http://www.anzarouth.com/2011/07/mesilat-yesharim-prefazione.html
Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduz.e note di Ralph Anzarouth
Commento di Rav Somekh
Chiarire e verificare quali siano i doveri dell’uomo in questo mondo e a cosa egli debba prestare attenzione in tutto ciò che intraprende durante tutti i giorni della sua vita: questo è il principio della devozione1 (Chassidut) e la base del puro servizio [di D-o].
Ed ecco ciò che ci hanno insegnato i nostri Maestri di benedetta memoria: l’uomo è stato creato unicamente per deliziarsi con D-o e bearsi dello splendore della Presenza Divina, che è il vero piacere e la più grande delle delizie che si possano trovare. E in verità, il luogo di queste delizie è l’Olam Haba, il mondo futuro, perché è quello che è stato creato appositamente per servire questo scopo. Ma la via per raggiungere questo ambito obiettivo è [il passaggio in] questo mondo.
E questo è il senso di ciò che dissero i nostri Maestri di benedetta memoria (Massime dei Padri 4, 16): “Questo mondo assomiglia a un corridoio che conduce al mondo futuro”. E gli strumenti che conducono l’uomo a questo traguardo sono le Mitzvot, cioè i precetti che il Signore, sia benedetto il Suo Nome, ci ha comandato di compiere. E l’unico luogo in cui si compiono le Mitzvot è questo mondo.
Perciò l’uomo è stato dapprima collocato in questo mondo, affinché quei precetti che ha l’occasione di compiere qui gli consentano di [meritare di] raggiungere quel posto che è stato preparato per lui: l’Olam Haba, in cui potrà saziarsi di tutto il bene che si è procurato grazie alle Mitzvot. E questo è ciò che dissero i nostri Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato di Eruvin, 22a): “Fare oggi [le Mitzvot], e riceverne domani la ricompensa”.
E se osservi ancora la questione, vedrai che l’unico stato ideale è l’unione con D-o benedetto, e questo è ciò che disse il re David (Salmi 73, 28): “E per me, stare accanto al Signore è il mio bene” e anche (Salmi 27, 4): “Ho rivolto a D-o una sola richiesta, questo è ciò che chiederò:2 dimorare nella casa di D-o ogni giorno della mia vita ecc.”. Poiché solo questo è il bene, mentre tutte le altre cose che la gente considera positive non sono altro che vanità e ingannevoli futilità.
Comunque, affinché l’uomo meriti questo bene, conviene che dapprima egli compia uno sforzo personale, attraverso il quale egli potrà acquisirlo, e cioè che si adoperi per unirsi a D-o attraverso azioni il cui effetto è proprio quello, ed esse sono le Mitzvot.
Perciò il Santo, benedetto Egli sia, ha collocato l’uomo in un luogo ricco di ostacoli suscettibili di allontanarlo da Lui: questi ostacoli sono le tentazioni materiali; e se da esse si lascerà tentare, si allontanerà dal vero Bene. E infatti l’uomo si trova veramente nel bel mezzo di un feroce conflitto. Poiché tutte le circostanze della sua esistenza, nel bene e nel male, sono delle prove per l’uomo: la povertà da una parte e la ricchezza dall’altra, come disse [il re] Salomone (Proverbi 30, 9): “Affinché io non mi sazi, per poi rinnegare [il Signore] e dire ‘chi è D-o?’. E affinché io non diventi povero, riducendomi a rubare ecc.” Da una parte la tranquillità e dall’altra i guai, al punto che la persona si trova in guerra su due fronti. E se si batterà e prevarrà su ambo i fronti, diventerà l’uomo ideale che merita di unirsi al suo Creatore. E uscirà da questo corridoio3 per entrare nella sala da pranzo4 e venire illuminato dalla luce della vita. E nella misura in cui egli avrà dominato il suo istinto e le sue tentazioni e secondo quanto si sarà allontanato dagli ostacoli che lo distolgono dal Bene e si sarà sforzato di unirsi a esso, in quella stessa misura meriterà di ottenerlo e di gioirne.
