Milano – 09/05
DELLE REGOLE TORNATE ATTUALI
Il popolo ebraico si è trovato in assenza di uno stato o di un esercito per quasi duemila anni, e questo ha comportato uno sviluppo limitato delle leggi relative alla guerra[1]. Questa è una delle conseguenze dell’esilio: gli ebrei sono vittime e non muovono guerre, e non vi sono pertanto teorici della guerra. Il mancato sviluppo di questo ramo della legge provoca delle sensibili difficoltà quando ci si confronta con i problemi odierni, come ad esempio la discussione sui danni alla popolazione civile, o la legittimità di determinate azioni militari, o più in generale con la distinzione fra guerre giuste e ingiuste.
Tuttavia all’interno della letteratura rabbinica vi sono delle espressioni, sebbene parziali e frammentarie, che possono permettere di elaborare un’etica ebraica della guerra[2]. Molti ritengono che rispetto alla guerra siano applicabili i medesimi criteri interpretativi, che operano principalmente per similitudine, dei quali ci si avvale per rispondere a tutte le questioni poste dalla società contemporanea, principalmente rispetto alle innovazioni tecnologiche proprie della nostra era. Per lungo tempo, in diaspora, le espressioni bibliche che lodavano l’eroismo militare venivano interpretate allegoricamente e riferite allo studio della Toràh[3].
E’ innegabile d’altro canto che nell’ideale profetico vi sia una profonda aspirazione alla pace. Lo stesso Yesha’iahu Leibowitz, uno dei principali pensatori ebrei della seconda metà del XX secolo, denunciava la necessità di sviluppare delle leggi relative alla guerra. Il primo rabbino che in epoca moderna, in seguito alla nascita dello Stato d’Israele, elaborò un corpus di norme e comportamenti etici sulla guerra fu rav Shelomò Goren[4] (1917-1994), il primo rabbino capo delle forze armate israeliane, e successivamente rabbino capo d’Israele. Anche altri rabbini che hanno scritto sull’argomento hanno mostrato l’impressione di avventurarsi in un campo inesplorato. Lo stesso rav Goren scrive[5] “questo argomento è differente rispetto ad altri argomenti halakhici civili classici, ed è trattato differentemente in questo libro rispetto a tutti i libri di responsa. Gli argomenti trattati in questo libro non hanno una tradizione decisionale continuativa di generazione in generazione. Non hanno una parte corrispettiva nello Shulchan ‘Arukh, ne’ nei libri dei decisori. Dalla guerra di Bar Kokhbà, 65 anni circa dopo la distruzione del secondo Tempio le regole della guerra, dell’esercito e della sicurezza nazionale non erano attuali nella vita del popolo. Per quasi duemila anni questi problemi sono apparsi come ‘regole del periodo del Mashiach[6]‘”.
GUERRA PROIBITA
La tradizione ebraica prevede principalmente due categorie di guerra, la guerra di mitzwàh (contro i sette popoli che abitavano Israele, contro ‘Amaleq, e la guerra difensiva) e la guerra di reshut, che veniva promossa dal re e approvata dal Sanhedrin. Il pensatore americano Michael Walzer in un suo saggio sostiene che la tradizione ebraica non si interessa del problema dell’eticità della guerra, non conoscendo la distinzione fondamentale fra guerra giusta e guerra proibita[7]. Secondo Walzer nella tradizione ebraica non esiste il concetto di guerra proibita, ma si distingue unicamente fra guerra di mitzwàh e guerra di reshut. Dalle fonti ebraiche è possibile risalire al comportamento etico da tenere durante la guerra (jus in bello), ma la giustificazione morale dell’ingresso in guerra (jus ad bellum) non è invece presente. Per via dell’assenza di questo concetto fondamentale la tradizione ebraica non si potrebbe esprimere sulla valutazione della guerra giusta. I pensatori ebrei dovrebbero pertanto esprimersi in questo campo, ma Walzer si mostra molto dubbioso circa l’inserimento di un pensiero intimamente ebraico in questo campo, perché richiederebbe una creazione halakhica dal nulla. Secondo Avi’ezer Ravitzky invece questo non solo è possibile, ma si è realizzato nella pratica nell’ultima generazione[8]. In considerazione di ciò qualsiasi guerra, sebbene ammessa dalla halakhàh, necessita di una giustificazione morale. Le posizioni espresse dagli studiosi contemporanei rispetto alla classificazione delle guerre sono in realtà molto variegate, tanto che alcuni ritengono che al giorno d’oggi le uniche guerre obbligatorie siano quelle difensive, anche se non c’è accordo sulla definizione di guerra difensiva, mentre altri ammettono anche guerre offensive; altri ancora non considerano attuale la categoria della guerra di reshut, mentre alcuni ammettono che possano esservi ancora delle guerre di espansione. Alcuni hanno persino introdotto la categoria di “guerra proibita”, che, come abbiamo visto, non era contemplata nella tradizione rabbinica classica[9]. La questione pertanto è al momento aperta.
