetti”.
Note del Traduttore:
[1] Ricordiamo un pezzo della Beraita che fa da filo conduttore a tutto il Mesilat Yesharim: ‘La Torà conduce alla prudenza, la prudenza conduce allo zelo, lo zelo conduce all’integrità, l’integrità conduce all’astinenza, ecc.’
[2] I divieti.
[3] Gli obblighi.
[4] Cioè sarà privo delle Mitzvot e dei meriti che esse procurano.
[5] Maestro della Mishnà.
[6] Come il lettore accorto avrà notato, quest’ultimo versetto è praticamente identico a un altro, esposto poche righe più in alto (e che verrà ripetuto ancora una volta in questo capitolo).
[7] Si tratta di decreti rabbinici destinati a rafforzare l’osservanza di determinati precetti della Torà. Non avendo studiato i passaggi della Torà che trattano del tema su cui deve esprimersi, il suo giudizio sarà necessariamente fallace, come la risposta di un allievo che non ha studiato la lezione.
[8] Credo che in italiano manchi un termine per definire precisamente questo concetto: in pratica, la Kula è quando tra diversi modi di compiere una azione si sceglie quello più comodo, indipendentemente dalla sua validità. Alcuni hanno ben poche esigenze da sé stessi e quindi scelgono questa via dell’indulgenza anche nella pratica delle Mitzvot e del servizio di D-o. Il nostro testo dice che se è vero che in alcuni casi la legge ebraica consente di scegliere la via più facile, è anche vero che la cosa richiede comunque una verifica puntigliosa, per evitare di compiere una scelta dettata più dalla pigrizia che dalla verità.
Commento
[1] Per le altre middot il Ramchal non utilizzerà questo stile, ricordando esplicitamente il collegamento fra le middot. In questo caso si esprime in questo modo, poiché la prudenza e lo zelo sono due aspetti dello stesso concetto, l’uno riferito ai divieti, l’altro ai precetti affermativi. Non dobbiamo considerare lo zelo come la rapidità di esecuzione delle mitzwot, e quindi la capacità di effettuarne di più in un minor tempo, perché, se così fosse, il Ramchal non avrebbe messo questa predisposizione alla base della scala che costruisce in Mesilat Yesharim. (Siftè Chayim, Middot wa-’avodat H., vol 2, p. 317).
[2] L’ordine del verso giustifica la sistemazione delle middot in Mesilat Yesharim. Il Ramchal qui riprende il commento di Ibn ‘Ezrà ai Tehillim (34,15) e il Kad ha-kemach di R. Bechayè (lemma taharàh). Secondo Rashì e il Ran invece entrambe si riferiscono all’ambito dei precetti negativi, la zerizut nello scostarsi dal peccato, la zehirut nel non soccombere di fronte ad esso. Per questo Rashì ritiene che chi è sollecito sia superiore al prudente, in quanto mostra una superiore capacità previsionale.
[3] Ci si riferisce a due momenti distinti, uno precedente all’inizio della messa in pratica della mitzwàh, l’altro precedente al suo completamento. La solerzia è considerata parte integrante della mitzwàh,tanto da poterla ritenere completa solo se eseguita con solerzia. Come l’introduzione di un libro ha lo scopo di illustrarne il contenuto e mostrare l’utilità che se ne trarrà, la zerizut crea i presupposti giusti per la pratica delle mitzwot.
[4] Nel trattato di Pesachim viene individuata la fonte testuale di questo concetto nella legatura di Ytzchaq. Avraham, sebbene ogni momento di esitazione costituisse un prolungamento della vita di Ytzchaq, si attiene al comandamento divino senza indugio. Allo stesso modo in parashat Mattot Moshèh Rabbenu impartisce il comando di intraprendere la guerra contro Midian, sebbene fosse consapevole che la sua dipartita fosse collegata a quella guerra.
[5] Si noti che il Ramchal scrive che serve una medesima misura di accortezza (piqchut) per allontanarsi dal male e fare il bene, mentre la circospezione (hashkafàh) necessaria è maggiore per allontanarsi dal male.
[6] Non si deve pensare solamente che chi è pigro ottiene meno di chi è sollecito, ma alla fine rimane vuoto di mitzwot, non portando a compimento le proprie azioni, poiché l’istinto malvagio continua ad operare anche dopo l’inizio della mitzwàh.
[7] Non a caso il nome dell’uomo è Adam, perché deriva dalla terra (adamàh) (Siftè Chayim, cit. p. 321). Questo elemento terrestre è quello maggiormente caratterizzante dell’uomo, perché la sua anima ha la stessa radice di quelle delle creature superiori, solo che l’uomo è coinvolto in questo scontro in cui deve riuscire a fare in modo che l’anima sottometta il corpo, ed arrivi a rendersi simile al Supremo (Adam che deriva da adamèh leElion (secondo Hirsch a bereshit 1,26). Rav Friedlander (Siftè Chayim, cit., p. 322) ragionando sui progressi tecnologici compiuti dall’uomo, nota che il principale risultato conseguito per via del progresso sia quello di diminuire la fatica degli uomini, ad esempio nell’ambito delle faccende domestiche, tanto che nella società moderna si persegue lo scopo di accrescere progressivamente il tempo libero.
[8] Il Siftè Chayim (cit., p. 320) riporta l’Iggheret musar, secondo cui l’istinto buono e quello malvagio sono composti di due elementi, uno fisico, l’altro spirituale. La parte fisica dell’istinto malvagio è la pigrizia di cui parla il Ramchal, ma oltre a questo esiste lo spirito di impurità (ruach tumàh), così come la parte fisica dell’istinto buono è il retto ragionamento, che ci permette di riconoscere in anticipo le conseguenze delle nostre azione, affiancata dallo spirito di santità (ruach ha-qodesh).
[9] R. Yerucham ha-Levì di Mir considerava questo un vero e proprio miracolo, per cui è necessario un aiuto particolare dal Cielo.
[10] Il Ramchal ripete due volte il medesimo termine (ytgabber), per indicare che sono necessarie due spinte, una volta a sopraffare la pigrizia, l’altra volta a risvegliare la solerzia.
[11] Questo indipendentemente dalla riuscita nel compimento dell’atto, che non sarà gradito per via della predisposizione di colui che lo mette in pratica.
[12] Questa mishnàh era stata già ricordata in chiusura del capitolo 5, relativo alla prudenza.
[13] Al contrario di quanto si potrebbe pensare, non ci sono esseri umani che non siano portati naturalmente alla pigrizia. Alcuni sono portati in maniera minore, ma chiunque deve affrontare una lotta con la propria natura se vuol essere solerte.
[14] Come spiega Rashì il principale elemento che porta alla mancata pratica delle mitzwot è lo scarso impegno nello studio della Toràh.
[15] E’ vietato rendere impuro ciò che è puro, perché in questo modo si provoca senza motivo una perdita economica. Inoltre si tratta di una falsificazione della Toràh.
[16] R. Chayim di Volozin in Ruach Chayim spiega che l’imperativo del Pirqè Avot (1,6) di acquistarsi un compagno si riferisce anche alla discussione sul modo migliore di servire H., perché il singolo individuo, sebbene si ritenga saggio, potrebbe essere traviato dal suo istinto malvagio.
[17] Anche chi non è naturalmente altezzoso, viene portato ad esserlo dalla sua pigrizia.
[18] La tendenza ad essere facilitanti è anch’essa sollecitata dalla pigrizia, che spinge a non affrontare i vari argomenti come si dovrebbe e non esaminare a dovere le opinioni di coloro che sono maggiormente rigorosi.