E se approfondirai ulteriormente questo argomento, vedrai che il mondo è stato creato per essere utilizzato dall’uomo, che però si trova di fronte a una scelta capitale: perché se si lascia attrarre dal mondo e si allontana dal suo Creatore, egli provoca in questo modo la propria rovina e quella del mondo. Ma se invece egli domina sé stesso e si unisce al suo Creatore, utilizzando questo mondo unicamente come supporto per il suo servizio di D-o, in questo caso si innalza e il mondo intero si innalza con lui. Perché infatti è una grande elevazione per tutte le creature servire l’uomo ideale, santificato dalla santità di D-o benedetto. E ciò ricorda quanto detto dai nostri Maestri di benedetta memoria, riguardo alla luce che il Santo, benedetto Egli sia, ha celato per i giusti (Talmud Bavli, Trattato di Chaghiga 12a): “E quando vide la luce nascosta dal Santo, benedetto Egli sia, per i giusti, ne fu felice, come è detto (Proverbi 13, 9): ‘Si rallegrò per la luce dei giusti5’.” E riguardo alle “pietre del luogo” che Giacobbe prese e mise sotto la sua testa (Genesi 28, 11), i Maestri dissero6: (Talmud Bavli, Trattato di Chulin 91b): “Disse Rabbi Yitzchak: ciò insegna che tutte [le pietre] si raggrupparono e ognuna diceva: ‘Che il giusto posi la sua testa su di me’.“
E su questo principio i Maestri attirarono la nostra attenzione nel Midrash Kohelet (Kohelet Raba, capitolo 7, 13), ove dissero (riguardo al versetto di Ecclesiaste 7, 13): “‘Osserva le azioni del Signore, ecc.’. Quando il Santo, benedetto Egli sia, creò Adamo lo prese e lo condusse davanti a tutti gli alberi del Gan Eden e gli disse: ‘Guarda quanto le Mie opere sono piacevoli e preziose, e tutto ciò che ho creato, l’ho fatto per te; fai quindi attenzione a non danneggiare e a non distruggere il Mio mondo’.”
La regola generale: l’uomo non fu creato per la sua condizione in questo mondo, bensì per quella [che lo aspetta] nel mondo futuro. Difatti, la sua condizione in questo mondo è uno strumento per accedere alla sua condizione nel mondo futuro, che è il suo punto d’arrivo. Perciò una stessa idea accomuna molti dei testi dei nostri Maestri di benedetta memoria: essi comparano questo mondo a un tempo e a un luogo di preparazione e il mondo futuro a un luogo di riposo in cui si colgono i frutti [di ciò che si è] preparato in precedenza. E questo è ciò che dissero nelle Massime dei Padri (Avot 4, 16): “Questo mondo assomiglia a un corridoio che conduce al mondo futuro”. Ed è anche ciò che dissero nel Talmud Bavli (Trattato di Eruvin, 22a): “Fare oggi [le Mitzvot], e riceverne domani la ricompensa”; (Trattato di Avodà Zarà 3a): “Chi si è dato da fare alla vigilia di Shabbat mangerà durante Shabbat”; e (Midrash Kohelet Raba 1, 15): “Questo mondo assomiglia alla terraferma e il mondo futuro al mare”. E molti altri passaggi simili a questi.
E noterai che in verità nessuna persona ragionevole potrebbe credere che lo scopo della creazione dell’uomo sia la sua condizione in questo mondo. Infatti, cos’è la vita dell’uomo in questo mondo? E chi è veramente felice e sereno in questo mondo? (Salmi 90, 10) “La nostra vita dura settant’anni, e se si è si è forti ottant’anni, e la maggior parte sono fatica e delusioni”. Quanti tipi di sofferenze, malattie, dolori e avversità, e dopo tutto ciò – la morte. E non si trova nemmeno una persona su mille cui questo mondo riservi piaceri e una vera serenità; e anch’egli, se pure campasse cent’anni, diventerebbe inutile e senza importanza.