COINVOLGIMENTO DI CIVILI
La più completa trattazione sull’argomento è un lungo saggio che Rav Israeli scrisse dopo gli eventi di Kibiyeh: dei terroristi palestinesi avevano ucciso una donna e i suoi due bambini e l’esercito israeliano il 10 ottobre 1953 aveva attaccato il villaggio di Kibiyeh, da cui i terroristi provenivano, uccidendo sessanta persone, comprese donne e bambini. Rav Israeli in ultima sostanza approvò il comportamento dell’esercito. Altri rabbini, come R. David Bleich, Neriah Gutel e Ya’aqov Blidstein hanno affrontato la medesima questione. Nel tempo sono state espresse posizioni molto più dure, come quella di Rav Dov Lior[10], che in seguito allo scoppio della guerra in Libano del 1982, disse che “in tempo di guerra, qualsiasi azione compiuta al fine di prevenire il ferimento di uno nei nostri soldati ha basi halakhiche”. Nella stessa discussione Rav Aharon Lichtenstein mostrò una posizione ben diversa: nella guerra vi sono vari fattori di rischio, come la perdita di vite umane da una parte o dall’altra, o che i soldati siano sottoposti alla corruzione morale. Insostenibile sembra essere la posizione che giudica illegittima qualsiasi forma di punizione collettiva, perché sarebbe molto più semplice annullare le sanzioni economiche che la comunità internazionale ha applicato nei confronti di alcuni stati coinvolgendone le popolazioni, piuttosto che evitare di coinvolgere la popolazione civile in caso di scontro armato. Affrontando tale problema vengono per lo più esaminati brani tratti dal libro di Bereshit, nei quali i patriarchi entrano in relazione con i loro vicini non ebrei. Spesso per illustrare il loro approccio viene citato un passo del commento del Netziv, che scrive che la condotta benevola dei patriarchi nei confronti dei loro vicini deve essere da esempio per noi. Non si deve considerare per sviluppare questo tema la preghiera di Avraham per salvare Sodoma, perché la preghiera e la risposta divina riflettono il funzionamento della provvidenza divina, mentre non fornisce elementi sul dilemma morale della guerra[11]. Può invece essere portato come esempio[12] quanto il midrash[13] scrive sulla vittoriosa guerra condotta da Avraham per salvare Lot: Avraham mostra infatti timore di avere ucciso innocenti in guerra. Il Signore rassicura Avraham, ma il senso delle Sue parole può essere che coloro che erano periti erano effettivamente meritevoli di morire, non escludendo pertanto il problema morale dell’uccisione degli innocenti. Un secondo episodio che viene citato è quello di Ya’aqov, che mostra timore, secondo il midrash di uccidere o venire ucciso, quando vede arrivare i quattrocento uomini di suo fratello Esaw. Perché Ya’aqov deve mostrare timore, se le intenzioni di questi uomini erano bellicose, e pertanto era giustificato a difendersi? R. Shelomò Luria[14] sostiene che Ya’qov temeva che qualcuno di loro non volesse fargli del male, e di uccidere quindi degli innocenti. Il terzo episodio che viene citato è quello della strage degli abitanti di Shechem, operata da Shim’on e Levì[15]. Molti commentatori alla Toràh[16] condannano l’operato dei due fratelli, che avrebbero potuto colpire che si era reso colpevole della violenza nei confronti di Dinàh, ma non gli altri. Anche il Ramban, che giustifica il loro operato, assume questa posizione ritenendo che gli abitanti della città individualmente erano meritevoli di morire, ma non perché si dovesse dare una punizione collettiva. Rambam sostiene che fossero meritevoli di morire perché non avevano applicato correttamente i precetti noachidi, e non avevano perseguito Shechem per quanto aveva fatto. Ciascuno era individualmente colpevole per non avere perseguito un criminale. Molti[17] non accettano questa visione, perché la popolazione della città di Shechem non aveva la forza per giudicare la propria guida. L’Or ha-Chayim ritiene che l’uccisione della popolazione sia stata la conseguenza della necessità di difendersi da parte di Shim’on e Levì, perché gli abitanti, quando videro che Shechem era in pericolo, insorsero per difenderlo. Il Maharal inquadra invece la storia come un evento di guerra, e giustifica il comportamento dei fratelli, perché quando si conduce una guerra contro una nazione, si è in guerra con tutte le parti di quella nazione. Il ragionamento del Maharal può portare a giustificare praticamente qualsiasi spargimento di sangue di civili.
