R. Chayim Kohen, Talelè Chayim – Bemidbar, p. 47-73
Shavu’ot è l’unica festa in cui l’Uomo torna effettivamente a essere nella stessa posizione di Adàm ha-Rishon prima del “peccato”.
Avòt 6,2: … Ed è detto: “E le Tavole erano opera di D.; anche la scrittura era scrittura di D., incisa sulle Tavole” (Shemot 32,16): non leggere charùt (“inciso”), bensì cherùt (“libertà”). Non c’è infatti uomo libero (ben chorìn), se non colui che si dedica allo studio della Torah.
Shavu’ot è il cinquantesimo giorno. L’altra istituzione della Torah che condivide lo stesso numero è il cinquantesimo anno, lo Yovèl (“giubileo”). Anche lo Yovèl è incentrato sull’idea di cherùt (“libertà”).
Ci sono due differenze fra le prime e le seconde Tavole. 1) Nelle prime Tavole sia il materiale di fondo che la scrittura erano opera Divina (“E le Tavole erano opera di D.; anche la scrittura era scrittura di D., incisa sulle Tavole” – Shemot 32,16); nelle seconde Tavole il materiale era opera di Moshe, mentre solo la scrittura era opera Divina (“Scolpisciti due Tavole di pietra come le prime, e Io scriverò sulle Tavole le parole che erano sulle prime Tavole” – Shemot 34,1). 2) Nelle prime Tavole la scrittura era “incisa sulle Tavole” (chaqiqah); nelle seconde Tavole era scritta sulle Tavole (ketivah).
TB ‘Avodah Zarah 18a: (I Romani) trovarono R. Chananyah ben Teradyon mentre era seduto a studiare Torah e a radunare la Comunità per insegnarla in pubblico (sfidando il loro divieto). Aveva un Sefer Torah posato nel suo grembo. Lo prelevarono, lo avvolsero nel Sefer Torah e lo circondarono di corde di tralci, cui appiccarono il fuoco. Dopodiché fecero arrivare spugne di lana, le immersero nell’acqua e gliele misero all’altezza del cuore, per evitare che esalasse l’anima troppo presto. Sua figlia gli disse: Papà, devo proprio vederTi così? Le rispose: se fossi stato condannato al rogo da solo, effettivamente la cosa mi sarebbe pesata, ma ora che vengo bruciato insieme al mio Sefer Torah, Colui che chiederà conto dell’offesa arrecata alla Torah chiederà conto anche della mia. I discepoli gli dissero: Maestro, che cosa vedi? Rispose loro: Pergamene che bruciano e lettere che volano via.
E’ implicita nella risposta di R. Chananyah ai suoi discepoli: l’equazione fra l’uomo e il Sefer Torah. I Chakhamim paragonano la morte della persona alla lacerazione di un Sefer Torah: assistendo ad entrambe le situazioni è prescritta la qeri’ah (“lacerazione” dell’abito – TB Mo’ed Qatan 28a). R. Chananyah ci insegna che i Romani potevano bruciare solo la pergamena, cioè il suo corpo, mentre sulle lettere, che rappresentano l’anima, non avrebbero avuto alcun potere. Il nemico poteva impadronirsi solo dell’aspetto esteriore di Israele, ma non della nostra interiorità.
Nelle prime Tavole, che furono date il giorno di Shavu’ot, il materiale stesso che faceva da base alla scrittura era opera Divina. Ciò significa che il mondo stesso era dotato di Qedushah superiore. Inoltre, la scrittura era incisa sulle Tavole, anziché esservi sovrapposta. Ciò significa a) che le lettere non erano aggiunte alle Tavole, ma la scrittura formava un tutt’uno con la base; b) che le lettere non oscuravano la base sottostante e non creavano dunque alcuna contrapposizione fra base e scrittura, fra corpo e anima. Più esattamente, il “corpo” stesso non era altro che luce attenuata o dosata, in modo tale da dare risalto alla luce dell’anima senza peraltro che si creasse opposizione.
Con la trasgressione (del primo Uomo e poi del Vitello d’Oro), il mondo ha subito una caduta. La luce primordiale (or) si è rivestita di pelle (‘or), l’impurità si è impadronita del mondo, creando una “cortina di ferro” fra il mondo e il S.B. Per l’esattezza la luce primordiale, che pervadeva il mondo nei sei giorni della Creazione non è stata eliminata: è stata coperta. Mentre nella fase precedente corpo e anima procedevano di pari passo e lo sviluppo dell’uno agevolava lo sviluppo dell’altro, nella nuova fase corpo e anima si trovano in concorrenza fra loro: il rafforzamento di uno provoca inevitabilmente l’indebolimento dell’altro. Si è creato un gap fra lo studio della Torah e questo mondo.
Chi è rimasto a stretto contatto con l’interiorità del mondo? Israel. L’anima di Israel è l’anima del mondo stesso. Abbiamo il compito di restituire lo splendore della Luce Divina nel corpo del mondo. Per questo ci sono state date le seconde Tavole. Le seconde Tavole avevano lo scopo di riportare il mondo allo stesso livello delle prime Tavole. Ma a questo fine dovevano adottare un linguaggio diverso. Fintanto che il corpo era anch’esso fatto di luce, non c’era bisogno che la Torah parlasse di regole di purità e impurità perché, come si è detto, l’impurità non aveva alcuna presa sul corpo. Le prime Tavole erano sequele di Nomi Divini (Yichudim). Con la caduta del mondo, anche la Torah doveva ora calarsi in una realtà differente e insegnare a Israel regole di vita che tenessero conto della presenza dell’impurità nel mondo. La Torat ha-Berurim (“chiarificazioni, distinzioni”), prendeva ora il posto della Torat ha-Yichudim. Era una Torah di Teshuvah: “Il posto che occupano i penitenti (Ba’alè Teshuvah) non sono degni di occuparlo neppure i perfetti giusti” (Berakhot 34b). Non a caso Moshe scese con le seconde Tavole per Yom Kippur.
In questa occasione D. disse a Moshe Pessòl lekhà (“Scolpisciti…”). Questa radice contiene anche l’idea di passùl (“invalido, fasullo”, contrario di kasher) e di pessòlet (“scarto”). Il lavoro di Moshe nel predisporre il materiale affinché D. potesse scriverci sopra prevedeva la selezione del bene dal male. All’inverso, delle prime Tavole era detto che la scrittura era “incisa sulle Tavole”. Comprendiamo l’equazione dei Pirqè Avòt fra charùt (“inciso”) e cherùt (“libertà”). Ogni contrapposizione è per forza di cose una limitazione. La scrittura incisa è interna al materiale, è tutt’una con esso e non crea contrapposizione. Di conseguenza crea libertà. La libertà dallo scarto, che è invece presente nelle seconde Tavole. La libertà dalle forze del Male con le quali dobbiamo costantemente confrontarci dopo la trasgressione.