E inoltre, se la finalità della creazione dell’uomo fosse questo mondo, non ci sarebbe bisogno di insoffiare in lui un’anima così preziosa e sublime, più elevata degli angeli stessi: a maggior ragione [se si considera che] essa non trova alcuna soddisfazione in tutti i piaceri di questo mondo. Ed è ciò che ci hanno insegnato i Maestri di benedetta memoria nel Midrash Kohelet (6, 6), riguardo al versetto (Ecclesiaste 6, 7): “‘E anche lo spirito non sarà appagato’: è come il caso di un popolano che ha sposato la figlia del re. Se anche egli le donasse tutti i beni del mondo, essi non avrebbero alcun valore per lei, la figlia del re. Così è l’anima: se pure tu le offrissi tutte le delizie del mondo, per lei non varrebbero niente. Perché? Perché essa proviene dai mondi superiori.”
E così dissero i Maestri nelle Massime dei Padri (Avot 4, 22) :“Tu vieni creato contro la tua volontà e nasci contro la tua volontà”. Perché l’anima non ama per niente questo mondo, anzi ne prova disgusto. Ed è certo che il Creatore benedetto non ha creato una creatura per una finalità contraria alla sua natura e che le ripugna. Quindi, la creazione dell’uomo è finalizzata al mondo futuro, ed è per questo che gli è stata data quest’anima: perché essa è degna di servire D-o e grazie a essa l’uomo potrà ricevere la sua ricompensa a suo tempo e luogo; e questo non sarà sgradito alla sua anima come questo mondo, anzi lo apprezzerà e lo amerà. E questo è ovvio.
E dopo avere appreso quanto esposto in precedenza, possiamo capire l’importanza delle Mitzvot che dobbiamo [compiere] e l’onore del nostro compito. Poiché questi sono gli strumenti che ci portano alla vera perfezione, che senza di loro sarebbe fuori portata. Ma è noto che lo scopo non viene raggiunto se non attraverso l’azione congiunta di tutti i mezzi disponibili, il cui compito è di ottenerlo. E il risultato raggiunto grazie a questi strumenti è funzione del loro uso e della loro efficacia; e ogni piccola differenza riscontrata nella [messa in pratica degli] strumenti provocherà una conseguenza evidente, quando arriverà il momento di tirare le somme della loro azione congiunta, come già spiegato. E questo è chiaro7. Di conseguenza, è certo che si dedicherà la massima attenzione e precisione a ciò che concerne le Mitzvot e il servizio di D- o, come se si stesse pesando oro o perle, per via del loro valore elevato, perché il loro risultato conduce alla vera perfezione e al successo eterno, il più grande che esista.
Abbiamo così imparato che la ragione principale della presenza dell’uomo in questo mondo è solamente quella di compiere le Mitzvot, di servire [D-o] e di resistere alla tentazione; e i piaceri del mondo non devono servire ad altro che ad aiutarlo e a fornirgli il supporto necessario affinché il suo animo sia tranquillo e sereno, e per poter quindi rivolgere la propria attenzione a questo servizio che gli è imposto.
E infatti, è bene che ogni sua propensione sia rivolta unicamente verso il Creatore benedetto. E che in ognuno dei suoi atti, piccolo o grande che sia, non abbia nessun altro fine che quello di avvicinarsi a D-o benedetto, e di infrangere tutte le barriere che lo separano dal suo Creatore, e cioè tutte le questioni materiali e ciò che ne deriva, finché non sarà attirato verso D-o benedetto proprio come il metallo [è attirato] dalla calamita; e rincorrerà ogni mezzo che gli pare essere in grado di procurargli questa vicinanza: lo afferrerà e non lo lascerà più. E fuggirà da ciò che potrà considerare un ostacolo a questa [vicinanza] come si scappa da un incendio. Come è detto (Salmi 63, 9): “Il mio spirito si è incollato a Te; la Tua destra mi sostiene”, poiché il passaggio [dell’uomo] in questo mondo ha questo unico obiettivo: ottenere questa vicinanza sottraendosi a tutto ciò che la ostacola e la impedisce.
E ora che abbiamo capito e appurato la correttezza di questa regola, dobbiamo esaminarne i vari aspetti secondo il loro livello, dall’inizio alla fine, così come li ha disposti Rabbi Pinchas ben Yair nella sua affermazione che abbiamo già citato nella nostra introduzione8, e cioè: Zehirut (prudenza), Zerizut (zelo), Nekiut (integrità), Prishut (astinenza), Tahorà (purezza), Chassidut (devozione), Anavà (umiltà), Yir’at Chet (timore del peccato), e Kedushà (santità).