E’ possibile ricavare indicazioni sul comportamento da assumere nei confronti dei civili anche da alcune delle halakhot relative alla guerra. Ad esempio il Ramban nelle sue glosse al Sefer ha-mitzwot di Rambam cita il Sifri come una fonte per l’obbligo di lasciare durante l’assedio della città un lato libero per consentire la fuga a chi non vuole prendere parte ai combattimenti. Secondo il Ramban “in questo modo impariamo a comportarci compassionevolmente, persino verso i nostri nemici, in tempo di guerra”. Rambam riporta questa regola nel Mishnèh Toràh, ma non nel Sefer ha-mitzwoth. R. Meir Simchàh ha-Kohen di Dwinsk, l’autore del Meshekh Chokhmàh alla Toràh, ritiene che questa regola abbia per Rambam unicamente una spiegazione di carattere strategico: in assenza di una via di fuga difatti i combattenti aumenteranno i loro sforzi per avere la meglio. Non vi sarebbe pertanto una spiegazione di tipo religioso, ma unicamente di carattere strategico[18]. Altri commentatori del Rambam spiegano la cosa diversamente: alcuni[19] spiegano l’omissione considerando questo aspetto una delle regole della milchemet reshut (guerra facoltativa), altri credono che il Rambam abbia la medesima visione del Ramban, ma non lo scriva esplicitamente[20]. La maggior parte dei commentatori del Rambam tuttavia ritengono che nella guerra di mitzwàh (contro i sette popoli o ‘Amaleq) non vi sia un obbligo del genere, perché lo scopo di queste guerre è l’eliminazione del nemico[21].
[1] Vedi Yitzchaq Blau, Biblical Narratives and the status of enemy civilians in wartime, Traditions 39:4, p. 8.
[2] Aviezer Ravitzky, “Prohibited Wars” In Jewish Religious Law, Meorot 6.1.
[3] Aryiè Edrey, Divine Spirit and Physical Power: Rabbi Shlomo Goren and the Military Ethic of the Israel Defense Forces, Theoretical Inquiries in Law, vol. 7, pp. 257-300.
[4] Molti degli articoli di Rav Goren, durante il periodo del suo rabbinato militare, sono stati pubblicati sulla rivista Machanaim. Sucessivamente sono stati raccolti in vari volumi, i cui più famosi dei quali sono i responsa Meshiv Milchamàh, Sheelot utshuvot beini’anè tzawàh milchamàh uvittachon (in ebraico).
[5] Meshiv milchamàh, vol. 1, pag. 10.
[6] Vedi anche M. Walzer, The Ethics of Warfare in the Jewish Tradition, Philosophia 40, p. 633.
[7] M. Walzer,, “War and peace in the Jewish tradition”, in: T. Nardin (ed.), The Ethics of War and Peace Religious and Secular Perspectives, Princeton 1996, pp. 95–114.
[8] Vedi A. Ravitzky, Haim pitechàh ha-machashavàh hailkhatit musag shel milchamàh asuràh (in ebr.).
[9] G. Claussen, A Jewish Perspective on War, Scripture ans Moral Accounting. JSR 14.1.
[10] Intervista a Rav Dov Lior, Milchamàh umusar (ebr.), Techimin 4, p. 184-188.
[11] Yitzchaq Blau, cit., p. 12.
[12] Rav Blau in Yitzchaq Blau, cit., pp. 12-17 esamina approfonditamente gli spunti derivanti dal libro di Bereshit, elencati nel prosieguo della trattazione.
[13] Bereshit Rabbà 44,4.
[14] Shelomò Luria, Yeri’ot Shelomòh su Bereshit 32,7.
[15] Bereshit 34.
[16] Ad esempio il Rambam, il Netziv, Hirsch.
[17] Ad esempio l’Or ha-Chayim ed il Maharal.
[18] Yitzchaq Blau, cit., p. 17.
[19] R. Yitzchaq De Leon.
[20] Radbaz.
[21] Secondo vari poseqim questo tipo guerre al giorno d’oggi non trova applicazione pratica.