E ora li spiegheremo uno a uno, con l’aiuto del Cielo.
Note del Traduttore:
[1] Tutto il Messilat Yesharìm discute dell’importanza per l’uomo di acquisire determinati tratti di carattere, seguendo il percorso dettagliato nella Beraita di Rabbi Pinchas ben Yair (si veda la nota 7 al riguardo). La loro traduzione in italiano è necessariamente imperfetta, ma ci sembra di avere scelto quella più fedele alle indicazioni che l’autore ha disseminato nei capitoli successivi.
[2] Non stupisca l’uso contemporaneo del passato prossimo e del futuro: come spiega il Malbim, questa forma un po’ particolare ci fa capire che l’unica valida ambizione per l’uomo, in passato e nel futuro, è la vicinanza all’Eterno.
[3] Il mondo in cui viviamo, secondo la metafora proposta nelle Massime dei Padri (Avot 4, 16): “Rabbi Yaakov dice: ‘Questo mondo assomiglia a un corridoio che conduce al mondo futuro. Preparati nel corridoio, affinché tu possa entrare nella sala da pranzo’.”
[4] Il mondo futuro, ricompensa per i meriti accumulati in questa vita terrena.
[5] Questo versetto si potrebbe anche tradurre secondo la chiave proposta da altri, che leggono: ”La luce dei giusti si rallegrò”.
[6] Questo notissimo Midrash (citato anche da Rashi nel commento a Genesi 28, 11) si basa sull’apparente contraddizione tra il versetto 11 secondo il quale Giacobbe si corica su “pietre” (al plurale) e il versetto 18 in cui si risveglia su una “pietra” (al singolare). Oltre che in questo primo capitolo, il Ramchal cita questo Midrash anche nel capitolo 26 che conclude il Mesilat Yesharim.
[7] E caso mai non fosse chiaro: quando si sommeranno gli effetti dei precetti compiuti durante la vita intera, il risultato da essi generato sarà la ricompensa che si riceverà nel mondo futuro, che è quella che conta perché dura in eterno. E quindi il Ramchal raccomanda il massimo impegno nel compiere le Mitzvot, al fine di aumentare il valore di questa ricompensa.
[8] La Beraita (Talmud Bavli, trattato di Avodà Zarà, foglio 20b) dice: “Disse Rabbi Pinchas ben Yair: ‘La Torà conduce alla prudenza, la prudenza conduce allo zelo, lo zelo conduce all’integrità, l’integrità conduce all’astinenza, l’astinenza conduce alla purezza, la purezza conduce alla devozione, la devozione conduce all’umiltà, l’umiltà conduce al timore del peccato, il timore del peccato conduce alla santità, la santità conduce allo spirito di santità, lo spirito di santità conduce alla resurrezione dei morti”. Questa formula appare (con qualche variazione) anche in altri trattati del Talmud: Shekalim e Sotà.
Commento al Capitolo I
Quali siano i doveri dell’uomo in questo mondo. Siamo abituati a parlare di “Carta fondamentale dei diritti dell’uomo”. Il Messillat Yesharim è invece la “Carta fondamentale dei Doveri dell’Uomo”. L’individuo orientato verso i doveri non vede in se stesso l’oggetto più importante nell’universo della sua esperienza. E’ un uomo capace di servizio genuino, al di là dei propri particolari interessi. Egli serve il suo padrone, ma non per ricevere una ricompensa. Inoltre una società basata sui doveri, a differenza dei diritti, ha una durata molto maggiore perché i diritti sono sempre il frutto di interessi per loro natura mutevoli.
Questo è il principio della devozione e la base del puro servizio (di D.). In ebraico יסוד החסידות ושורש העבודה. Le iniziali delle quattro parole formano il Tetragramma, esattamente come nell’incipit del Mishneh Torah di Maimonide: יסוד היסודות ועמוד החכמות “Il principio dei principi e la base delle sapienze”. Da un lato Ramchal si rifà al Maimonide, ma dall’altro vuole chiarire che al centro del suo libro non è D., bensì l’uomo: non un testo di teologia, dunque, ma di morale. Più esattamente: un libro incentrato non sulla conoscenza che l’uomo deve avere di D., bensì sulla conoscenza che l’uomo deve avere di se stesso.
Quali siano i doveri dell’uomo in questo mondo… per deliziarsi con D. L’ultima espressione è tratta da Is. 58. Già nell’età tardo-antica due scuole filosofiche dibattevano se la vita dell’uomo ha per scopo il raggiungimento del piacere (epicurei) o la realizzazione del dovere (stoici). Ramchal fornisce un approccio dialettico al tema. Egli parla da un lato di dovere e dall’altro di piacere. Il contrasto fra le due visioni, tuttavia, sussiste solo ai livelli più bassi. Nel servizio di H. ci sono almeno tre stadi differenti. Il meno elevato è quello finalizzato a un premio. Lo stadio intermedio è quello che prescinde dal premio ed è chiamato ‘avodah me-ahavah (“servizio reso per amore”). Ma c’è un livello ancora più alto, in cui dovere e piacere si fondono: è lo stadio in cui si compie il proprio dovere non per soddisfazione personale, bensì per soddisfare il desiderio di H. di premiarci. O se vogliamo: soddisfare il piacere di adempiere al proprio dovere.
Il luogo di queste delizie è il ‘Olam ha-bbà, il mondo futuro. La maggior parte di Maestri e pensatori segue il Maimonide, Hil. Ha-Teshuvah, cap. 8 e ritiene che il mondo della ricompensa sia successivo nel tempo a quello dell’azione. R. Chayim di Volozhin scrive invece nel suo commento Ruach Chayim ai Pirqè Avot che nel momento stesso in cui l’uomo esegue una Mitzwah è come se sedesse nel Gan ‘Eden e gli è pertanto più facile far seguire a una Mitzwah un’altra Mitzwah e questo è il significato dell’espressione: “la ricompensa della Mitzwah è la Mitzwah stessa”. In altre parole il mondo della ricompensa è, secondo questa concezione, la dimensione spirituale nella quale siamo proiettati nel momento stesso in cui eseguiamo una Mitzwah e quindi già in questo mondo. “La vera ricompensa è il merito di poter servire H… ed è l’individuo stesso a crearsi la sua propria ricompensa attraverso le Mitzwòt che compie”.
Questo mondo assomiglia a un corridoio… futuro. Il corridoio e la “sala del triclinio” di cui parla la Mishnah nel seguito sono in realtà parti della stessa casa. La differenza essenziale è che il corridoio è buio. Per illuminarlo dobbiamo spalancare le porte del triclinio. Ciò si compie attraverso le Mitzwòt. Esse non sono semplicemente azioni comandate dall’Alto che l’uomo esegue, ma piuttosto altrettanti raggi di luce che si irradiano dall’Alto.
Quanto a me, stare accanto al S. è il mio bene. Il Salmo 73 è una descrizione esistenzialistica della vita umana. A questa conclusione perviene il Salmista dopo aver constatato che la condizione umana è essenzialmente delusione e frustrazione. La devequt, l’attaccamento a D. non è per lui semplicemente fonte di bene. E’ il bene in se stesso.
Conviene che dapprima egli compia uno sforzo personale. Nel secondo capitolo del Da’at Tevunot Ramchal spiega che per sua natura H. vuole beneficare l’uomo, ma onde evitargli la vergogna di ricevere il bene sotto forma di elargizione, lo ha messo in condizione di meritarselo (cfr. Yer. ‘Orlah 1,3, dove si parla del nahamà de-kissufà, “pane della vergogna”). Se infatti il beneficio suscitasse vergogna non potrebbe dirsi completo. Le Mitzwòt, peraltro, non sono medicine miracolose, ma strumenti che elevano l’uomo.
Perché il S.B. ha collocato l’uomo in un luogo ricco di ostacoli. E’ la lotta continua fra l’Istinto del Male e l’Istinto del Bene, fra i desideri materiali da un lato e l’aspirazione a compiere le Mitzwòt dall’altro.
La povertà da una parte e la ricchezza dall’altro. Nel Sefer Ma’alot ha-Middot R. Yechiel da Roma scrive che la ricchezza costituisce una prova per i ricchi non meno della povertà per i poveri. La sperequazione, insomma, è stata voluta da H. per mettere alla prova tutti. Il vero ricco –affermano i Pirqè Avot- è colui che si accontenta della sua parte. Chi tiene di più è entrato inevitabilmente in possesso di qualcosa che originariamente non gli spettava e pertanto è chiamato a condividerlo.
Il mondo è stato creato per essere utilizzato dall’uomo. Si veda Nachmanide a Bereshit 1,28. Peraltro qui Ramchal non si riferisce tanto allo sfruttamento ambientale, quanto al godimento materiale rispetto a quello più propriamente spirituale. Non c’è contrasto fra questa affermazione e la precedente, in cui il mondo veniva presentato come una fonte di conflitto interiore. Una volta che l’uomo avrà superato la prova, riuscendo a convogliare verso le stesse finalità i due istinti, ecco che il mondo diventerà la migliore piattaforma per la ‘Avodat H. E’ quanto accade sotto la Chuppah, in cui i due istinti hanno un interesse comune e ciò è fonte di grande gioia. Non solo, dunque, il mondo è stato creato al servizio dell’uomo, ma come l’uomo, quando distrugge se stesso, distrugge anche il mondo, così l’uomo elevando se stesso eleva anche il mondo con lui.
Utilizzando questo mondo unicamente come supporto per il suo servizio di D. Il pensiero ebraico non esprime dunque il contemptus mundi come quello cristiano. Ben venga l’utilizzo di questo mondo se ciò agevola il conseguimento delle più alte finalità spirituale, cioè la devequt ba-H. Nel cristianesimo il mondo rappresenta il teatro di una lotta fra gli istinti impari e senza fine, dal quale va salvata l’anima, che è l’unica componente “santa”. Nell’ebraismo, invece, “tutto Egli ha creato per il proprio onore”.
Che il giusto posi la sua testa su di me. Ramchal usa queste fonti midrashiche per ribadire il concetto che il mondo materiale si pone al servizio dell’uomo e l’uomo deve adoperarlo nel modo giusto.
L’uomo non fu creato per la sua condizione in questo mondo. Ramchal porta di ciò diverse prove. La prima è l’esistenza della sofferenza. La seconda è la relativa brevità della vita umana. Ma se anche in futuro questi problemi dovessero risolversi e la vita migliorare sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, resta la “sete metafisica”, la perenne insoddisfazione dell’anima per i beni materiali, troppo al di sotto delle proprie aspettative, e la ricerca di una dimensione superiore.. Ciò è fonte di depressione, che tanto più si alimenta quanto maggiori sono le possibilità materiali dell’individuo. Non sarà dunque lo sviluppo scientifico e tecnologico a soccorrerci: tutt’altro!
E anche lo spirito non sarà appagato. Ramchal intende il versetto all’opposto del suo senso originale, per cui la nefesh, che è propriamente l’anima appetitiva, ama questo mondo e lo desidera sempre più.
Infrangere tutte le barriere che lo separano dal suo Creatore. Cfr. Maimonide, Shemonah Peraqim, cap. 7: “alcune attengono alla sfera intellettiva, come l’ignoranza, la disattenzione e la scarsa intelligenza, altre sono di ordine morale, come la sensualità (Shelomoh), l’orgoglio, l’irascibilità (Elishà’), la sfrontatezza, la venalità… la preoccupazione e il dolore (Ya’aov)”. Sono i difetti che diminuiscono o addirittura impediscono la Profezia.
Così come li ha disposti R. Pinechas ben Yair. Rispetto alla fonte talmudica originale Ramchal omette la Torah all’inizio; il Ruach ha-Qodesh e la Techiyyat ha-Metim (resurrezione) alla fine, perché sono doni divini, mentre il Messillat Yesharim si occupa soltanto dei doveri dell’uomo.